L’iniziativa nasce dalla condivisa percezione di un progressivo incremento del numero degli arresti e dalla constatazione che, non di rado, gli stessi vengono effettuati in relazione a fatti di minima offensività, commessi da persone non realmente pericolose: goffe resistenze a Pubblico Ufficiale da parte di “senzatetto” o di ubriachi, cessioni di modesti quantitativi di marijuana o hashish, furti in supermercato e altri reati commessi da incensurati o da giovani che poi risultano essere minorenni.
Le insicurezze sociali – reali o percepite – non vanno sottovalutate e la credibilità della giurisdizione passa anche attraverso la capacità di fornire risposte serie e tempestive a reati che quotidianamente quelle insicurezze alimentano. Le risorse, però, non sono infinite e concentrarle, anche in termini di forze di polizia, sugli arresti in flagranza per fatti minimi, innanzi tutto, implica, inevitabilmente, distogliere le indagini da fenomeni criminali più complessi. Sul piano della giurisdizione, poi, l’arresto in flagranza apre un binario che, spesso, conduce l’arrestato ad essere processato per direttissima, cioè con un rito semplificato e ontologicamente diverso, sul piano delle garanzie, rispetto al processo ordinario. Si assicura così la repressione immediata ed efficace di determinate categorie di comportamenti devianti – che però, in assenza di arresto, sarebbero collocati nell’ultimo gradino della scala delle priorità – e si segna la distanza tra questo binario celere e quello, macchinoso e lento ma garantito, della risposta giudiziaria ai reati tipici della parte privilegiata della società.
La pandemia ha aggiunto nuove domande: con il mutamento inevitabile delle abitudini sociali è cambiata anche la criminalità? Come ha inciso la pandemia sulla tipologia dei comportamenti devianti che creano allarme sociale immediato come i reati intrafamiliari o i cd. reati “da strada”? E soprattutto, la risposta giudiziaria si è adeguata a questi mutamenti?
Per dare una risposta a tutte queste domande, abbiamo cercato di raccogliere dati, esperienze, problematiche e punti di vista di magistrati che operano in uffici giudicanti e requirenti di primo e di secondo grado, a Torino e in uffici del distretto, nella convinzione che il ruolo svolto e l’appartenenza ad uffici di diverse dimensioni consenta di vedere i fatti da differenti angolature e che, osservando i fenomeni da prospettive diverse, sia possibile arrivare a fornire una risposta giudiziaria più avveduta e meno casuale.
Il lavoro collettivo è partito dalla raccolta e dall’analisi dei dati statistici relativi agli arresti nelle diverse sedi. Per quanto riguarda Torino, è stato possibile ricostruire un quadro esauriente del fenomeno nell’ultimo quinquennio raggruppando i dati per categorie (numero di arresti, richieste del PM, convalide, misure applicate, sentenze emesse) ed esaminandoli sotto diversi profili (tipologia di reati in aumento o in diminuzione, impatto della pandemia sul numero degli arresti e sulla tipologia dei reati). Per altre sedi, come Novara, Vercelli ed Asti, pur a fronte di un approfondimento meno analitico, è stato comunque possibile verificare le principali linee di tendenza.
Passando poi al merito delle questioni, si sono affrontati i temi del rapporto tra il Pubblico Ministero e la Polizia Giudiziaria e dell’ambito del controllo sulla sfera di azione di quest’ultima, nonché quelli connessi alle diverse scelte procedurali ed alle loro ricadute concrete, a partire dall’opzione tra la direttissima e la convalida davanti al GIP sino al tipo di misura richiesta. Si sono quindi approfondite le criticità che gli arresti in flagranza pongono rispetto ad alcune fattispecie incriminatrici statisticamente più ricorrenti, cercando di fornire soluzioni pratiche condivise rispetto ai problemi più frequenti, sia dal punto di vista del Giudice di primo grado che da quello del Giudice dell’impugnazione, sia sul piano cautelare che del giudizio di cognizione.
Sono state infine scandagliate le problematiche collegate a particolari condizioni soggettive degli arrestati, come la sofferenza psichica o l’individuazione corretta dell’età, e sono state elaborate proposte di protocolli di intervento al fine di gestire al meglio queste delicate situazioni.
In conclusione, partendo dall’esame dei dati raccolti e operando una sintesi delle questioni più problematiche, si è cercato di fornire un contributo verso una risposta giudiziaria equilibrata, capace di evitare il diffondersi di contrapposte sensazioni: da un lato, quella che il lavoro della Polizia sia vanificato con un sistematico “liberi tutti”; dall’altro, quella che i diritti costituzionali dei singoli possano essere compressi senza assoluta necessità.