La Giustizia come bene comune

di Maria Cristina Ornano
segretario generale di Area Democratica per la Giustizia

Saluto cordialmente anche a nome del Coordinamento nazionale di Area Democratica per la Giustizia tutte le persone qui convenute.

Un ringraziamento particolare al Comitato organizzatore e tutta AreaDG Napoli, che, con generoso impegno, ci hanno coadiuvato nell’organizzazione del Congresso.

Ringrazio il Presidente della Corte ed il Procuratore Generale per la sollecitudine mostrata con la loro presenza, il Sindaco dottor Luigi De Magistris, che potrà essere presente con noi solo domani pomeriggio perché impegni istituzionali gli hanno impedito di partecipare all’apertura dei nostri lavori.

Siamo lieti e ringraziamo per la sua presenza il capo di gabinetto del ministro della Giustizia. La dottoressa Betta Cesqui . Il Ministro Orlando è impossibilitato a partecipare ai lavori per impegni sopravvenuti.

Un sollecito e sentito ringraziamento ancora va a tutti i relatori e a coloro che animeranno a vario titolo i lavori nelle sessioni di queste due giornate, alle Autorità presenti e ai numerosi e graditissimi ospiti che hanno voluto prendere parte al nostro Primo Congresso.

 

Non intendo in alcun modo nascondere la profonda emozione che provo nell’apprestarmi a dare avvio ai lavori del Primo Congresso di AreaDG.

Gentili ospiti e cari amici, ci siamo arrivati, ne siamo felici, entusiasti e orgogliosi!

È un obiettivo cui il Coordinamento nazionale ha lavorato con grande impegno, nella consapevolezza che esso costituisce un fondamentale punto d’arrivo nel percorso di costruzione della soggettività politica di AreaDG, ma nel contempo un altrettanto fondamentale ed ineludibile punto di ri-partenza e di rilancio per il gruppo e per l’intera magistratura progressista.

Da questo Congresso, infatti, dal suo dibattito e dall’Assemblea che seguirà, noi ci attendiamo chiare proposte politiche su alcuni temi di interesse generale per la Magistratura e la società, ma ci attendiamo anche una indicazione definitiva e non retrattabile su alcune questioni che riguardano più specificamente il gruppo, il suo presente ed il suo futuro, ad iniziare dal suo assetto strutturale, dal ruolo delle sue dirigenze interne e le loro interrelazioni, dal suo rapporto con i gruppi fondatori e fino alla definizione di una condivisa linea politica sul ruolo e gli obiettivi del gruppo nell’ A.N.M. e nel governo autonomo della Magistratura.

Nella scelta del tema del nostro primo Congresso, abbiamo molto riflettuto nel Coordinamento su quale, tra i tanti che hanno in questi anni qualificato la nostra azione, potesse meglio riflettere l’essenza di AreaDG, quel senso profondo che, pur nella pluralità di sensibilità e voci, consente di riconoscerci e di essere riconosciuti come parte di una stessa esperienza umana, politica e culturale. Si è imposta l’idea della Giustizia come bene comune.

Noi siamo stati abituati tradizionalmente a concepire la Giustizia come il risultato dell’agire di un apparato dello Stato, percepito come estraneo e non di rado financo ostile al cittadino ed alla comunità. Riflesso di questa impostazione è l’idea che spetti in via esclusiva allo Stato garantirne l’efficienza e che le sorti e gli esiti dell’amministrazione della giustizia siano separabili dal benessere delle persone e della società. Sappiamo bene che non è così.

Se nella moderna dogmatica dei beni comuni il loro connotato tipico è individuato nella esistenza di una relazione essenziale che si instaura tra le persone, i beni comuni e i diritti delle persone, ebbene la Giustizia è un bene comune, perché essa è strumento necessario, essenziale e non sostituibile con altri per garantire i diritti delle persone. I beni comuni hanno a che fare con la democrazia ed il suo esercizio, con l’eguaglianza e la parità di trattamento, pari condizione di accesso alla fruizione del bene, con la soddisfazione dei bisogni della persona slegata dalla logica mercantile. Proprio come nella nostra visione dovrebbe essere la Giustizia.

