LUGLIO
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Diario dal Consiglio del 10 luglio 2020

La residenza, diritto ad esercitare altri diritti

Dedichiamo il Diario alla decisione della Corte costituzionale che, esaminando le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Milano, Ancona e Salerno, ha dichiarato incostituzionale la preclusione del diritto di iscrizione all’anagrafe dei Comuni per gli stranieri che chiedono asilo in Italia, contenuta nel Decreto sicurezza (DL n. 113/2018), per violazione dell’articolo 3 della Costituzioneche sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione» o di altro genere, e impegna lo Stato a «rimuovere gli ostacoli» che «impediscono il pieno sviluppo della persona umana» – sotto un duplice profilo: per irrazionalità intrinseca, poiché la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza; per irragionevole disparità di trattamento, perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti. 

La sentenza dimostra ancora una volta il ruolo fondamentale della giurisdizione di merito nell’attuazione dei principi della Carta costituzionale. Ci sembra importante ribadirlo, ricordando che, nel corso dell’ampia discussione del parere su quel provvedimento, approvato all’unanimità in Sesta commissione, si erano confrontati anche due modi di intendere non solo la giurisdizione, ma anche il ruolo del Consiglio Superiore, che sulle norme oggi dichiarate incostituzionali aveva espresso, appunto, dubbi di costituzionalità: l’uno – molto diverso dal nostro – improntato, ci pare, sulla neutralità del tecnicismo quale condizione quasi “essenziale” di quell’indipendenza ed imparzialità che costituiscono i prerequisiti della funzione giurisdizionale che il Governo Autonomo è chiamato a salvaguardare.

Nel Diario del 23 novembre 2018 scrivevamo: «Con un intervento articolato il Consigliere Lanzi ha sostenuto che “in questo parere vi sono in larga parte opinioni di politica legislativa”, ha espresso preoccupazione per il “ruolo del CSM e indirettamente della stessa magistratura”. All’intervento del Consigliere Lanzi, e a quelli di analogo tenore di altri componenti laici, abbiamo risposto che la discussione sui temi di grande spessore evocati nel dibattito, quali il ruolo della giurisdizione, il rapporto fra la giurisdizione e la politica, il ruolo del Consiglio Superiore, non può non tener conto del fatto che il riconoscimento dei diritti universali, la positivizzazione dei diritti inderogabili dell’uomo, la costruzione dell’apparato normativo sovranazionale inderogabile hanno individuato nuovi “fini” nelle organizzazioni dello Stato democratico, e plasmato anche il concetto di “politica”, rendendo inevitabilmente “politico” anche il ruolo della giurisdizione: giammai nel senso riduttivo che spesso passa attraverso la vulgata giornalistica (“fare politica” tramite scelte orientate a contrastare o sostenere un’opzione politica di parte) bensì nel senso che l’attività di interpretazione del diritto, in una cornice plurima e complessa di sistemi normativi che, quali fonti primarie, contengono principi vincolanti, ha una ineliminabile connotazione “politica”, intesa quale verifica della conformità ai “fini” che la Comunità ha scelto, e che non ha niente a che vedere con l’indirizzo politico di governo, con gli schieramenti partitici e con l’attività dell’esecutivo.

Per questo continuare a cullarsi nell’illusione del mito del “giudice bocca della legge” significa negare il senso della giurisdizione, e rischia, talvolta, di essere persino inconsapevole strumento del fare, così, davvero quella “attività politica” che non appartiene né alla giurisdizione né al Consiglio superiore».

 

Il Plenum

Nel corso del Plenum di mercoledì è stata votata la proposta di modifica dell’articolo 4 del Regolamento interno del Consiglio, con previsione di un aumento del numero dei componenti supplenti della Sezione Disciplinare.

L’articolo 4 prevedeva come componenti supplenti un magistrato di Corte di Cassazione, tre magistrati con funzioni giudicanti di merito, tre magistrati con funzioni requirenti, tre componenti eletti dal Parlamento.

In considerazione dell’incremento del numero dei procedimenti pendenti avanti la Sezione disciplinare e del possibile crearsi di incompatibilità, la Seconda Commissione, investita dal Comitato di Presidenza, ha proposto l’adozione di una delibera che porta a sei il numero dei supplenti scelti tra i magistrati con funzioni giudicanti di merito e a quattro il numero dei supplenti scelti tra i componenti eletti dal Parlamento.

