Il diritto di asilo in tempo di guerra
Presentazione
Il mondo occidentale resta attonito di fronte alla guerra portata dalla Federazione russa in Ucraina. Assistiamo ad immagini ed apprendiamo notizie sconvolgenti che pensavano relegate alla memoria storica dei fatti accaduti durante la seconda guerra mondiale e che hanno indotto gli stati dell’Europa occidentale prima ed orientale poi ad unirsi, per garantire pace e stabilità economica ai propri cittadini.
Al 6 marzo 2022, circa un milione e mezzo di profughi, per lo più donne e bambini hanno varcato i confini che dividono l’Ucraina dai Paesi dell’Unione europea. Pare un esodo biblico. Eppure secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, nel mondo, nel 2020, oltre 82 milioni di persone sono state costrette lasciare la propria casa e la propria città per traferirsi altrove; 48 milioni sono rifugiati “interni”; il 73% degli altri 42 milioni è accolto in Paesi confinanti; solo una piccola percentuale di richiedenti asilo riesce, per assenza di risorse economiche a seguito di un viaggio molto rischioso, che sovente semina morte e dolore indicibile, ad avvicinarsi ai confini dell’Europa.
L’Unione europea ha istituito nel 1999 un sistema comune europeo dell’asilo, al fine di creare un’area sicura per coloro che chiedono protezione contro le persecuzioni e rischi di grave danno nei Paesi di origine, nella consapevolezza da parte degli Stati Membri della condivisione degli stessi valori di solidarietà e responsabilità, che stanno alla base del diritto d’asilo sancito nell’art. 10 della Costituzione italiana e che sono stati poi recepiti nell’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Questo sistema include anche una Direttiva sulla protezione temporanea che è stata applicata per la prima volta proprio nel caso dei profughi provenienti dall’Ucraina.
Nel 2020, la Commissione europea ha proposto una revisione del sistema d’asilo che guardi, più che ai principi di responsabilità e solidarietà tra Stati membri, al rafforzamento delle alleanze con Paesi terzi, nei quali transitano i richiedenti protezione. Si tratta dell’approdo politico della tendenza, che si è affermata progressivamente sia a livello di Stati membri sia al livello dell’intera Unione, a “esternalizzare i controlli di frontiera”. L’argomento politico consiste nell’affermazione della necessità di orientare i flussi migratori, bloccando i migranti “irregolari” prima che essi possano proporre la domanda di protezione in uno Stato dell’Unione e consentire l’ingresso soltanto a quei migranti che abbiano diritto a beneficiare della protezione, attraverso visti umanitari o procedure di ingresso protetto.
Di qui la cooperazione tra Unione europea, Stati membri e Turchia del marzo 2016 e i diversi accordi, anche bilaterali, quali il Trattato tra Italia e Libia del 2008, poi rivisto ed aggiornato, da ultimo, con il Memorandum del 2017, i diversi accordi di riammissione, sorretti da consistenti finanziamenti verso i Paesi terzi, assistiti dal Codice di condotta e dalle sanzioni per le ONG che soccorrono i migranti e volti a prevenire l’ingresso dei migranti nella giurisdizione dell’Unione o rimpatriare verso Paesi di transito, considerati “sicuri”, migranti giunti irregolarmente nel territorio europeo. Questi accordi si fondano su quel teorema politico per il quale saranno i Paesi di transito a garantire l’esercizio del diritto di asilo e a proteggere le persone vulnerabili.
Un rapido sguardo alla realtà geopolitica della Turchia, della Libia o del Niger svela immediatamente l’ipocrisia che sta alla base dei concetti di esternalizzazione dei controlli di frontiera e di Paese di transito sicuro: si tratta di Paesi afflitti da guerre e che non sono in grado per ragioni economiche e politiche (Niger) o anche solo politiche (Turchia e Libia) di garantire i fondamenti del diritto di asilo, ossia l’accoglienza dei richiedenti asilo, la protezione speciale dei soggetti vulnerabili e l’accesso ad un rimedio giurisdizionale effettivo. Si tratta di Paesi che non assicurano un accesso giurisdizionale effettivo nemmeno ai propri cittadini e che, solo per questa ragione, non sarebbero considerati sicuri per i cittadini dell’Unione europea.
Inoltre, si tratta di Paesi nei quali i migranti sono sovente soggetti a misure detentive in attesa di rimpatrio, che, come ci insegnano i racconti di chi le ha subite, sono eseguite con trattamenti inumani e degradanti. In questo modo, l’Unione europea finisce per diventare indirettamente complice dei torturatori e si pone in chiara violazione di principi internazionali che fanno parte del suo patrimonio costituzionale, presidiato dalla tutela dei diritti fondamentali, quale il principio di non refoulement, che ha portata extraterritoriale e che contiene, nella sua essenza, anche l’obbligo positivo di rendere concretamente possibile l’accesso alle procedure di protezione.
Resta poi dubbia, alla luce dei Trattati dell’Unione europea, la stessa base giuridica degli accordi con i Paesi terzi.
Il tema della esternalizzazione dei controlli di frontiera diventa dunque un banco di prova decisivo per la tenuta della protezione dei diritti fondamentali nell’Unione europea, nella quale nazionalismi e individualismi sfidano le regole comuni di solidarietà e responsabilità, e per la tenuta dello stesso concetto di stato di diritto.
Le conseguenze del cedimento su questi principi significano dolore, sofferenza, torture e morte di persone che hanno il diritto di essere protette.
Si tratta di questioni sulle quali occorre avere una informazione piena, quale solo i testimoni che queste tragedie hanno vissuto possono restituirci e sulle quali occorre aprire un confronto per individuare con urgenza proposte e soluzioni politiche.
In queste condizioni, davanti alle giurisdizioni nazionali arrivano solo le domande dei superstiti di una vera e propria strage.
Per questo abbiamo organizzato una iniziativa dedicata al diritto d’asilo, nella quale in una prima sessione dell’incontro, abbiamo voluto dare voce a coloro che, quelle sofferenze hanno attraversato o conosciuto e che possono testimoniare gli effetti spesso tragici e comunque perversi della politica di esternalizzazione delle frontiere.
Vorremmo poi, nelle due successive sessioni, affrontare i nodi giuridici degli accordi con i Paesi terzi, a partire dal nesso tra diritto di asilo e accesso al territorio europeo, per poi individuare le soluzioni politiche che possano rendere effettivo il diritto di asilo nello spazio di “protezione” europeo.