Ricerca di giustizia senza tempo

Il 14 gennaio 1968 nasce a Roma Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, che scompare a soli 15 anni senza lasciare tracce.

Oggi, a quasi 40 anni dalla sua scomparsa (risalente al 22 giugno 1983), la magistratura vaticana riapre il caso, decisa a tornare su ciascuna delle piste possibili per rivelare quale fu la sua sorte.

La storia di Emanuela si intreccia, nel corso delle indagini, con quella di Enrico De Pedis, detto “Renatino”, che il 2 febbraio 1990 venne ucciso a 36 anni a Roma a Campo de’ Fiori per una sgradita ripartizione dei proventi dei delitti della sua mafia romana. Emerge poi dalle testimonianze che quei delitti, tra cui si sospetta esserci stato anche il rapimento di Emanuela, venivano ordinati da Renatino ma non venivano mai commessi da lui personalmente, che ne restava sempre e soltanto il mandante.

Ciò dà agio alla moglie, per tutta la sua vita, di specificare che Renatino morì da incensurato poiché mai raggiunto da sentenze di condanna definitive sino alla data della morte. D’altronde, nulla di certo si è mai stabilito, tra l’altro, con riguardo alla scomparsa della Orlandi.

Il boss, e non vi è dubbio lo fosse sulla base delle ricostruzioni giudiziarie dei fatti di quegli anni, viene sepolto poi nella cripta di Sant’Apollinare a Roma – in quanto benefattore – accanto a Papi e Vescovi, in violazione delle norme di diritto canonico sulla sepoltura all’interno delle Chiese.

Quando questa notizia diviene di pubblico dominio si innalza un’ondata di indignazione generale: è impossibile chiarire gli intrecci romani che si celano dietro quelle vicende, e perciò scuote l’opinione pubblica che sia stato consentito un tale onore ad un uomo che si è macchiato di così tanti e così gravi crimini, diversi dei quali probabilmente rimasti ignoti.

La salma, ad ogni modo, riposa a Sant’Apollinare fino al 2012, quando viene estumulata per cercare i resti proprio della povera Emanuela. Ed è così che il delitto perfetto, pur rimasto senza prove e senza colpevoli, diviene l’occasione per ottenere in qualche modo ciò che è percepito come “giusto”: se la ricerca di quei resti non va a buon fine, essa raggiunge tuttavia lo scopo di far condurre le ceneri di Renatino in un luogo più adeguato, cioè nel cimitero di Prima Porta.

Ciò ripristina, di fatto, la distinzione tra fare del male e fare del bene secondo il senso comune e può forse, almeno in parte, consolare le coscienze.

Ma, come i nuovi eventi di questi giorni dimostrano, la ricerca di giustizia, sempre connessa alla verità, non ha e non può mai avere fine.

Antonella Marrone

Il Passato talvolta ritorna.
Se non ritorna, forse non è passato.

Occuparsi di giustizia comporta anche conoscere il tempo e la storia, luoghi dove sono sorti i diritti, ma anche i bisogni e il sentire degli individui e delle collettività. Con “Ieri e oggi” facciamo un salto settimanale nel passato, un modo diverso per interrogarci sull’attualità.
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