Nel corso della discussione, il consigliere Lanzi è intervenuto annunciando la sua astensione, sostenendo che l’aumento del numero dei componenti supplenti della Sezione disciplinare sarebbe in contrasto con l’articolo 25 della Costituzione, per violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge, non essendo stato operato l’aumento con legge primaria, e dovendo i nuovi componenti supplenti, qualora investiti di un giudizio, impropriamente giudicare su fatti avvenuti in epoca anteriore alla loro elezione; inoltre, l’estensione a 20 – tra componenti e componenti supplenti – del numero dei componenti la Sezione creerebbe difficoltà di funzionamento del Consiglio. Insieme a Lanzi si sono astenuti anche il consigliere Donati ed i consiglieri D’Amato e Miccichè, i quali non hanno esplicitato le motivazioni di tale astensione.

La modifica è stata approvata quindi a maggioranza, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, e nel corso del Plenum di giovedì si è proceduto all’elezione degli ulteriori componenti supplenti.

La modifica regolamentare è, a nostro avviso, pienamente legittima, anche alla luce del chiaro contenuto della sentenza 3-22 luglio 2003 n. 262 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 4 legge n. 195/1958, “nella parte in cui non prevede l’elezione da parte del Consiglio superiore della magistratura di ulteriori membri supplenti della Sezione disciplinare” (nella legge originariamente individuati nel numero di soli quattro). Nella stessa sentenza, la Corte ha affermato che “sussiste un interesse costituzionalmente protetto a che il procedimento stesso, comunque configurato dal legislatore ordinario, si svolga in modo tale da non ostacolare l’indefettibilità e la continuità della funzione disciplinare attribuita dalla Costituzione direttamente al Consiglio superiore”. Del resto, il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge non è violato dall’elezione o nomina di nuovi giudici, in quanto si riferisce unicamente alla predeterminazione (e al rispetto) delle regole per l’individuazione dell’ufficio competente e, all’interno di questo, di quelle che regolano l’assegnazione predeterminata degli affari. Opinando altrimenti si dovrebbe sostenere che i magistrati di nuova nomina, o quelli trasferiti o applicati ad un altro ufficio, non potrebbero giudicare di fatti commessi prima della loro nomina, del loro trasferimento o della loro applicazione.

È stata poi discussa una proposta di delibera, presentata dalla Settima Commissione, avente ad oggetto un quesito formulato dal Consiglio Giudiziario presso la Corte d’Appello di Brescia, finalizzato a conoscere se, alla luce del contenuto dell’articolo 8 comma 4 della Circolare del CSM sull’organizzazione degli Uffici di Procura (delibera 2017), che ha introdotto l’espressione di un vero e proprio parere dei Consigli Giudiziari sui decreti di formazione e modifica dei progetti organizzativi degli Uffici di Procura, sia da ritenersi oggi dovuto e previsto un parere del Consiglio Giudiziario anche in relazione ai provvedimenti del Procuratore di designazione e rinnovo dei componenti delle Direzioni Distrettuali Antimafia (procedimento di cui all’art. 5 della circolare CSM sull’organizzazione delle DDA, delibera 17 novembre 2010).

La Commissione, all’unanimità, aveva proposto di rispondere al quesito nel senso che “anche in relazione ai decreti di assegnazione e conferma dei sostituti alla Direzione Distrettuale Antimafia è richiesto il parere del consiglio giudiziario territorialmente competente”.

La circolare del 2010 sulle DDA prevede l’acquisizione da parte del Procuratore della Repubblica del parere del Procuratore nazionale antimafia, la comunicazione del decreto ai magistrati dell’ufficio e la trasmissione del medesimo al CSM, mentre non prevede espressamente il parere del Consiglio Giudiziario.

Già prima della circolare del 2017, nella vigenza delle risoluzioni del 12 luglio 2007 e del 21 luglio 2009 sull’organizzazione degli uffici requirenti, il Consiglio aveva ritenuto che le peculiarità proprie del circuito DDA-DNA non impedissero la trasmissione dei provvedimenti ex art. 70-bis OG ai Consigli Giudiziari “al pari dei progetti organizzativi delle procure”, laddove, si ricorda, veniva previsto, antecedentemente alla circolare del 2017, che i progetti organizzativi fossero trasmessi ai Consigli Giudiziari perché fossero valutati in occasione dell’esame dei progetti tabellari degli uffici giudicanti e nell’ottica di garantire una complessiva funzionalità del servizio nel settore penale.