Ma se la Giustizia è un bene comune, essa è un bene che, come tutti i beni comuni, si fonda sul legame sociale, sul ruolo attivo che i suoi fruitori assumono nella sua costruzione e nella sua difesa. Perché se il bene è comune, ciascuno di noi lo utilizza insieme agli altri e tutti dobbiamo contribuire a costruirlo e difenderlo non solo per il nostro immediato interesse, ma per quello della collettività tutta e del suo futuro. E in questa visione la Giustizia, il suo funzionamento e la sua qualità pertengono non più solo allo Stato ed a coloro che professionalmente vi operano, ma anche alla comunità e alle persone che la compongono, chiamate a contribuire, ciascuno per la propria parte, alla costruzione, al funzionamento ed alla difesa di quel bene – la Giustizia – da cui tanto dipende il benessere delle persone e della società. Ed a considerarla un bene che appartiene a tutti ed a ciascuno.

Su questa idea e sui suoi molteplici corollari si è sviluppata l’esperienza di Area.

Spesso sentiamo ripetere che Area è nata come alleanza strategica – per qualcuno solo tattica – tra i gruppi tradizionali della magistratura progressista per fronteggiare le sfide delle competizioni elettorali. Ciò è vero, ma riflette solo una parte, quella più superficiale, che non coglie il senso profondo dell’esperienza.

Se ci riflettiamo bene, Area è nata sul portato di quelle variegate esperienze nate da un lavoro di base, quali gli Osservatori sulla Giustizia, laboratori di autoformazione, e altre analoghe, che a partire dai primi anni duemila, hanno visto la magistratura, l’avvocatura ed il personale amministrativo collaborare insieme nella redazione di protocolli organizzativi, nella elaborazione e diffusione di buone prassi condivise, nella sottoscrizione di convenzioni, accordi e impegni di collaborazione con amministrazioni locali, le Regioni, le scuole e gli enti.

Possiamo dire che siamo stati i precursori ed i protagonisti delle buone prassi organizzative.

Area si è situata fin dalla sua nascita nel solco di una visione della magistratura come servizio, del rifiuto del carrierismo e del corporativismo, della consapevolezza del ruolo sociale del magistrato, dell’indipendenza e dell’autonomia del magistrato non come privilegio di casta, ma come precondizioni per assicurare l’eguaglianza e l’effettività dei diritti; di una magistratura non autoreferenziale che dialoga con l’avvocatura che considera il primo imprescindibile presidio di tutela delle persona e dei suoi diritti, di una magistratura aperta alla società civile che vuole rendere leggibile all’esterno la propria azione e darne una spiegazione razionale.

Una visione che è divenuta metodo di lavoro, che è stata ed è lo specifico dei gruppi fondatori, tale da marcare anche in ciò una differenza profonda tra essi e gli altri gruppi della magistratura associata, e che è divenuto il tratto distintivo di Area.

È in questa idea di Giustizia come bene comune ed in tutti i suoi postulati e corollari che noi tutti ci identifichiamo, è perciò che siamo ormai “ Area Democratica per la Giustizia”.

E per questo abbiamo deciso di aprire il nostro Congresso proprio con la sessione dedicata al rapporto tra la giustizia e la comunità e di chiuderlo con una riflessione sui patrimoni illeciti che la giustizia recupera alla comunità.

 

La Magistratura deve confrontarsi oggi con un mondo sempre più ingiusto.

L’instabilità è la cifra che domina tuttora gli scenari politici mondiali, ma in particolare del medio oriente e di quello nordafricano, dove vi sono paesi che si affacciano sulle nostre coste. La destabilizzazione dell’ordine nato con la fine dell’esperienza coloniale, ha creato il terreno di coltura per gli estremismi religiosi ed il terrorismo; le guerre e le violenze che ne sono derivate hanno generato nuovi flussi migratori, che si sono aggiunti a quelli economici con i quali ormai da tempo ci misuravamo.

L’Europa stenta a dare risposte efficaci contro il terrorismo ed elude la risposta al problema dei flussi migratori. Assistiamo con sgomento, perfino nella civile Unione Europea all’innalzamento di muri e alla chiusura delle frontiere. Si rifiuta l’accoglienza, anche se per quote e non si lavora per creare corridoi umanitari che consentano ai migranti, almeno per chi fugge da paesi in guerra, di raggiungere i nostri paesi in sicurezza, legalità e dignità. E ciò sebbene proprio questa potrebbe essere una strada, forse la più efficace, per sconfiggere la criminalità che trae dalla tratta di essere umani proventi persino più lucrosi di quelli legati al traffico di droga. L’Europa ci ha lasciato soli a gestire il problema dei flussi migratori, problema che viene ad inserirsi in un contesto interno segnato a sua volta da gravi difficoltà.

