Elezioni suppletive 2021 per il CSM Elezioni suppletive 2021 per il CSM

Luca Minniti si presenta

In attesa di incontrarvi in questi mesi di confronto, a distanza o di persona, vi ringrazio sin d’ora per il tempo dedicato alla lettura di questa presentazione e resto in ascolto

Il percorso professionale

Da marzo 1990 uditore a Roma, quindi sempre funzioni giudicanti.
In prima sede, per tre anni, ho svolto le funzioni di Giudice a Nuoro (sezione civile ed ufficio GIP/GUP).
Dal 1994 unico titolare dell’ufficio del giudice delegato di Arezzo, nonché unico giudice delle esecuzioni immobiliari negli ultimi anni addetto anche alla cognizione ordinaria.
Dal 2000 al Tribunale di Firenze: nel primo anno con funzioni promiscue (II sezione civile e Corte d’Assise), poi alla terza sezione civile (obbligazioni e contratti). Dal 2010 alla seconda sezione civile (responsabilità civile, cause contro la PA, appello sulle decisioni dei Giudici di Pace).
Dal 2016 co-assegnato, al 50%, alla Prima sezione civile con l’ulteriore incarico di coordinamento di giudici (applicati da altri Tribunali del distretto) e GOT del Tribunale, impegnato nella materia della protezione internazionale ed umanitaria.
Dal 2017 assegnato alla nuova sezione specializzata in materia di Immigrazione e protezione internazionale (oltre a responsabilità sanitaria, successioni e divisioni).

Non ho mai svolto incarichi fuori ruolo, anche se ho collaborato, senza sgravio di lavoro giudiziario, con CSM, Ministero della Giustizia, CNEL, Università, Ittig-CNR ed altri centri di formazione giuridica.

L’impegno quotidiano dei magistrati e la scelta di candidarsi

Con questa candidatura ho scelto di provare a rappresentare magistrati donne e uomini impegnati con soddisfazione, ma anche con grande fatica e sofferenza personale, nella giurisdizione.

Mi sembra opportuno parlare in primo luogo di sofferenza morale, con riferimento alle vicende che, seppur non per la prima volta, hanno colpito ancora di recente la credibilità e l’immagine dei magistrati, all’interno e all’esterno del mondo della giurisdizione.

I fatti accertati nelle indagini di Perugia rivelano condotte gravissime, che hanno dimostrato la ricorrente capacità d’infiltrazione d’interessi abusivi all’interno della giurisdizione e dell’autogoverno dei magistrati. Prescindendo dal loro eventuale rilievo penale, vi sono condotte gravissime di rilievo disciplinare, altre molto gravi di rilievo deontologico, destinate tutte ad appannare l’immagine complessiva della magistratura e a danneggiare il buon funzionamento della nostra amministrazione.

Personalmente non ho mai fino ad ora ambito a incarichi direttivi, anche per non ridurre l’impegno nei singoli processi. Tuttavia, ho cercato di dare il mio contributo, anche sulle questioni organizzative, ogni qualvolta ho ritenuto che potesse essere non solo utile al miglioramento della qualità del mio lavoro giudiziario, ma di ausilio all’intero ufficio.

Primario è stato il mio impegno contro l’opacità e l’inquinamento dell’attività giurisdizionale. Opacità ed inquinamento che ho contrastato in tutti gli uffici ricoperti, tanto in prima persona quanto assieme ad altre colleghe e colleghi.

Avendo sempre svolto attività giurisdizionale, in uffici di primo grado, talvolta competenti anche per i giudizi di appello, in uffici con o senza assegnazione specializzata dei procedimenti, ma sempre a contatto con i destinatari finali dell’attività giurisdizionale, ho avuto modo di acquisire consapevolezza delle realtà diversificate, talvolta molto impegnative, che un magistrato giudicante o requirente è costretto ad affrontare. In particolare, nelle funzioni svolte a molta distanza dal luogo degli affetti e dal contesto di origine.

Non ho avuto occasione di ricoprire incarichi nell’ANM, alla quale non ho fatto però mancare l’apporto di elaborazione quando richiesto, in sede locale o nazionale.

All’associazionismo giudiziario non ho chiesto altro se non di rappresentare il luogo di espressione dei magistrati onesti e laboriosi, perché tali sono la stragrande maggioranza dei magistrati italiani. E di continuare ad essere il luogo di una comune crescita culturale di tutta la magistratura, unita intorno ai valori costituzionali della giurisdizione.

In questi anni ho visto radicalmente cambiare, spesso in meglio, il modo di lavorare, di interpretare il ruolo del magistrato, di fare giurisdizione civile e penale.

La giustizia civile è quella che più ha avuto modo di far maturare le ragioni e gli scopi del suo cambiamento. Con impegno straordinario per quantità e qualità da parte dei suoi giudici.

La giustizia penale ha sofferto maggiormente i conflitti istituzionali, politici e sociali di un trentennio di profonde crisi del sistema politico ed anche degli assetti dell’economia italiana. Ha sofferto e soffre di una maggiore tensione che intercorre tra le parti e tra le parti ed il giudice.