La stessa circolare del 2010, nella relazione illustrativa, evidenziava la necessità di riconoscere, e mantenere, al CSM un “potere di verifica specifico e più sensibile nei riguardi dei provvedimenti costitutivi (operazione ormai consumatasi all’indomani dell’entrata in vigore della novella) e variativi delle DDA”, potere espressamente correlato al particolare rilievo di tali atti e alla necessità di risolvere i contrasti eventualmente insorti tra Procuratore e sostituti in ordine all’ingresso in DDA.

La successiva circolare in materia di organizzazione degli Uffici del Pubblico Ministero (delibera del 16 novembre 2017), ha espressamente realizzato un intervento sistematico nella materia dell’organizzazione degli uffici requirenti, disciplinando, in aderenza ad un riavvicinamento alla cultura tabellare degli uffici di procura (con gli artt. 8 e 9) il procedimento di formazione e di verifica del progetto organizzativo e delle sue variazioni, sì da favorire, in forme diverse, la partecipazione dei magistrati e il coinvolgimento dei Consigli Giudiziari, in un’ottica di sempre maggiore ampliamento dei poteri di verifica, da parte del circuito di governo autonomo, dei provvedimenti dei procuratori.

Sulla base di questo percorso, si è ritenuto sussistere, in capo al CSM, un potere di verifica anche in relazione ai provvedimenti di rinnovo o di mancato rinnovo della designazione dei magistrati addetti alle Direzioni Distrettuali Antimafia, trattandosi di provvedimenti che presentano la medesima rilevanza dei provvedimenti di designazione e che, in ragione di ciò, il CSM ha ritenuto dover essere espressamente motivati. Di conseguenza, il parere del Consiglio Giudiziario si pone come direttamente funzionale rispetto al corretto esercizio del potere di verifica del Consiglio Superiore, consentendo di acquisire un quadro conoscitivo completo coerentemente con la rilevanza dei provvedimenti in questione. Sarebbe del resto distonico, rispetto al quadro della normativa secondaria, prevedere in capo al Consiglio Giudiziario un mero dovere di “trasmissione” dei provvedimenti, in assenza di alcuna possibilità di espressione di un parere. In tal senso, peraltro, è non solo la prassi di alcuni Consigli giudiziari, ma, soprattutto, la prassi adottata, nell’ambito della presente consiliatura, dalla Settima Commissione – e ratificata dall’Assemblea plenaria – allorché, in relazione alle pratiche relative alle assegnazioni alla DDA, ha chiesto agli organi di governo autonomo locali di esprimere parere in merito.

A fronte di tale proposta, sono state sollevate obiezioni, sia di metodo che di merito, da parte dei consiglieri Di Matteo, D’Amato ed Ardita. 

Quanto al metodo, si è contestata la circostanza per cui, nell’imminenza della discussione in Settima Commissione della proposta di modifica della circolare sulle Procure, sarebbe stato inopportuno anticipare con una delibera di Plenum, nella forma della risposta a quesito, uno degli aspetti che dovranno essere disciplinati dalla nuova circolare.

Quanto al merito, si è sostenuto che la previsione di un parere del Consiglio Giudiziario sui provvedimenti del Procuratore di designazione e di rinnovo (o di mancato rinnovo) dei componenti della DDA rischia di “burocratizzare” il funzionamento delle direzioni distrettuali, di creare ostacoli al buon funzionamento delle indagini contro la mafia, di favorire interferenze da parte dei Consigli Giudiziari sulle scelte strategiche del Procuratore in materia di contrasto alla mafia. 

Sulla base di questi argomenti il Cons. D’Amato ha proposto il ritorno in commissione della pratica, proposta che è stata approvata con 10 voti a favore (Basile, Braggion, Cavanna, Ciambellini, Di Matteo, D’Amato, Gigliotti, Lanzi, Mancinetti Miccichè) e 9 contrari (Cascini, Cerabona, Chinaglia, Dal Moro, Davigo, Marra, Pepe, Suriano e Zaccaro); astenuti: Mammone e Salvi; assenti: Grillo, Ardita, Donati, Benedetti.

