Voltare pagina

Legge elettorale del CSM: proposte a confronto

di Marco Picco
Giudice del Tribunale di Torino
La proposta formulata all’inizio del 2020 dal Ministro Bonafede, il sistema proporzionale a liste contrapposte, il doppio turno. Vantaggi e svantaggi delle diverse soluzioni

1. Iniziamo dal disegno di legge attualmente in discussione per passare poi ad analizzare altri sistemi alternativi.

In particolare, il sistema previsto dal disegno di legge del Ministro Bonafede prevede l’elezione di venti membri togati al CSM attraverso un meccanismo maggioritario uninominale, secondo cui il territorio verrebbe diviso in diciotto collegi ordinari a cui se ne aggiungerebbero ulteriori due, indicati al comma secondo e al comma terzo: il primo di questi comprenderebbe i membri della Corte di Cassazione con funzioni di legittimità, la Procura Generale e il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche; il secondo, invece, comprenderebbe i magistrati fuori ruolo, i magistrati della Corte d’Appello di Roma, del Massimario e delle Direzioni Nazionali Antimafia e Antiterrorismo.

Ogni collegio ordinario sarebbe composto da almeno un diciassettesimo del corpo elettorale e quindi, grosso modo, da almeno quattrocentocinquanta magistrati e ogni collegio, secondo il disegno di legge, verrebbe individuato con decreto del Ministro della Giustizia almeno tre mesi prima delle elezioni.

Per quanto riguarda le preferenze, l’elettore può esprimerne fino a tre, purché di genere diverso, che devono essere ordinate da uno a tre, nel senso che quest’ordine conterà poi per verificare il numero di voti utili per accedere al ballottaggio.

In ogni collegio – fatta eccezione per quello indicato al comma due – viene eletto il candidato che raggiunge almeno il sessantacinque per cento delle preferenze espresse al primo posto sulla scheda.

Il ballottaggio è previsto, qualora non venga raggiunto il quorum di cui sopra, tra i due candidati che hanno conseguito il maggior numero di voti e per potervi accedere vengono considerati anche i voti presi nella seconda e terza posizione: in particolare, i voti vengono computati applicando per i canditati al secondo e terzo posto un coefficiente di riduzione rispettivamente pari a 0,80 per il secondo, 0,70 per il terzo, mentre colui che è posizionato per primo nella scheda avrà un coefficiente pari ad uno.

Nel collegio di cui al comma secondo, invece, sarà eletto semplicemente il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti.

Passiamo ad analizzare quali sono gli elementi più vantaggiosi che si trovano delineati nel disegno di legge.

Sono, essenzialmente, due. In primo luogo, si realizza l’obbiettivo di avvicinare l’elettore all’eletto: i collegi sono piuttosto piccoli e sarebbero verosimilmente formati da circa quattrocentocinquanta magistrati, quindi è plausibile che, più o meno, ci si conosca tutti. Ciò dovrebbe anche rafforzare la possibilità che i gruppi associativi presentino candidati conosciuti e stimati dagli elettori del collegio. Il secondo elemento positivo è quello di consentire l’elezione di magistrati rappresentativi non solo dei grandi centri; ogni territorio, infatti, avrebbe almeno un eletto.

Allo stesso tempo vi sono però anche diversi inconvenienti o, quantomeno, caratteristiche che rendono il sistema difficilmente compatibile con alcuni degli obbiettivi che la riforma dovrebbe perseguire.

Il primo inconveniente è rappresentato dal fatto che un sistema maggioritario a collegi uninominali tende, per sua natura, a favorire il gruppo più forte, avendo il preciso obbiettivo di creare un sistema molto selettivo e poco rappresentativo, finalizzato alla creazione di una maggioranza governante a scapito della rappresentatività e dell’inclusività di tutte le componenti alternative alla maggioranza.

