Il maccartismo e le “paure” percepite
Come avrebbero portato a termine la loro missione un austero senatore americano o un potente direttore dell’FBI, senza l’aiuto di una cacciatrice di pettegolezzi?
Joseph McCarthy nel 1939 era stato giudice del 10° distretto nel Wisconsin ma il suo pallino era la politica; fu eletto senatore per il partito repubblicano nel 1947 e quello stesso anno, dal 20 ottobre, la House Committee on Un-American Activities, una commissione istituita già nel 1938 per indagare sulle attività antiamericane, aveva avviato un’inchiesta sulle possibili infiltrazioni sovietiche nei sindacati, nell’istruzione, nel cinema e nello spettacolo.
L’America aveva vinto la guerra e aveva sconfitto la paura del nazifascismo. Ma la guerra l’aveva vinta anche l’Unione Sovietica e la paura del comunismo negli americani divampava, abilmente alimentata da chi, come McCarthy, ne avrebbe poi fatto argomento di campagna elettorale.
Già circolavano le liste degli artisti additati come simpatizzanti comunisti, definiti “fascisti rossi”; ed esuli perseguitati dal nazismo per le loro idee, ora diventavano minacce per l’America.
Il Partito comunista degli USA era tra i più piccoli del mondo per numero di aderenti in proporzione agli abitanti; eppure, la percezione nell’opinione pubblica era quella di una preoccupante armata rossa capace di mettere a ferro a fuoco dall’oggi al domani gli Stati federati.
Anche McCarthy tirò fuori una lista che non fece mai vedere a nessuno in cui disse che vi erano persone note al Segretario di Stato come membri del Partito comunista e che, nonostante questo, lavoravano nel Dipartimento, inquinando le scelte della politica. Ne nacque una polemica, che dette grande notorietà a McCarthy, lo fece apparire come l’unico veramente in grado di opporsi a una congiura contro lo Stato, anche se, pur a fronte di vigorose contestazioni, mai egli dette le prove di ciò che diceva, ondeggiando persino sui numeri dei sospetti traditori.
Si guadagnò il ruolo di presidente del sottocomitato investigativo del Senate Committee on Governement Operations, parallelo alla HUAC, dal quale sferrò persecuzioni, sorrette da apodittiche accuse virulente più che da concrete prove, all’indirizzo anche di chi non condivideva i suoi metodi. Divenne il più noto tra gli interpreti di questa battaglia contro la congiura comunista, tanto da offrire il suo nome alla descrizione di un fenomeno: il maccartismo.
Credeva di scrivere la storia ma quella storia di cui, forse era stato mero interprete sin troppo zelante, era stata scritta da altri.
Tante informazioni, tanti consigli a McCarthy arrivavano da John Edgar Hoover, capo dell’FBI, che si occupava della sicurezza degli americani e che non aveva mai fatto mistero di ritenere incombente il pericolo comunista. Hoover aveva catalogato le impronte digitali di tutti gli americani e la quantità di informazioni di cui disponeva sulle persone influenti in America era davvero impressionante.
Anche lui era preoccupato delle idee che potevano circolare attraverso il cinema e il mondo della cultura.
Ma come avrebbe fatto a sapere tutto di Hollywood senza Hedda Hooper, che dal 1938 sul Los Angeles Times raccontava scandali e vita privata dei personaggi più influenti dell’industria cinematografica? La Hooper non sbagliava un colpo su relazioni segrete e crisi coniugali, ma anche lei voleva portare a termine la missione di liberare l’America dal comunismo.
“Tu dammi il materiale e io lo faccio esplodere” le scrisse Hoover, rispondendo ad una lettera nella quale la giornalista gli confidava che avrebbe provato piacere nel cacciare via dal suo Paese quelli che definiva “ratti”.
Tra costoro c’era Charlie Chaplin, di cui aveva raccontato storie private e indicato presunti figli illegittimi, contribuendo ad impedire il suo rientro in USA. E c’era anche Dalton Trumbo, che inserì nella lista nera di Hollywood e che fu condannato per le sue idee alla prigione dalla Commissione per le attività antiamericane. Il giro in vespa di Gregory Peck e Audrey Hepburn e il capolavoro Vacanze romane lo dobbiamo a lui, che scrisse quella storia senza firmarla e senza poter ritirare l’Oscar perché il lavoro di un traditore va tenuto nascosto.
McCarthy, forse, al contrario di Trumbo, firmò una storia che non aveva scritto lui. E che non ha vinto alcun premio, ma la condanna della Storia (quella con la maiuscola) che altri sono riusciti a schivare. Una storia, quindi, che nella Storia non dovrebbe ripetersi più. Speriamo…
Giovanbattista Tona
Il Passato talvolta ritorna.
Se non ritorna, forse non è passato.
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