Al di là del singolo caso, il dibattito ha fatto emergere alcune divergenze di fondo sul rapporto tra uffici di procura e circuito del governo autonomo, che probabilmente ritorneranno in sede di discussione sulle modifiche della circolare sulle procure. In particolare, è emersa da parte di alcuni una certa sfiducia nel ruolo degli organi di autogoverno locale, la cui partecipazione al circuito di valutazione sulle scelte del Procuratore viene vissuta come un inciampo burocratico o, peggio ancora, come un potenziale ostacolo al buon funzionamento degli uffici. La nostra opinione è molto diversa. Noi riteniamo che i rilevanti poteri che la riforma del 2006 ha attribuito ai procuratori della Repubblica debbano trovare una compensazione adeguata nella trasparenza e nella responsabilità delle scelte, trasparenza e responsabilità che possono essere garantite solo dal pieno inserimento delle scelte organizzative del Procuratore nel circuito del governo autonomo, del quale i Consigli Giudiziari sono un momento fondamentale e imprescindibile. Riteniamo che una delle funzioni irrinunciabili del circuito di governo autonomo, e in particolare dei consigli giudiziari, sia quella di garantire l’indipendenza interna dei magistrati degli uffici di procura, il che impone di sottoporre sempre le scelte organizzativa del Procuratore ad una verifica da parte degli organi di governo autonomo, a livello locale e a livello centrale.

I lavori di Commissione

La V Commissione ha licenziato nel corso della settimana, e con voto unanime, le proposte di Primo Presidente della Cassazione e di Presidente aggiunto della Corte.

In una platea di aspiranti di eccellenza, i futuri vertici della Corte sono stati individuati in Pietro Curzio per l’incarico di Primo Presidente e di Margherita Cassano per quello di Presidente aggiunto.

La proposta a favore di Pietro Curzio trova le sue ragioni non solo su un profilo di merito eccellente, ma anche nel possesso di indicatori specifici di attitudine direttiva di estremo rilievo, il tutto integrato da significative esperienze caratterizzanti la sussistenza di rilevanti indicatori generali.

Pietro Curzio ha maturato una lunga e consolidata esperienza nelle funzioni di legittimità, articolata per quasi tredici anni, gli ultimi quattro dei quali impegnati nell’esercizio di funzioni direttive, in tutti i settori della giurisdizione.

Componente delle Sezioni Unite civili da oltre sei anni, durante l’anno 2019 ha svolto in più occasioni le funzioni di Presidente facente funzioni su delega del Primo Presidente.

Di estremo rilievo i risultati conseguiti quale Presidente titolare della Sesta sezione civile della quale ha incrementato la produttività sino a definire il 40% dei ricorsi civili giunti in Cassazione, così determinando una rilevante riduzione del contenzioso demandato alle sezioni ordinarie.

Le eccellenti doti organizzative hanno trovato, di recente, conferma nella direzione della Sezione lavoro quale Presidente titolare dal marzo 2020, in piena emergenza sanitaria da “Covid-19”.

Non è questa la sede per soffermarsi su tutta la carriera del dott. Curzio ma è notorio il suo impegno nell’attività della formazione.

Margherita Cassano, pur non avendo svolto funzioni direttive di legittimità, ha maturato una significativa esperienza nelle funzioni di legittimità, esercitate per oltre 13 anni, componendo le Sezioni Unite per oltre cinque anni. Dal gennaio 2016 svolge le funzioni direttive di secondo grado quale Presidente della Corte d’Appello di Firenze, affiancando alla gravosa attività organizzativa anche il contatto diretto con la giurisdizione, presiedendo alcuni collegi penali e curando la successiva redazione delle sentenze relative ai procedimenti trattati. Vanta, poi, una significativa esperienza ordinamentale quale componente del CSM dal 1998 al 2002 e, da ultimo, quale Presidente del Consiglio Giudiziario di Firenze nella sua attuale veste di Presidente della Corte d’Appello.

La scelta, adottata all’unanimità dalla Commissione, su due magistrati di indiscusso e riconosciuto rilievo ci sembra un segnale importante sul piano istituzionale, che speriamo possa segnare l’avvio, da parte di tutti, di un approccio che metta sempre al primo posto l’interesse degli uffici e della giurisdizione. 

Buon lavoro a tutti

Vi racconteremo …

Alessandra, Ciccio, Elisabetta, Giuseppe, Mario