Questo, come è già stato sottolineato in più interventi, non appare conforme alle caratteristiche del Consiglio Superiore, il quale non presenta un problema di governabilità in senso stretto, bensì necessita che tutte le componenti della magistratura siano rappresentate.

Il secondo elemento critico del sistema è quello della preferenza multipla: vi è, infatti, il rischio di favorire accordi tra candidati e, così, di peggiorare o almeno di riprodurre le degenerazioni del correntismo, con l’evidente pericolo di sostituire aggregazioni esplicite con aggregazioni nascoste e magari basate su logiche di tipo “clientelare”.

Il tutto è reso più critico dal fatto che è previsto un ballottaggio e si giunge ad esso solo se almeno uno dei candidati non raggiunge un quorum molto alto, individuato, appunto, nel sessantacinque per cento delle preferenze.

Quindi è possibile – se non probabile – che, al primo turno, la componente maggioritaria tenda a favorirne un’altra, che magari non ha la forza di essere una vera e propria alternativa alla maggioranza, in modo da farla giungere al ballottaggio per poi riprendersi i voti ceduti in precedenza; col pericolo che vengano escluse tutte quelle formazioni che potrebbero essere davvero alternative alla maggioranza stessa.

Ultimi due elementi: se è vero che riavvicinare gli elettori agli eletti è un dato positivo del disegno di legge in esame, è altrettanto vero che collegi molto piccoli potrebbero essere controproducenti ai fini del corretto svolgimento dell’attività del Consiglio che deve avere una visione nazionale dei problemi e, in una così grande parcellizzazione dell’elettorato, rischia di trovarsi a fare i conti con una somma di particolarismi e di rappresentanze locali.

Un’ulteriore grave criticità è rappresentata dal fatto che i collegi vengono individuati dal Ministro tre mesi prima di ogni elezione, dunque c’è il rischio che vengano disegnati ad hoc per favorire questa o quella compagine. Ad esempio: se un gruppo è particolarmente forte in una determinata area, nella quale vanta voti in eccedenza per l’elezione di un candidato, il collegio potrebbe essere composto in maniera tale da accorpare a quell’area anche una altra parte del territorio nella quale quel gruppo sarebbe meno forte, rafforzando così la componente che si vuol favorire. C’è pertanto il pericolo che i collegi vengano “disegnati” dal Governo appositamente per consentire la distribuzione dei voti a favore o a scapito dell’una o dell’altra corrente.

 

2. Quali sono le alternative percorribili rispetto a questa proposta di legge?

La prima, e la più antitetica al sistema proposto dal Ministro Bonafede, è rappresentata dal proporzionale a liste contrapposte: le varie componenti si contrappongono per liste, con più candidati all’interno di una medesima lista inserita in un unico collegio nazionale e una distribuzione proporzionale dei seggi basata sul numero di voti presi da ciascuna lista e da ciascun candidato.

Le prerogative più importanti del sistema testé descritto sono quelle di garantire la maggiore rappresentatività possibile sotto ogni profilo: esso consente, infatti, la massima rappresentanza delle idee e valorizza il “concetto” che sta alla base della candidatura rispetto alla personalità del singolo candidato; inoltre, garantisce spazio ai gruppi minori e dovrebbe stimolare le componenti associative a svolgere la funzione di centri di elaborazione programmatica sui temi della giustizia più che, come è stato detto, di macchine di aggregazione del consenso.

Quali però le problematiche di questo sistema rispetto agli obbiettivi che la riforma si propone?

La prima è che esso continua a consegnare la selezione delle candidature agli apparati dei gruppi associativi che, a torto o a ragione, in questo momento non godono di una particolare stima né all’interno, né all’esterno della magistratura.

Un altro svantaggio è legato a quello di cui al punto precedente: coloro che non appartengono ad alcuna corrente non hanno alcuna possibilità di essere eletti, tanto più se si considera che la distribuzione dei seggi interni al collegio avviene a livello nazionale.

