Rendere effettivo il diritto alla genitorialità e alla cura parentale

È necessario restituire  dignità al tempo della vita e armonizzarlo col tempo del lavoro.  Vogliamo  promuovere questo cambiamento nella magistratura italiana, individuando gli strumenti normativi e organizzativi che possono contribuire a realizzarlo. Vogliamo che questi temi diventino oggetto  di interlocuzione istituzionale tra il CSM , il Governo e il Parlamento

Il diritto alla genitorialità e il piu generale diritto alla cura nei rapporti parentali, si collocano nel novero dei diritti fondamentali della persona. Ciò nonostante, ad essi (e a tutto ciò che attiene al principio del benessere organizzativo) si è prestata fino ad epoca recente scarsissima attenzione. Ci pare che questo sia paradossale, perché i diritti di cui parliamo attengono alla sfera più intima della persona e riguardano i momenti più delicati della vita: la maternità, la cura e l’educazione dei figli, la malattia dei familiari. Questo paradosso è ancor più evidente se consideriamo quanto pregnanti ed ineludibili siano i doveri che a quei diritti corrispondono.

La coniugazione tra i diritti della e nella genitorialità e il tempo del lavoro è resa ulteriormente complicata dal fatto di essere intimamente connessa alla questione, in sé complicata e tuttora irrisolta, del genere, senza tuttavia, esaurirsi in essa.

Genitorialità e genere, poi, scontano nel lavoro del magistrato alcune specificità che rendono ancor più difficile la soluzione dei problemi connessi all’esercizio di questi diritti. Problemi che sono stati affrontati con grave ritardo perché tardivo, e irto di ostacoli, è stato l’ingresso delle donne in magistratura. Soltanto nel 1963 la legge ha aperto la strada all’ingresso delle donne in magistratura. Otto furono le prime vincitrici di concorso. Un numero che negli anni è cresciuto esponenzialmente tanto che oggi oltre il 53% dell’organico dei magistrati è costituito da donne.

La tardività dell’ingresso delle donne in magistratura ha favorito il formarsi di un modello professionale di magistrato e di un sistema di organizzazione del lavoro declinati al maschile e privi di flessibilità. Modelli cui le donne si sono per lungo tempo adattate, senza metterli in discussione, preoccupate di dimostrare a tutti, e soprattutto a se stesse, di essere adeguate alla funzione.

È anche per questo che per molto tempo negli uffici giudiziari l’organizzazione del lavoro non ha dedicato alcuna attenzione alla genitorialità e alla cura parentale; ed è per questo che, per molto tempo, le donne hanno vissuto la maternità con sentimenti di colpa: un tempo della vita che veniva sottratto al tempo del lavoro.

Oggi, questi modelli organizzativi e professionali devono fare i conti con alcune novità dirompenti:

  1. una crescente sensibilità politica e sociale per il tema della genitorialità (e più in generale per il tema del benessere organizzativo) che ha portato all’introduzione di norme nazionali e sovranazionali che sanciscono diritti, impongono obblighi al datore di lavoro e hanno reso ineludibile l’adeguamento ad essi dei modelli organizzativi di ogni professione;
  2. la presenza massiccia delle donne in magistratura, tale per cui la questione della maternità non è più un fatto episodico nella vita degli uffici giudiziari;
  3. il desiderio diffuso di genitorialità anche nei padri – e, quindi, anche nei padri magistrati – che consente di declinare l’armonizzazione tra le esigenze di organizzazione del lavoro e la cura dei rapporti parentali non solo in funzione della tutela dei diritti delle donne e delle loro legittime aspirazioni, ma avendo riguardo all’intero sistema delle relazioni intrafamiliari.

In una professione come la nostra – che non conosce flessibilità, non ammette il part-time, non consente riduzioni significative dei carichi di lavoro – l’adozione di misure concrete volte alla tutela della genitorialità è risultata spesso inefficace e la normativa in materia appare ancora oggi insufficiente e inadeguata.

Le misure organizzative, opportunamente raccomandate dall’ultima circolare sulle tabelle, consentono al massimo una diversa modulazione del lavoro e non riescono quasi mai a portare serio beneficio al magistrato. È inevitabile invece che tali misure organizzative abbiano ricadute sull’andamento dell’ufficio ed è frequente che, comportando una redistribuzione dei carichi di lavoro, queste misure si traducano in concreto in un aggravio per i colleghi. Quando i congedi parentali interessano contestualmente più magistrati di uno stesso ufficio, inoltre, può diventare difficile garantire il servizio tanto più in presenza di organici inadeguati e di croniche scoperture.
L’introduzione della figura del magistrato distrettuale non ha portato ai risultati auspicati. Si tratta, infatti, di una figura concepita per sopperire a difficoltà occasionali, mentre la maternità, i congedi parentali e la malattia non sono fatti eccezionali, ma sono la regola nella vita di moltissimi uffici.

La massiccia presenza di donne in magistratura e la rivendicazione dei diritti alla cura parentale anche da parte degli uomini, ci pongono di fronte ad un problema strutturale che impone di cercare soluzioni strutturali e attuarle a livello di normazione primaria e secondaria.

Primo obiettivo cui dovrà lavorare il prossimo CSM è quello del pieno organico, che se realizzato, assicurerebbe un certo margine di flessibilità chei, con le scoperture attuali, è nei fatti irrealizzabile.
Urgente appare poi un intervento a livello di normazione primaria che preveda l’introduzione di un organico di riserva per ogni circoscrizione di tribunale o distretto, sul presupposto che assenze, congedi e flessibilità nel lavoro non lasceranno inoperosa questa "riserva”.

Altre misure possono essere pensate, quali, ad esempio aiuti economici ai genitori in prima sede con figli al seguito, diversa distribuzione degli orari di lavoro, normazione del lavoro on line da casa.

Pensiamo che il nuovo CSM debba assumere l’iniziativa e farsi latore di queste proposte nel quadro di una rinnovata interlocuzione con il Parlamento e col Governo.

L’Italia sembra vivere ancor oggi una cultura dell’organizzazione del lavoro permeata da una logica per la quale la famiglia è vissuta come il luogo del consumo e il lavoro extradomestico come il luogo della produzione. Supini a questo retaggio sembriamo pensare che, nel conflitto di interessi che ne deriva, sia la produzione a dover prevalere e per questo tendiamo a far sì che le esigenze della vita familiare si adattino a quelle dell’organizzazione del lavoro. Ma è una logica miope perché non è vero che la famiglia non produce. Essa non produce beni materiali, ma crea e intesse relazioni, educa, costruisce fiducia, insegna la solidarietà; produce dunque beni immateriali di fondamentale importanza per lo sviluppo di una società sana ed armonica.
Siamo persuasi che sia necessario, accanto alle riforme normative – ormai improcrastinabili, anche un mutamento culturale. Che si debba restituire dignità al tempo della vita e trovare il modo di armonizzarlo col tempo del lavoro, coniugando esigenze che possono e devono essere rese conciliabili.

Noi vogliamo promuovere questo cambiamento nella magistratura italiana e individuare gli strumenti normativi e organizzativi che possono contribuire a realizzarlo.