Anche il nostro paese è, infatti, sempre più ingiusto. In esso, come in quasi tutti i paesi sviluppati, dagli anni ottanta in poi, si è assistito ad un progressivo rallentamento del processo di redistribuzione della ricchezza, cui ha fatto da pendant l’accrescersi delle disparità sociali. Globalizzazione e concorrenza hanno profondamente cambiato il mondo del lavoro, determinando un abbattimento e appiattimento in basso dei salari, cui si è accompagnato un processo di diffusa precarizzazione del lavoro; le nuove tecnologie hanno annullato posti di lavoro senza creare altrettante opportunità la delocalizzazione all’estero di moltissime realtà produttive di medie e grandi dimensioni ha creato vaste sacche di disoccupazione, con picchi drammatici specie per quella giovanile; le politiche di Austerity, la stretta nel settore creditizio verso le piccole e medie imprese ha segnato la fine di quella che era stata la tradizionale struttura portante della nostra economia. Tutto ciò ha marcato vecchie diseguaglianze e ne ha creato di nuove.

La perdita del lavoro, la sua precarizzazione, la riduzione dei diritti sociali, l’assenza di politiche della casa e del sostegno alle famiglie, i bassi investimenti nella scuola e nella ricerca e potremmo ancora continuare, non sono però frutto di un accidente o una inevitabile conseguenza di processi globali, ma alla radice, frutto di una cultura e di una politica che legittimano la disuguaglianza, che mettono in discussione il sistema del welfare nelle sue fondamenta vissuto come un peso e non, come dovrebbe essere, un vantaggio, mirano a disegnare un nuovo ordine sociale, affrancando sul piano etico le ingiustizie sociali.

Queste ingiustizie si traducono in sentimenti di paura e in un senso di profonda insicurezza nelle fasce più fragili della popolazione, ai quali si risponde con il populismo, il terreno sul quale matura il rifiuto pregiudiziale dell’altro e la colpevolizzazione in forza della condizione personale : di straniero, di povero, di migrante, di emarginato. Il rifiuto, l’esclusione sociale e la marginalizzazione di larghe fasce della popolazione evocano la risposta sicuritaria, che non contrasta la povertà, ma la criminalizza o la nasconde alla vista delle persone.

Tutte queste ingiustizie, che la politica non contrasta, ci parlano di diritti negati, violati, limitati e chiamano in causa direttamente la magistratura e l’esercizio della giurisdizione.

Come chiamano in causa la magistratura i nuovi diritti: abbiamo un parlamento che non riesce a fare scelte su temi eticamente sensibili e perciò evita di regolare intere materie o le regola con tale incoerenza da disorientare le persone e creare ingiustizia. Lo abbiamo visto con la legge sulla procreazione assistita, poi con le unioni civili e la stepchild adoption e ora lo stiamo vedendo con il fine vita.

Ma così è anche con la legge sulla nuova cittadinanza: un milione di minorenni la maggior parte dei quali nati in Italia da cittadini stranieri stabilmente residenti in Italia sono a tutti gli effetti italiani senza cittadinanza, perché la legge sullo jus soli approvata alla camera nel 2015 si è arenata al Senato da oltre un anno. Si tratta di un ritardo intollerabile su un diritto fondamentale che, per di più, riguarda i minori. Perciò abbiamo avvertito l’urgenza di una pubblica discussione, dapprima con un seminario a Padova e ora quale tema congressuale.

E parimenti abbiamo ritenuto urgente e non differibile, proprio perché afferente al tema dei diritti deboli, una riflessione pubblica per comprendere che cosa stia succedendo a due anni di distanza dalla definitiva chiusura degli Opg, perché i segnali che abbiamo non sono affatto rassicuranti.