Ultimo elemento: anche questo sistema tende a premiare i candidati dei grossi centri, riproduce dunque un problema che è stato segnalato nelle ultime consiliature e allontana gli eletti dagli elettori.

 

3. Un altro modello proposto, che è mediano rispetto ai due descritti, prevede un doppio turno: il primo con un sistema maggioritario per collegi territoriali e il secondo proporzionale per collegio nazionale con liste concorrenti.

Nel primo turno, con sistema maggioritario, il territorio sarà diviso in tanti collegi quanti sono i candidati da eleggere, con distinzione tra Magistratura requirente, Magistratura giudicante e Magistratura di legittimità. In particolare, si avranno cinque collegi per i Pubblici Ministeri, tredici per la Magistratura giudicante e un unico collegio nazionale per i due posti che spettano ai Magistrati di legittimità.

In questa prima fase, il sistema maggioritario puro fa in modo che ad essere eletti siano i candidati con più voti, però in numero quadruplo rispetto agli eligendi. Vi saranno quindi: venti Pubblici Ministeri, cinquantadue Magistrati giudicanti e otto Magistrati di legittimità. Come correttivo per la rappresentanza di genere è previsto che, qualora non si raggiungesse una situazione di parità, passino al secondo turno coloro che hanno collezionato più voti all’interno del genere meno rappresentato fino a identica rappresentazione; vi è dunque un riequilibrio di genere nella misura del 50%.

Nella seconda fase, invece, si passa al sistema proporzionale con collegio unico nazionale: i candidati si raggruppano e concorrono per liste contrapposte e l’elettore può esprimere fino a due preferenze, necessariamente di genere diverso, con ripartizione proporzionale dei seggi in base ai voti collezionati da ciascuna lista e da ciascun candidato.

Gli elementi positivi sono sostanzialmente quattro: quantomeno in una prima fase si realizza la parità di genere; almeno inizialmente, questo sistema sembra dare spazio a candidature indipendenti; si crea sicuramente un’ampia platea di candidati, perché al primo turno viene eletto il quadruplo di candidati rispetto al numero effettivo; infine, al secondo turno, vengono recuperate le caratteristiche positive del sistema proporzionale valorizzando l’appartenenza ad un gruppo associativo piuttosto che il singolo candidato come persona.

Vi sono, tuttavia, alcuni inconvenienti. I due turni appesantiscono l’elezione e si apre uno spazio a scambi di voti tra i candidati: nel secondo turno, infatti, c’è la possibilità di esprimere due preferenze, anche se per candidati di genere diverso. La seconda fase, inoltre, porta con sé tutte le criticità caratteristiche del sistema proporzionale ed è assai probabile che le candidature rimangano “nelle mani” delle correnti: coloro che si trovano al di fuori di esse, infatti, rischiano di non avere alcuna possibilità di essere eletti e potrebbero essere obbligati, nel secondo turno, a chiedere di essere aggregati ad un gruppo.

Risulta, inoltre, difficile immaginare una serie di candidati indipendenti collegati ad uno stesso gruppo, dal momento che risulta anche complesso riuscire a scorgere basi di aggregazione differenti da quella dell’avversione relativa all’appartenenza ad un gruppo associativo. Anche in questo caso, poi, il voto espresso con sistema proporzionale rischia di premiare i candidati che provengono dai distretti più grandi.

In ultimo, due singolarità derivano dal fatto che vi sarebbero collegi diversi a seconda delle funzioni. I Pubblici Ministeri avrebbero collegi piuttosto grandi (circa milleottocento elettori) che allontanerebbero l’elettore dall’eletto, riproducendo i problemi del proporzionale. Per i giudici di legittimità si svolgerebbero due turni elettorali sostanzialmente nello stesso collegio (in entrambi i casi si tratta di collegio unico nazionale), ma con due sistemi diversi: maggioritario al primo turno e proporzionale al secondo.

Intervento al convegno
“Voltare pagina. La riforma del sistema elettorale del CSM”

Roma, 23 giugno 2020