La resistenza femminile, per i Curdi e per tutti noi

Vi sono contingenze in cui la nascita segna un’esistenza. L’esistenza di Asli Erdogan sembra segnata dalla sua data, 8 marzo 1967, e certamente dalla sua terra, Istanbul e la Turchia del secondo Novecento. Era ancora adolescente quando suo padre e sua madre conobbero il carcere più duro nei colpi di stato del 1980 e del 1990, esperienza che – racconta nel romanzo Tas bina ve digerleri (“La costruzione di pietra”) del 2009 – la segnò profondamente.

A 24 anni, studiosa di fisica nucleare, scopre al Cern, uno dei luoghi di lavoro più internazionali del mondo, il ruolo marginale delle donne. E lo denuncia. Da lì, passando poi per il Sud America dove si dedica all’antropologia, torna in Turchia avendo maturato una coscienza civile più definita; è una scrittrice che coltiva passioni multiple e un impegno che le segnerà la vita: la militanza nella lotta per i diritti umani e civili, quelle delle donne e dei curdi in particolare.

Arrivano così le persecuzioni, i posti di lavoro perduti assieme ai riconoscimenti per i suoi racconti (Sol Elveda, “L’ultimo addio”; Mucizevi Mandarin, “Il mandarino meraviglioso”), i suoi romanzi (Kirmizi Pelerinii Kent[1], più di recente Artik sessizlik bile senin degl[2]), fino alla poesia, con un’opera (Hayatin Sessizlinginde, “Il silenzio della vita”) considerata tra le più alte del primo decennio degli anni Duemila.

Nel decennio successivo però il suo sostegno attivo alla causa curda le aliena molti consensi letterari in Turchia. Viaggia molto all’estero. Al rientro in patria il 16 agosto 2016 viene arrestata nell’irruzione della polizia all’interno della redazione del giornale Ozgur Gundem, insieme con altri venti giornalisti, per essere poi accusata di propaganda a favore del Partito dei lavoratori curdi, nel quadro delle rappresaglie al tentato golpe del 15 luglio.

L’accusa è particolarmente grave, il regime del presidente Recep Tayyip Erdogan considera il PKK un’organizzazione terroristica. L’arresto di Asli suscita reazioni in tutto il mondo: in Italia molte librerie organizzano dal 20 al 24 settembre letture pubbliche di brani tratti da “Il mandarino meraviglioso”; nello stesso mese la Svezia le conferisce il premio Tucholsky, dedicato agli scrittori che lottano per la libertà di pensiero.

Il 29 dicembre 2016 il tribunale di Istanbul, dopo che pure le era stata contestata la partecipazione ad attività terroristiche, Asli Erdogan viene scarcerata.

Il processo dura cinque anni e mezzo. Infine arriva l’assoluzione. Asli Erdogan da allora vive in Germania. Difficile considerare come una casa un Paese che opprime i dissenzienti. Ma nelle librerie la sua voce continua a colpire il regime.

È una traiettoria comune a quella di tanti letterati, artisti, persone che non disgiungono la cultura dall’impegno civile, fino a pagare prezzi altissimi. Nella vicenda di Asli Erdogan, però, si ergono simbolici due fattori di discriminazione che chiamano tutti a un’assunzione di responsabilità: il genere femminile, che ogni giorno lotta per l’uguaglianza sostanziale perfino in Italia; la popolazione curda, comoda alleata per l’Occidente nella lotta coltro il terrorismo islamista e da allora abbandonata a un destino di soprusi e sofferenza, che il terremoto di febbraio ha reso ancora più tragico.

Marcello Basilico

[1] La città dal mantello rosso, Garzanti, 2020.
[2] Neppure il silenzio è più tuo, Garzanti, 2017.

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