Dove stava l’onore di Cosa Nostra

Alle 8 del mattino del 14 settembre 1988 tre colpi di arma da fuoco, di cui uno alla testa e un altro all’addome, uccidono Alberto Giacomelli a Locogrande, una contrada nelle vicinanze di Trapani. E’ talmente tanto il suo sangue versato che il Comune si troverà costretto, tempo dopo, a rifare il manto stradale.

Le ragioni di quel delitto restano a lungo sconosciute: Giacomelli era sì un magistrato, ma in pensione da oltre un anno; benché, tempo prima, casa sua fosse frequentata anche da Giovanni Falcone e da altri giovani magistrati, al momento del delitto egli conduceva una tranquilla esistenza da ex giudicante, senza mai mostrarsi in prima linea nella lotta alla mafia.

La verità è talmente difficile da capire che tarda ad arrivare; viene addirittura celebrato un processo a carico di una banda di giovani, in un primo momento condannati dalla corte di assise di Trapani, ma in realtà del tutto estranei al delitto ed infatti poi definitivamente assolti.

Solo diverso tempo dopo, con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Vincenzo Sinacori, Giovanni Brusca, Francesco Milazzo e Leonardo Canino, si giunge a stabilire che l’omicidio era stato ordinato da Totò Riina poiché nel gennaio del 1984 Giacomelli, in qualità di presidente della sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Trapani, aveva firmato il provvedimento di sequestro dei beni a carico di suo fratello, Gaetano Riina.

Brusca racconta, per averlo sentito dire dallo stesso Totò Riina, che il delitto Giacomelli non è stato di “Cosa Nostra” ma di “casa nostra”, poiché l’ex magistrato – con una delle prime applicazioni della legge Rognoni-La Torre del 1982 – aveva violato il patrimonio della famiglia Riina.

Alberto Giacomelli è dunque uno dei magistrati uccisi per mano della mafia; probabilmente, la sua è una delle vicende meno conosciute tra quelle degli omicidi maturati nella sanguinosa lotta che si combatté tra lo Stato e Cosa Nostra nella Sicilia in quegli anni.

Giacomelli è anche l’unico magistrato ucciso dalla mafia mentre era già in pensione. Ma il messaggio veicolato attraverso la sua morte era – e doveva essere – chiaro: la privazione della libertà personale è accettabile per gli uomini di mafia, che anzi dimostrano il loro valore e la loro forza con il tempo trascorso in carcere; il patrimonio della famiglia, invece, accresciuto e formato con le attività illecite, è il vero bene, tolto il quale è colpito anche l’onore.

Lo stesso Giovanni Falcone avrebbe poi ben compreso e disvelato questa realtà. Il sacrificio di Alberto Giacomelli fu il primo triste segnale di un’incredibile inversione nella scala mafiosa dei valori.

Antonella Marrone

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Se non ritorna, forse non è passato.

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