L’eternità dell’arte

La Venere di Milo, un modello di bellezza classica conosciuto e studiato in tutto il mondo.

La postura della scultura è particolare, la dea è in piedi, il busto leggermente volto alla sua sinistra, non allineato rispetto alle gambe, anch’esse in apparente movimento, la sinistra flessa e protesa in avanti. Lo sguardo segue la direzione del busto. Ma le braccia come sono posizionate? E soprattutto cosa sta facendo la bellissima donna, che forse Afrodite non è? Quanti studiosi, quanti curiosi se lo sono chiesto! Quando, nel 1821, la statua fu donata da re Luigi XVIII al Museo del Louvre, fu esposta al centro di una grande sala: tutti gli studenti di arte iniziarono a copiarla e scoppiò il dibattito sulla possibilità di completarla, come usava in quell’epoca. Furono elaborati schizzi e progetti di ogni genere.

Alla fine, prevalse l’idea di lasciarla com’era, perché la Venere di Milo, pur evidentemente incompleta, emana un senso di enigmatica perfezione, non spiegabile in modo razionale. Alcuni ne individuano la fonte nello sguardo olimpico, puntato verso un punto lontano; altri nelle forme così realistiche; altri ancora nel panneggio leggermente abbassato sui fianchi. Nessuno sa dare una risposta convincente.

Il mistero è alimentato dalla storia del suo ritrovamento. Il 19 aprile 1820, sull’isola di Milo, Jules Dumont d’Urville, ammiraglio ed esploratore francese, vede per la prima volta la parte superiore della statua nella capanna del contadino greco che l’aveva trovata tre settimane prima scavando nei resti di un tempio, alla ricerca di pietre per una recinzione. La scoperta era stata inizialmente intercettata dal giovane ufficiale francese Olivier Voutier, che aveva impedito che il contadino ricoprisse l’inutile busto di marmo. A quel punto, l’entusiasta Dumont d’Urville cerca di imbarcare la statua, ma il capitano Pierre-Henry Gauttier du Parc si rifiuta di trasportarla a causa della fragilità dell’opera. Dumont non si dà per vinto e, per evitare che il contadino ceda frettolosamente la Venere al Sultanato, scrive immediatamente all’ambasciatore di Francia a Costantinopoli, che gli dà ordine di accaparrarsi la statua ad ogni costo. L’operazione diviene improvvisamente politica: la Francia cerca ancora di superare il forte smacco di avere dovuto restituire, dopo il Congresso di Vienna del 1815, la Venere dè Medici, l’Apollo del Belvedere e il Gruppo del Laocoonte, sottratti da Napoleone Bonaparte nel corso della campagna militare in Italia.

Quando la scultura arriva finalmente in Francia, i pezzi separati (si scoprirà anni dopo che la statua era composta di due blocchi di marmo) si smarriscono all’interno degli sconfinati magazzini del Museo del Louvre; le braccia non verranno mai più ritrovate. Da quel momento inizia la nuova vita della Venere come icona senza tempo, amata, copiata, ricreata.

Dopo secoli di attenzione, la scultura continua a nascondere i suoi segreti, simbolo di quella splendida atarassia a cui l’essere umano tende, senza poterla raggiungere. Allora, fermiamoci davanti allo sguardo della dea, osserviamo estatici e godiamoci il brivido di contemplare l’eternità dell’arte.

Camilla Sommariva

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