AreaDG e la tutela dell’autogoverno della magistratura
Il governo autonomo della magistratura, fin dall’attuazione della Costituzione repubblicana, ha costituito la garanzia della indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale, indispensabile presupposto della effettività dello stato di diritto e del principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.
Nei decenni il governo autonomo ha contribuito in maniera determinante a concretizzare la possibilità di un esercizio della giurisdizione libero dei condizionamenti provenienti da poteri ad essa estranei, così come, attraverso una costante e penetrante vigilanza sui rapporti interni agli uffici ed al circuito dell’autogoverno medesimo, anche da ogni possibile interferenza da essi stessi derivante.
Ciò ha favorito la formazione della cultura di autonomia ed indipendenza della magistratura italiana che le ha consentito di divenire con la propria azione motore di sviluppo e di democratizzazione della società nel senso della promozione e la tutela dei diritti di tutti i cittadini, anche nei confronti dei pubblici poteri.
In tale processo un ruolo fondamentale è stato svolto dal Consiglio superiore della magistratura che ha promosso e declinato tale impostazione culturale, anche in ragione del serrato dibattito, condiviso dall’intera magistratura, tra componenti associative, animato da opzioni di valore diverse in relazione agli snodi politici di indirizzo dell’azione di governo autonomo discrezionale, in funzione di progetti alternativi di esercizio delle prerogative e di promozione di modelli di professionalità condivisi.
L’elaborazione e l’attuazione di prospettive di politica giudiziaria riconoscibilmente orientate alla tutela della funzione giudiziaria – pur in contesti di dialettica anche polemica – ha costituito il principale fattore di legittimazione e fiducia nei confronti dell’organo di governo autonomo della magistratura.
In tempi recenti pare essere venuto meno, o è comunque fortemente ridotta, la capacità del CSM di farsi interprete di istanze riconducibili alla elaborazione della comunità dei magistrati e portatore di scelte discrezionali riconoscibili quali declinazioni – pure opinabili – dei principi di tutela e promozione dei principi di autonomia ed indipendenza interna ed esterna della giurisdizione.
La più recente attività del Consiglio superiore della magistratura, piuttosto che di un trasparente confronto dialettico su opzioni discrezionali alternative, appare segnata da un evidente scollamento dalla elaborazione, le attese, le istanze, della base della magistratura e dei suoi corpi intermedi, con l’interruzione di quel circuito virtuoso di comunicazione che ha sempre costituito la linfa vitale del governo autonomo.
Tale scollamento danneggia in primo luogo il governo autonomo, perché il vuoto dell’elaborazione dei progetti di politica giudiziaria viene riempito da diverse dinamiche decisionali, che interpellano la frammentarietà e scarsa trasparenza dei rapporti personali, amicali e territoriali – a tal proposito andrebbe a mio parere criticamente rivisitato il meccanismo delle primarie che è stato il veicolo per la creazione di potentati elettorali localistici che nuocciono alla democraticità delle scelte collettive.
Così le scelte discrezionali, nelle selezioni concorsuale, nelle valutazioni organizzative e di professionalità dei magistrati appaiono compiersi in contesti ristetti in cui la vicinanza con i decisori prevale sulle regole che lo stesso CSM si è dato. Appaiono prevalere, nella sporadica presenza di voci contrarie, le istanze più vicine ai vertici funzionale delle strutture amministrative e politiche operanti nel settore giudiziario.
Quel vuoto è particolarmente pericoloso perché rischia di venire riempito dalla politica esterna che cerca di piegare l’azione del CSM ad interessi di parte facendone attore non imparziale del dibattito connesso ai più generali equilibri di governo del Paese. A tal proposito non possono essere ignorate le sempre più frequenti prese di posizione pubbliche dei vertici dell’organo di autogoverno che, nell’assenza di ogni reazione da parte della componente togata, promuovono un assetto della sua azione ed un modello di organizzazione della magistratura verticistico e gerarchico, funzionale al controllo delle iniziative giudiziarie.
A ciò si accompagna una sollecitudine sempre maggiore alla censura di violazioni formali o manifestazioni critiche di dissenso da parte dei magistrati estranei a tali circuiti di potere.
In tale maniera, inevitabilmente, è sollecitata una attitudine dei magistrati cautelativa e silenziosa, pronta ad adeguarsi a gerarchia e conformismo, rinunciando ad una quota di autonomia ed indipendenza, per affidare le proprie legittime ambizioni di riconoscimento al favore dei decisori piuttosto che alla qualità della propria professionalità.
Appaiono così traditi i principi di uguaglianza di tutti i magistrati e di soggezione soltanto alla legge, e si genera una frattura del terreno di fiducia e legittimazione del CSM tra i magistrati.
D’altra parte il governo autonomo costituisce patrimonio di valore inestimabile per lo stato di diritto, l’esercizio indipendenze ed autonomo delle funzioni giurisdizionali, in ultima analisi per la tutela dei diritti dei cittadini nello Stato Costituzionale.
Non è possibile rinunciarvi né indulgere in aggressioni liquidatorie che hanno l’unico effetto di ulteriormente deprimerlo e delegittimarlo, rafforzando obbiettivamente pericolosissime pulsioni riformiste che già animano il dibattito.
A tutela quindi proprio dell’autogoverno, ritengo che il primo degli obbiettivi che Area deve perseguire sia la ricostituzione del rapporto dialettico e trasparente con le sedi in cui esso è esercitato, tornando ad un confronto partecipato sule linee generali d’azione che orientino anche le scelte discrezionali che ne costituiscono espressione, sulla base di opzioni di valore condivise nel dibattitto pubblico.
E ciò anche perché, sotto un profilo più pragmatico, non essendo i consiglieri immediatamente rieleggibili, gli effetti politici, in termini elettorali, delle loro scelte non ricadono su di loro, ma sui gruppi che ne hanno promosso l’elezione.