Di fronte ad una politica incapace di dare risposte adeguate ai bisogni del presente e di guardare e progettare il futuro, quando si tratta di diritti fondamentali il magistrato non può sottrarsi alla domanda di giustizia, ma deve dare risposta perché questo è il compito che la costituzione nel quadro del circuito democratico gli affida.

Istanze di tutela ineludibili, dunque, che vanno ad aggiungersi all’enorme contenzioso che grava sulla nostra giurisdizione ed a cui la magistratura non riesce a dare risposte efficaci ed in tempi ragionevoli. Gli standard di produttività sempre crescenti, cui i magistrati ed il personale amministrativo, con senso di responsabilità, si sono sempre adeguati, non è servito a risolvere il problema dell’arretrato e delle pendenze ed a rendere giustizia in tempi ragionevoli, Perché il problema della inefficienza e lentezza della giustizia, non è la produttività dei magistrati italiani (che il rapporto Cepej del 2016 attesta ancora una volta come uno tra i più alti dei paesi dell’Unione), ma è strutturale.

C’è, anzitutto, un problema urgente e prioritario di reclutamento dei magistrati, perché su esso disegniamo la magistratura del futuro. E’ urgente e non procrastinabile a nostro avviso il ritorno al concorso di primo grado e per rispondere a questa urgenza ne abbiamo fatto tema congressuale.

C’è poi un problema di risorse umane e materiali che il processo di informatizzazione ormai in atto non risolve, ma piuttosto acuisce, aprendo scenari del tutto nuovi ed ancora inesplorati sul versante dell’organizzazione e dell’innovazione.

C’è nel contempo urgenza di riforme di sistema, così nel processo e nel diritto sostanziale. In particolare è indifferibile nel processo penale una riforma della prescrizione ed occorre dare una volta per tutte svolta decisa e coraggiosa verso il diritto penale minimo.

Dobbiamo dare atto al ministro Orlando di essersi impegnato ad invertire la politica dei tagli alla giustizia avviando i concorsi per il reclutamento del personale amministrativo, anche se i risultati ancora non si apprezzano e se dalla politica arrivano segnali preoccupanti, come è per il ddl penale in discussione alle camere, nel quale sono contenute norme di accelerazione del tutto irrazionali, che non solo non risolvono nessuno dei problemi del processo penale, ma rischiano di danneggiare gravemente la qualità e la completezza delle indagini e di aprire la strada ad una gestione burocratica e verticistica degli uffici di Procura.

Inaccettabile poi, ci pare la soppressione di un modello di giurisdizione come quella minorile che tutti i paesi civili ci invidiano. AreaDG ha espresso la propria contrarietà sia autonomamente sia attraverso la A.N.M. verso una scelta dal respiro corto e che pretende di risparmiare proprio laddove è maggiore il bisogno di giurisdizione specializzata.

È forte la nostra attenzione sulla vicenda della magistratura onoraria per il rischio che scelte affrettate e non oculate possano avere ricadute pesanti sulle persone e sull’efficienza degli Uffici giudiziari. E tuttavia, come per il settore minorile, come per i giovani magistrati, anche per la magistratura onoraria siamo convinti che spinte eccentriche e la ricerca di legittimazione presso le sedi istituzionali e politiche al di fuori dall’ANM costituiscano un grave errore, perché delegittimano e depotenziano l’azione dell’ANM la quale, specie in questo momento storico, ha la capacità e la forza di recepire e nel contempo rappresentare unitariamente e con efficacia le istanze di tutta la magistratura.

La giurisdizione vive dunque tempi sempre più difficili, per fronteggiare i quali è necessario che la Magistratura sappia parlare con voce unitaria. Per questo AreaDG ha sostenuto con convinzione la costituzione della Giunta unitaria dell’ANM, pur nella consapevolezza della delicatezza e delle molte implicazioni e rischi che essa comportava, anche sul terreno della riconoscibilità e della comunicazione politica del gruppo. E tuttavia dobbiamo dare atto ai nostri rappresenti nella GEC, in quella uscente ed in quella nuova, come alla nostra componente in CDC di aver saputo svolgere lealmente con gli altri gruppi un’efficace mediazione politica non giocata al ribasso e sempre condivisa con il Coordinamento nazionale, attraverso la pratica di un ormai collaudato metodo di lavoro, che questo coordinamento affida, non senza soddisfazione, al prossimo gruppo dirigente.

