A cosa serve la Corte di Cassazione?
Gli interrogativi sul ruolo attuale della Corte di legittimità non riguardano solo i magistrati che lavorano in Piazza Cavour. La Cassazione concentra su di sé, sempre di più, molte delle tendenze, e delle tensioni, che attraversano il corpo della magistratura.
Sappiamo bene che i problemi sono risalenti e corposi, oggetto già da tempo di denuncia e di mobilitazione. Alcune recenti assemblee ANM sono state intitolate a “La Corte assediata”; sul funzionamento della stessa Corte fu indetta l’Assemblea generale del 2015 ex art. 93 ord. giud.
Il problema sta innanzitutto nel sovraccarico dell’arretrato, che mette a rischio la stessa possibilità di svolgere le funzioni di una Corte suprema, e in particolare quella di nomofilachia, visto che le sopravvenienze si contano nell’ordine di 30 mila annue per il civile e 50 mila per il penale.
Anche su questo snodo critico si dovrebbe ripensare il ruolo del CSM, che dovrebbe saper riprendere saldamente l’iniziativa e la capacità di proposta e di interlocuzione con la politica.
Abbiamo tutti ben presenti le criticità più rilevanti.
Le iniziative legislative sull’applicazione forzata del massimario alla sezione tributaria calano dall’alto una misura organizzativa che espropria l’autogoverno di ogni responsabilità progettuale. Incidono pesantemente su quella che Pizzorusso definiva la riserva all’autogoverno della materia tabellare organizzativa. Di fatto, ostacolano pericolosamente la stessa attività del massimario, fondamentale per la funzione nomofilattica.
La vicenda del memorandum sulle giurisdizioni apre un altro squarcio inquietante sull’alterazione degli equilibri istituzionali, dal momento che chi ha dato legittimazione ad una associazione di diritto privato di assumere una iniziativa politica di tale (inaccettabile) portata sono stati coloro che dall’interno della magistratura hanno accettato questa interlocuzione.
Sul tema difficile dell’organizzazione stessa del lavoro in Cassazione crediamo che il Consiglio dovrebbe farsi protagonista di una riflessione ed un confronto più ampi. Lo sforzo produttivistico crea una palpabile sofferenza in colleghi capaci e motivati, che finiscono per patire scelte complessive su cui non ci pare vi sia la necessaria interlocuzione. La stessa cameralizzazione del rito, per il civile, risponde nei fatti alla scelta di aumentare lo “smaltimento”, quando l’abnormità riguarda l’eccesso dei processi che non dovrebbero arrivare di fronte ad una Corte di legittimità. Può definirsi questa una riforma di sistema? In realtà, incide solo su un segmento, “scarica” tutto sulla Corte, al cui interno peraltro fioriscono soluzioni diverse e non omogenee su come affrontare la riforma, ma soprattutto deresponsabilizza il legislatore che non riesce a trovare la forza di limitare l’accesso a monte e allora lascia che a valle si provveda (ancora) con l’aumento dei numeri.
E poi c’è la Procura generale, lasciata in un ibrido che non l’aiuta a ritrovare un’identità, e nemmeno a sentirsi parte di un qualche programma comune.
L’impulso dato alla capacità di smaltimento soffre della mancanza di una progettualità a medio, più che mai a lungo termine. Rafforza il ruolo di chi al vertice decide quale entità debba avere questo sforzo produttivistico, e dunque rende inevitabile una maggior gerarchizzazione interna, ed un più forte impulso, nel nome del raggiungimento della maggior prevedibilità della giurisprudenza a scopo deflattivo, al conformismo giurisprudenziale.
E’ dunque un cambiamento sensibile che implica a cascata profonde alterazioni nello stesso tessuto della magistratura di merito, portata a guardare alla legittimità come l’ombrello sotto cui ripararsi dalle contestazioni alla professionalità, protetta dalla acritica conformazione al precedente, piuttosto che come l’interlocutore attento e qualificato a cui chiedere la razionalizzazione del quadro composto dalle varie esperienze di interpretazione diffusa.
Al Consiglio che viene bisognerebbe chiedere con forza un impegno per mettere al centro la Corte, e per prospettare soluzioni che ne rispettino e ne valorizzino il ruolo.