Mozioni
Mozione per fissare quote di genere di risultato negli organismi rappresentativi del governo autonomo della magistratura
Area è la comunità di donne e uomini della magistratura che pone al centro del proprio esistere, tra gli altri, l’attuazione faticosa e quotidiana della Carta Costituzionale ed è per questo che chiediamo che si renda protagonista di un cambiamento atteso da anni capace di restituire visibilità democratica alle donne della magistratura, una delle poche istituzioni italiane in cui non sono ancora previste modalità di rappresentanza di genere.
Gli articoli 3 e 51 della Costituzione, per come interpretati anche dalla Corte Costituzionale (vedi sentenza n. 4/2010), prevedono che nel nostro ordinamento viga il fondamentale principio di uguaglianza sostanziale tra i sessi nella rappresentanza politica, a fronte del quale è evidente però la sottorappresentazione delle donne. D’altra parte è la stessa Carta dei Valori di Area che, in ossequio a detti principi, all’art. 3 comma 3 stabilisce che: “Promuoviamo la presenza paritaria di genere in tutti gli organismi rappresentativi e decisionali.”
A livello sovranazionale, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea – con valore vincolante per il nostro ordinamento - prevede che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi e che il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato (art. 23 inserito nel Capo III relativo all'uguaglianza).
In Europa
Nel Dossier n° 116 del 30 novembre 2016, l 'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (EIGE), agenzia autonoma dell'Unione europea, ha pubblicato il primo rapporto sull'indice dell'uguaglianza di genere, con dati aggiornati al 2015.
Per la prima volta è stato elaborato un indicatore sintetico ma esaustivo delle disparità di genere nell'Unione europea e nei singoli Stati membri. L'indice, che prende in considerazione 6 diversi settori (Lavoro, Denaro, Conoscenza, Tempo, Potere e Salute), ha un valore tra 1 e 100, dove 1 indica un'assoluta disparità di genere e 100 segna il raggiungimento della piena uguaglianza di genere. Particolarmente negativa è la posizione dell'Italia, che con un indice di 41,1 si attesta al 20° posto su 27 Stati membri, sopra a Slovacchia, Grecia, Bulgaria, Portogallo, Croazia e Romania.
Passando alla sfera specifica del Potere, inteso come potere decisionale, si segnala che in questo settore l'indice dell'uguaglianza di genere evidenzia il valore più basso, con un valore medio europeo di 39,7. Anche in tal caso, la performance dell'Italia è negativa, con un indice di 21,8, che la colloca tra gli ultimi posti tra i Paesi UE, sopra solo a Cipro, Portogallo, Romania, Croazia e Slovacchia.
Nel Mondo
A livello mondiale, secondo l'analisi annuale del World economic forum sul Global Gender Gap, nella graduatoria diffusa nel 2016, l'Italia si colloca al 50° posto su 144 Paesi.
Nella graduatoria generale svettano i Paesi del Nord Europa (Islandia, Finlandia, Norvegia, Svezia e Irlanda); per quanto attiene agli altri Paesi europei, la Slovenia si colloca al 9° posto, la Germania al 13°, i Paesi Bassi al 16°, la Francia al 17°, il Regno Unito al 20° e la Spagna al 29° posto.
Prima dell'Italia, quindi con una disparità di genere inferiore, ci sono Mozambico, Capo Verde, Equador e Colombia.
Il Comitato internazionale che sorveglia lo stato di attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne (CEDAW), nel sesto rapporto periodico sull’Italia (anche su questo sorvegliata speciale a livello internazionale), ha formalmente rilevato che le donne sono in una condizione di svantaggio nell’accesso alle cariche decisionali e ha formalmente chiesto all’Italia di adottare concrete misure «per accelerare il raggiungimento della piena ed eguale partecipazione delle donne nei processi decisionali a tutti i livelli e in tutti i settori... anche attraverso l’uso delle quote di genere» (punto 32 della relazione del Comitato reperibile sul sito dei Giuristi democratici).
In magistratura le donne hanno superato il 50 % (sebbene il divieto al loro ingresso sia stato infranto solo con il concorso del 1965).
Nell’ultimo concorso sono risultate vincitrici oltre il 68% di donne.
Al Consiglio Superiore della Magistratura nel 2014 una sola donna è stata eletta dall’Ordine giudiziario e non appartiene ad Area.
È evidente l’esistenza di un “ritardo” particolarmente resistente, non più tollerabile, rispetto al raggiungimento di una condizione di equilibrio di genere nei luoghi massimamente rappresentativi della magistratura.
L’assenza o quasi della rappresentanza femminile non dipende da regole formali di esclusione, ma da ostacoli culturali e sociali, a cui è doveroso reagire individuando misure specifiche capaci di garantire al principio di uguaglianza, quell’effettività che la pratica politico/associativa ed elettorale fino ad oggi non è stata in grado di assicurare.
Si pone una questione non solo di rappresentanza, ma di democrazia a fronte della quale l’associazionismo giudiziario, invece, ha già dato la sua risposta.
Infatti sia l’ANM, che MD ed il Movimento per la Giustizia, da anni hanno adottato statuti che prevedono una quota significativa di rappresentanza. Non basta.
Il sistema delle quote è diventato parte del DNA della magistratura progressista, ne abbiamo compreso, seppure con i suoi limiti, la necessità ed il beneficio, ancora una volta per una questione di democrazia.
Introdurre anche nel governo autonomo della magistrature “quote di risultato” è una doverosa quanto improcrastinabile scelta per superare differenze e discriminazioni e per conseguire -in tempi storici e non biblici – la piena parità rappresentativa per realizzare una democrazia sviluppata ed adulta nell’interesse di uomini e donne.
La questione culturale che è sottesa all’assenza femminile in luoghi decisionali, come il CSM, merita una profonda riflessione, sulla quale auspichiamo che, a partire da questo Congresso, si creino momenti adeguati per operarla perché siamo ancora molto indietro e non possiamo, non dobbiamo, più permetterlo.
Questo dibattito va lanciato da Area a tutta la magistratura, in modo serio, proprio in vista delle elezioni del CSM in cui potremo verificare la differenza tra chi si limita a proporre le pari opportunità e chi, ci auguriamo, è disposto a praticarle nel concreto ed in modo convinto.
Riteniamo che questo diventerà un elemento di discrimine per la scelta di elettrici ed elettori, anche aldilà delle appartenenze, perché dimostrerà la coerenza tra valori e regole, senza aspettare che sia il legislatore ad imporcelo.
La strada dei magistrati e delle magistrate che hanno dato attuazione alla Carta Costituzionale sanno bene cosa ci è voluto per passare dal valore programmatico a quello precettivo delle norme nell’interpretazione. E oggi lo dobbiamo ricordare.
Chiediamo, in conclusione, che AREA si impegni formalmente, con il voto della presente mozione, ad assicurare il risultato di una rappresentanza di genere del 50% sia nei Consigli Giudiziari che al CSM a partire dalle prossime consultazioni elettorali.
Si tratta di una scelta di campo politica, le modalità tecniche con cui questo avverrà è argomento di dettaglio che lasciamo agli organismi dirigenti decidere.
Paola Di Nicola, Natina Pratticò, Rita Sanlorenzo, Carla Lendaro e Gabriella Riello