Non possiamo poi che esprimere grande soddisfazione per l’attuale presidenza di AreaDG in capo ad Eugenio Albamonte, nella quale crediamo il gruppo e larga parte della magistratura possano pienamente riconoscersi.

A lui, ai componenti della GEC ed a tutto il gruppo di AreaDG nel CDC dell’A.N.M., rivolgiamo un sentito ringraziamento per l’importante lavoro che stanno svolgendo.

 

Siamo profondamente convinti della necessità, specie a fronte delle molteplici difficoltà che la magistratura e la giurisdizione vivono, che la magistratura progressista si esprima in modo unitario in tutti i luoghi della rappresentanza politica e istituzionale.

AreaDG è da tempo punto di riferimento della magistratura progressista, tanto che costituiamo formazioni unitarie in ogni rappresentanza politica e istituzionale. Le nostre rappresentanze non esauriscono evidentemente la vita ed il senso di Area, ma sono piuttosto il portato della sua identità politica : di un soggetto politico unitario, democratico e pluralista, nel quale la vasta platea della magistratura progressista possa riconoscersi e ritrovarsi su un comune e condiviso patrimonio di idee e di valori, che ha alla base la consapevolezza del ruolo sociale del magistrato e della magistratura, quali attori sociali chiamati ad inverare i valori della Costituzione, primo fra tutti l’eguaglianza sostanziale, così nel concreto esercizio della giurisdizione, come nella società.

Perciò AreaDG non è solo un’esperienza cui i gruppi fondatori hanno dato vita, ma è un soggetto politico alla cui costruzione contribuiscono, perché esso si pone in linea di piena continuità, nella comune e condivisa consapevolezza che la vocazione di AreaDG sia quella di rivolgersi ad una platea di magistrati più ampia rispetto a quella che tradizionalmente si riconosceva nei gruppi fondatori. E’ quindi un rapporto che si gioca sul terreno della complementarietà tra gruppi della magistratura associata, che, condividendo un grande patrimonio di idee e di valori, nella pratica della democrazia e del pluralismo, discutono e si confrontano con l’obiettivo di una sintesi, che consenta alla magistratura progressista di essere presente e parlare con voce unitaria, e perciò, più forte, nei luoghi della rappresentanza politica ed istituzionale.

 

Il Coordinamento ha molto lavorato perché questa identità politica si esprimesse all’interno della magistratura e fosse riconoscibile all’esterno.

Abbiamo lavorato con grande impegno sul terreno della comunicazione politica, con documenti, comunicati e proposte; abbiamo cercato di approfondire molti e importanti temi, sia di tipo politico sia ordinamentale e lo abbiamo fatto con iniziative di alto livello anche grazie alla rete dei referenti territoriali, che costituiscono un punto di forza del gruppo; a tutti i referenti territoriali, impegnati in un lavoro di puro servizio va la gratitudine ed il riconoscimento dell’intero gruppo e del coordinamento. Sarebbe davvero un elenco troppo lungo da rievocare, ma tra queste vorrei ricordare in particolare, le tante iniziative sulla violazione dei diritti umani in Turchia che si sono svolte in tutta Italia, lo jus soli, l’immigrazione, il terrorismo e da ultimo, vorrei sottolinearlo perché su questo c’è stato un grande impegno del gruppo, l’iniziativa di AreaDG Roma sui tribunale per i minorenni; da ultimo mi piace ricordare, per il suo alto significato, l’impegno del gruppo per una buona legge sulla tortura.

Numerosi i seminari ordinamentali, culminati nell’assemblea del novembre 2016, e proseguiti poi con il seminario sui consigli giudiziari e il seminario di Taranto. In particolare, voglio ricordare la mozione finale dell’assemblea nazionale del novembre 2016, nella quale su molte delicate questioni, è stata definita una linea politica che deve impegnare l’intero gruppo in tutte le sue articolazioni.

Abbiamo aperto il sito, che è ora sito del Congresso, ma diverrà il sito di AreaDG. Ha comportato un grande impegno, di cui andiamo particolarmente fieri. Al dottor Paolo Sparaci, che ha curato la sua realizzazione, esprimiamo particolare gratitudine.

