Sull’accesso alla magistratura
Il tema della preparazione preconcorsuale è argomento importante, perché si tratta di un periodo decisivo nella formazione del futuro magistrato, destinato ad incidere fortemente nel suo d.n.a. ed idoneo a condizionare lo stesso percorso formativo iniziale.
La Scuola superiore della magistratura si è per questo opportunamente preoccupata di approfondire questo tema, mediante iniziative di studio intese a mettere a confronto i vari “soggetti” protagonisti di questa fase di preparazione, che vede in concorrenza a) corsi privati; b) SSPL; c) da ultimo: tirocini formativi negli Uffici giudiziari ex art. 73 dl n.69/2013.
Abbiamo monitorato tutti i m.o.t. vincitori degli ultimi 4 concorsi, circa 1200 giovani magistrati, acquisendo dati intesi a ricostruire con un campione statistico di indubbia validità, la situazione di questa “area grigia”, non ancora sufficientemente esplorata (anche soprattutto per la conclamata presenza di non poche iniziative private gestite da magistrati, anche ordinari, in palese violazione del disposto del CSM).
Inciso: siamo ben consapevoli dell’ingiustificata disparità di trattamento che in materia discrimina il magistrato professionale da quello amministrativo, ma mi chiedo se sia tollerabile la diffusa violazione di una prescrizione regolamentare, e perché i CG e il CSM la tollerino…
Le risultanze statistiche sono illuminanti:
anche se la partecipazione a corsi privati, come è noto, non costituisce titolo abilitante per la partecipazione al concorso, l’83% dei mot li ha frequentati, mentre il residuo 17% si è limitato a diplomarsi presso le SSPL o ha partecipato al concorso per aver superato l’esame di avvocato ovvero munito di altro titolo.
Il rapporto è illuminante e basta da solo a spiegare come la domanda del “mercato” evidenzi la bocciatura del modello formativo delle SSPL, mai rimpiante dai m.o.t., che anzi ritengono di avere “perso tempo” nel frequentare corsi improntati ad una ripetizione del modulo didattico universitario.
Mancano i dati del tirocinio formativo o stage, che solo forse nel prossimo concorso potranno essere adeguatamente valutati, ma il vistoso calo delle iscrizioni per tutte le SSPL già da solo evidenzi come l’Università abbia ulteriormente perso terreno, per l’indubbio maggior appeal dello stage, che ha i suoi punti di forza nell’immersione empirica nella pratica giudiziaria (anche in funzione di orientamento professionale), nella durata più breve (18 mesi e non 24) e nel compenso acquisibile.
Sarà interessante verificare l’incidenza percentuale tra i nuovi mot degli ex stagisti, ma non è dato illudersi che il tirocinio formativo (la cui utilità per l’apporto fornito negli uffici giudiziari, anche lì dove non si è realizzato l’ufficio per il processo è evidente a tutti) possa essere in grado di erodere le iscrizioni ai corsi privati, con continueranno a costituire il percorso privilegiato, e quasi necessario, per il superamento del concorso, essenzialmente perché speculativamente costruiti in funzione delle prove scritte.
La novità (positiva) dei tirocini formativi apre nuove prospettive che non dobbiamo affrontare impreparati: se una quota presumibilmente rilevante dei nuovi m.o.t. sarà costituita da giovani che hanno già per 18 mesi affiancato i giudici nei tribunali, allora il nuovo modello di mot 3.0 sarà ancora più lontano dall’uditore e dallo stesso neomagistrato che finora non aveva pratica dell’Ufficio giudiziario, per cui occorrerà rivisitare il modulo didattico della formazione iniziale, che potrà far conto di un percorso formativo già iniziato durante lo stage…
Ma il tema più urgente e rilevante in materia di accessi alla magistratura è quello relativo al mutamento della componente sociale della magistratura, dove è in atto da troppo tempo e senza un doveroso allarme una inedita selezione censitaria: quanti e chi sono in grado di mantenersi per tanti anni con studi onerosi in vista di un (aleatorio) superamento del concorso?
Sempre dalla verifica statistica operata dalla SSM il 62% dei m.o.t. degli ultimi quattro concorsi ha frequentato sia corsi privati che pubblici, cumulando costi non accessibili a tutti, e solo il 5% si è preparato da solo…
A questo si aggiunge come l’età media di superamento del concorso (rispetto al D.M. ) è oggi di quasi 32 anni, frutto di una riforma sciagurata, pesantemente influenzata da polemiche contro la figura del “giudice ragazzino” dopo che un Capo dello Stato aveva detto che non si possono affidare indagini delicate a chi ha solo da poco superato un concorso: “….io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta..”.
Una riforma, quella del concorso di (cosiddetto) secondo grado, dobbiamo dirlo, non adeguatamente contrastata anche dalla magistratura, nella malcelata illusione che la parificazione del modello di accesso a quello dei giudici amministrativi potesse derivare vantaggi economici…
Molto più opportuno anticipare il tempo di accesso alla magistratura, per poi eventualmente consentire una formazione iniziale più adeguata e selettiva.
Credo che oggi l’ ANM, ma AreaDG in particolare, dovrebbe impegnarsi in un’azione risoluta chiedendo una modifica del concorso di accesso, che riporti in termini accettabili i tempi di ingresso.
Anche dal ministero giungono segnali di disponibilità in tal senso, per cui è presumibile prefigurare un obiettivo possibile e condiviso: abbiamo i magistrati con l’età media più alta d’Europa, ed il rimedio deve essere strutturale, modificando i requisiti del concorso, e non certo intervenendo (come accaduto) diminuendo il tirocinio ad un anno.
La relativa riduzione del periodo di tirocinio dei m.o.t. presso la Scuola induce a molteplici preoccupazioni: se è vero che sei mesi di tirocinio iniziale sono oggettivamente troppi (comportando un frazionamento eccessivo del periodo di tirocinio negli uffici), l’intervenuta riduzione a quattro settimane si sostanzia di fatto in una cancellazione della Scuola dal percorso formativo.
È pur vero che la compressione del tirocinio è stata dichiarata come precaria e emergenziale, ma è lecito avanzare dubbi in proposito, in un’Italia in cui nulla è più definitivo del provvisorio.