L’insostenibile disumanità del carcere, in memoria di Oscar Wilde

Alle 18,30 del 6 aprile 1895 Oscar Wilde, poeta, saggista e giornalista, viene tratto in arresto per aver violato il Criminal Law Amendment Act inglese, approvato dieci anni prima, che prevede sino a due anni di reclusione e lavori forzati per l’omosessualità maschile.

La legge è stata fortemente voluta dagli inglesi di età vittoriana ed è coerente con la rigida morale dell’epoca; Wilde, accusato di sodomia, viene condotto dinanzi all’Old Bailey, la Criminal Court londinese, per spiegare cosa sia “quell’amore che non osa dire il suo nome”[1] e risponderne.

Il processo a Wilde, che ha raggiunto la sua massima notorietà in quegli anni, è l’occasione per dimostrare la durezza dei tempi, tanto che il giudice Sir Alfred Wills, che lo condanna al massimo della pena, commenta la sua decisione dicendo: “persone capaci di compiere simili cose sono chiaramente sorde ad ogni sentimento di vergogna... È il peggior processo che io abbia mai presieduto”[2].

I giornali proclamano la fine dell’estetismo, mentre Wilde, rinnegato dalla famiglia, dai suoi amanti e dal suo pubblico, viene condotto nel Reading Gaol, nel Berkshire, in Inghilterra.

Le sofferenze che prova confluiscono poi nella sua ultima opera, la Ballata del carcere di Reading, dedicata a Charles Thomas Wooldridge, ufficiale inglese condotto al patibolo il 7 luglio 1896 dinanzi agli occhi del poeta, per aver ucciso la moglie.

È un’opera intrisa di dolore, in cui la parabola letteraria di Wilde si chiude allo stesso modo in cui si chiudono i suoi occhi dinanzi alle dure leggi della prigionia senza speranza, rappresentate plasticamente dall’uccisione dell’omicida.

È un canto alla pietà verso l’uomo che, pur avido di vita, osserva per l’ultima volta un pezzetto di cielo azzurro; mentre lo scrittore che lo guarda con animo contrito, sapendolo prossimo alla morte e condividendone la pena estrema, si chiede se la sua colpa sia stata grave o lieve: perché ogni uomo, a suo modo, uccide ciò che ama.

È l’esperienza mortale della vita e dell’amore terreni che alla fine un artista dalle mille passioni, recluso, fa dell’altro e di ogni uomo. Chiunque uccide, chiunque maltratta, chiunque soffoca, chiunque non comprende e, pur amando e condividendo l’intima natura dell’altro, dispensa il male così come si fa in un istituto di pena dal quale, in un modo o nell’altro, nessuno uscirà mai più.

Così si consuma quell’esperienza eterna ed ancora attuale del carcere come luogo di espiazione eppure, in qualche modo, di profonda ingiustizia: oltre la responsabilità ed oltre il dovere, il carcere è il luogo ove il giudizio è al di là del muro perché è compiuto o perché è sospeso, ma in ogni caso l’uomo è uomo come tutti gli altri, qualunque sia l’intensità della sua colpa.

Immerso nella pena che l’uomo infligge all’uomo e nell’impotenza dinanzi alla giustizia che ne è stata resa, anche per Oscar Wilde la prigionia, in realtà, durerà fino alla morte che sopraggiunge, in solitudine ed in povertà, solo qualche anno più tardi, nel 1900: “Ho scritto quando non conoscevo la vita. Ora che so il senso della vita, non ho più niente da scrivere. La vita non può essere scritta: la vita può essere soltanto vissuta”[3].

Antonella Marrone

[1] A. Douglas, Two loves, in L’amore che non osa, Poesie per Oscar Wilde, traduzione di S. Raffo, Elliot, 2019.
[2] J. Fryer, Wilde, Haus Publishing, 2005, p. 102.
[3] O. Wilde, Detti e aforismi, quinta edizione, con traduzione di A. Rossatti, Milano, 2004, p. 87.

Il Passato talvolta ritorna.
Se non ritorna, forse non è passato.

Occuparsi di giustizia comporta anche conoscere il tempo e la storia, luoghi dove sono sorti i diritti, ma anche i bisogni e il sentire degli individui e delle collettività. Con “Ieri e oggi” facciamo un salto settimanale nel passato, un modo diverso per interrogarci sull’attualità.
Attendiamo i contributi di tutti.

12 aprile 1943
Se tu vieni tutti i pomeriggi alle quattro
2 aprile 1985
L’astronave, il pallone e le fette biscottate
19 marzo 1980
In ricordo e in onore di Guido Galli, a 45 anni dalla sua scomparsa
17 marzo 1861
Il continuo cammino per l’unità
21 febbraio 1965
Malcolm e la felicità
6 febbraio 1947
Quasi ottant'anni, e non sentirli
25 gennaio 1983
Oltre sé stessi e per il pubblico bene. In ricordo di Gian Giacomo Ciaccio Montalto
8 gennaio 1921
Sciascia: coraggioso cercatore di verità