Dando corso ai mandati assembleari, il Coordinamento ha poi lavorato con decisione per consolidare la struttura e l’organizzazione del gruppo, dando vita ad un soggetto giuridico autonomo con l’adozione nel giugno 2016 dello Statuto, che l’assemblea del novembre successivo ha approvato con l’emendamento che prevedeva la nomina di un segretario politico in seno al coordinamento; proponiamo ora all’assemblea l’adozione del nuovo logo e del nome AreaDG. E abbiamo avviato la campagna delle iscrizioni che è tuttora in corso.

Abbiamo assunto decisioni molto impegnative per il gruppo; potremmo chiudere ogni discussione ricordando che esse hanno dato corso a precisi mandati assembleari e che l’assemblea di novembre 2016, approvando lo statuto, le ha pienamente condivise.

Ma vogliamo dire che si tratta di decisioni assunte con convinzione, perché ineludibili e necessarie. AreaDG nasce come gruppo plurale, inclusivo ed aperto al contributo di tutti. AreaDG vuole rimanere tale, ma, proprio per rimanere tale e non disperdere il suo patrimonio, deve maturare strutturandosi secondo la sua vocazione democratica e pluralista

Ora ogni posizione è legittima, comprendiamo l’opzione politico-culturale di chi continua pensare ad AreaDG come un gruppo liquido e sceglie perciò di non iscriversi, pur continuando a guardare ad esso come punto di riferimento del campo progressista della magistratura.

Ma ciò che non è accettabile, è che qualcuno, ponendosi all’esterno del gruppo, pretenda di sceglierne le dirigenze, di dettare o interferire con la linea politica, insomma pretenda di governare senza assumersi la responsabilità politica del gruppo.

Questo non ha nulla a che fare con la democrazia.

E non è affatto detto che tutto ciò che matura nel tempo della liquidità sia positivo. Anzi. Il potere si riorganizza e non conosce vuoto. E il rischio reale, allora – un rischio serio anche per il nostro gruppo -, di cui non stentiamo a intravedere i segni, è che il consenso si coaguli non intorno ad un comune e condiviso patrimonio di idee, ma su territorialismi, localismi e sul carisma personale, aprendo così la strada alle pratiche clientelari nei luoghi in cui esse possono esercitarsi, ad iniziare dal circuito dell’autogoverno.

Se il gruppo si costruisce intorno ad un comune e condiviso patrimonio di idee e valori, occorre assicurare coerenza tra questi e l’azione delle rappresentanze politiche ed istituzionali. Per realizzare questa coerenza il controllo democratico diffuso è indispensabile, ma da solo non basta. Per dare corpo e forza a questo controllo occorre oggi pensare ad una dirigenza che, espressione della base, sia forte, autorevole ed indipendente, capace, a partire dall’elaborazione collettiva, di enucleare e indicare la linea politica del gruppo e di svolgere quel ruolo di necessaria ed indispensabile cerniera e sede di mediazione tra la base e l’autogoverno. Mediazione che è oggi indispensabile per ricondurre il sistema a coerenza.

 

E questa decisione è poi viepiù ineludibile a fronte delle grandi preoccupazioni che suscita in noi lo stato attuale dell’autogoverno.

Questa consiliatura, come d’altra parte le precedenti, mostra luci ed ombre.

Dobbiamo dare atto al Consiglio Superiore e in particolare alla componente di Area DG, cui perciò il gruppo esprime apprezzamento, di un impegno sfociato in iniziative di vario segno su temi importanti per la magistratura e la giurisdizione, alcuni dei quali oggetto del nostro Congresso. Sono davvero tanti, vogliamo ricordare il lavoro sulle buone prassi, sulla REMS, la risoluzione relativa agli incarichi politici dei magistrati, i numerosi apprezzabili pareri sui disegni di legge, il nuovo sito web, i lavori in corso per una nuova circolare sulle Procure e sui beni confiscati.

È peraltro in atto una vera e propria campagna di delegittimazione del Consiglio Superiore. In parte essa è ascrivibile ad una demagogica e populistica strumentalizzazione, che è del tutto estranea ad AreaDG, come estranei ci sono modalità di comunicazione per slogan e i toni urlati, che riflettono il segno dei tempi, ma non ci appartengono.

Bisogna dare atto a questo Consiglio di avere dovuto fare fronte ad una situazione di emergenza con centinaia di nomine su cui provvedere.

E tuttavia, c’è un sentimento di disaffezione e di sfiducia verso l’azione consiliare che va al di là di ciò e riflette un disagio ormai molto diffuso tra i magistrati verso l’autogoverno.

V’è stata una azione consiliare che, specie in materie di nomine dei dirigenti, in tanti momenti non è apparsa leggibile alla luce delle regole che lo stesso Consiglio si è dato, così da far apparire quella che nel disegno costituzionale dovrebbe essere una discrezionalità tecnica, come una discrezionalità svincolata da regole, che non siano quelle dell’opportunità, suscettibile quindi di essere percepita come arbitrio.

La questione non è più solo interna, ma viene avvertita anche all’esterno della magistratura e che come attestano anche recenti articoli di stampa,

C’è dunque, a nostro avviso, la necessità di ricondurre a coerenza e razionalità l’azione consiliare, condizione indispensabile perché il Consiglio Superiore possa assolvere pienamente alla sua altissima funzione e restituire autorevolezza alle decisioni. Autorevolezza che non si fonda sull’esercizio del potere in sé, ma sulla razionalità, l’equilibrio, la ragionevolezza, canoni da cui si inferisce l’indipendenza e l’imparzialità delle decisioni.

La critica sterile al sistema è populismo e AreaDG non fa populismo.

E perciò occorre superare il momento della critica per comprendere e trovare soluzioni. Riteniamo quindi urgente avviare una seria riflessione collettiva sul TU della Dirigenza, per farne un bilancio alla luce della sua pluriennale applicazione, per valutare l’uso e gli orientamenti del disciplinare e affrontare con serietà un ragionamento sull’annunciata riforma dell’art. 2 Legge Guarentigie.

Questo sarà un forte impegno di AreaDG in questo scorcio di consiliatura e per la costruzione del CSM che verrà.

 

Prima di concludere vorrei esprimere a nome mio e del gruppo un ringraziamento, il più affettuoso, verso i componenti di questo Coordinamento che ormai si avvia alla scadenza del suo mandato.

A Glauco Zaccardi, a Stefano Pesci e a Mario Suriano che hanno fatto con noi una parte di strada, ai segretari dei gruppi fondatori, Maria Rosaria Guglielmi e Carlo Sabatini che con intelligenza e sensibilità non solo hanno saputo svolgere un’efficace mediazione con le rispettive dirigenze, ma hanno condiviso con noi il lavoro e le difficoltà del coordinamento. E a tutti gli altri componenti Alessandra Dalmoro, Giuseppe De Gregorio, Giorgio Falcone, Paola Filippi, Stefano Musolino e a Lucia Vignale, tutti instancabili generosi compagni di lavoro, per me ormai soprattutto amici, che hanno saputo interpretare il ruolo della dirigenza politica del gruppo e il mandato elettorale nel miglior spirito di AreaDG quella di un servizio disinteressato e generoso rivolto alla costruzione della Giustizia come bene comune.

A loro vada la gratitudine del gruppo.

Quanto a me non ho che da ringraziare il coordinamento ed il gruppo per la fiducia che mi è stata accordata, perché per me è stato un grande onore essere il primo Segretario di Area DG.

Abbiamo davanti tempi difficili e importanti sfide da affrontare.

Ma da Segretario vi dico che AreaDG può contare su tante intelligenze, competenze, elevate professionalità e soprattutto una straordinaria capacità di elaborazione collettiva.

E tuttavia, intelligenza, preparazione, competenza tecnica, restano solo delle grandi potenzialità per mettere a frutto le quali e affrontare efficacemente e con successo le sfide che ci attendono ci vogliono anche passione, entusiasmo, impegno generoso e gratuito, e occorre qualcosa di cui in questo gruppo dovremmo imparare a fare miglior pratica, l’amicizia che richiede certo obiettività e critica, ma anche affetto, solidarietà, e spirito di gruppo.

Abbiamo la testa per pensare, ora abbiamo anche le gambe per camminare.

Mostriamo anche il nostro cuore.

E con questo auspicio e con questa speranza dichiaro aperti i lavori del primo Congresso di AreaDG. Buon lavoro e buona permanenza a tutti.