L’impegno dei magistrati nell’organizzazione e nell’autogoverno è stato in questi anni eccezionale in tutti i settori. Oggi ritengo che, senza rinnegare l’impegno organizzativo profuso, sia necessario tornare alla centralità della giurisdizione messa a dura prova dai cambiamenti in atto, in particolare dalle esigenze di smaltimento dell’arretrato, che pur permane, anche se in misura molto differenziata.

Il carico di lavoro organizzativo che grava sui magistrati, e non solo sui magistrati dirigenti, è oggi molto significativo. In questi anni è stato decisivo ma anche molto costoso l’impegno dei Rid, dei Mag. Rif., delle Commissioni Flussi, della Sto.

Possiamo sperare di recuperare risorse per la giurisdizione puntando più che su incarichi e strutture permanenti, su tavoli tecnici e progettuali integrati con le strutture ministeriali. Anche attraverso di essi, occorre chiedere al Ministero della Giustizia di investire maggiormente in risorse umane di qualità ed in processi – non solo tecnologici – di innovazione. Così trasformando la crisi determinata dalla pandemia in occasione di miglioramento dell’amministrazione della giustizia. Con l’obiettivo di ridurre il peso di questo impegno sulla giurisdizione, senza perdere come magistrati la capacità di governo dell’innovazione organizzativa.

Il CSM ha titolo, legittimazione, per continuare a chiedere tutto questo ai magistrati se si dimostra trasparente e immune da infiltrazioni affaristiche.
Se, in particolare, i magistrati che lo compongono, perseguono l’imparzialità non solo nella giurisdizione ma anche nell’autogoverno.

L’ampia discrezionalità del CSM può esser utile a migliorare il sistema; la scelta di valorizzazione del merito (criteri di nomina, valutazione di professionalità, valorizzazione delle specializzazioni) è stata adottata dal legislatore per far fronte ad un disagio molto diffuso.

La selezione dei magistrati giusti nel posto giusto se, da un lato, esige una scelta almeno in parte discrezionale, dall’altro deve essere orientata da chiari criteri distintivi delle qualità richieste per ciascun diverso incarico e dal rispetto effettivo di essi.

Negli ultimi anni la magistratura italiana si è rinnovata con l’ingresso di oltre mille nuovi magistrati in tirocinio.

Anche io, come loro, guardavo, all’inizio della carriera, al CSM come istituzione lontana ed estranea, già al tempo esposta alla infiltrazione di interessi in conflitto con l’autonomia e l’indipendenza della funzione giurisdizionale. Ma a pochi mesi dalla presa delle funzioni ricevetti, come tutti i magistrati, il recapito in ufficio, tramite una pattuglia dei Carabinieri, di una nota dell’allora Presidente Francesco Cossiga, destinata a tutti i magistrati italiani, contro lo sciopero indetto dall’ANM, a difesa delle prerogative del CSM minacciate dallo stesso Presidente della Repubblica.

Di quell’evento eccezionale ho vivo il ricordo, ancora oggi, perché noi giovani magistrati fummo messi di fronte all’inderogabile necessità di difendere l’autonomia del CSM come espressione dell’autogoverno della magistratura e presidio della sua indipendenza. Insieme all’assassinio del giovane collega Rosario Livatino, quello fu l’episodio più significativo del mio ingresso in magistratura. Fu la rappresentazione plastica del fatto che il CSM per poter chiedere ai magistrati il giusto impegno etico-professionale deve esser in grado di dare l’esempio.

Il ripudio dell’inquinamento della giurisdizione e dell’attività di autogoverno è stata la mia bussola, continuerà ad esserlo anche in caso di elezione nel Consiglio Superiore della Magistratura.

La soddisfazione di lavorare nei rami bassi

L’intera esperienza professionale ha fatto crescere in me la convinzione, maturata sin dai primi anni di lavoro, che la qualità dell’autogoverno non dipende solo dall’attività del CSM, che pure è decisiva. Ma affonda le sue radici nei rami bassi della giurisdizione.

Di qui l’impegno nell’autogoverno dal basso, dapprima come promotore della Commissione flussi del Tribunale di Firenze, costituita, per impulso dei giudici, prima dell’istituzione delle Commissioni distrettuali. Poi l’impegno di magistrato di riferimento per l’informatica agli albori del PCT e, di nuovo, da oltre due anni e sino ad oggi, come Mag. Rif. del Tribunale di Firenze per il settore della cognizione ordinaria.

L’obbiettivo primario che ho sempre perseguito è quello di evitare che si riversassero sulle colleghe e sui colleghi gli effetti negativi dell’introduzione della tecnologia, spesso paradossalmente combinata con gravi disfunzioni e inefficienze. Ma ho anche agito per promuovere la massima condivisione possibile delle conoscenze tecnologiche, quando concepite per essere al servizio della qualità della giurisdizione.

La tecnologia o è condivisa o è un pericolo. Condivisa sia nel senso di accettata, sia nel senso di socializzata, messa in comune.

La tecnologia offre strumenti di guida, di monitoraggio, di orientamento dell’attività giurisdizionale, nella gestione dei ruoli, delle sezioni, dei pool di magistrati, nella costruzione delle conoscenze degli uffici giudiziari. E in questi anni abbiamo visto cambiare radicalmente in meglio il lavoro dei giudici.

Ma è anche vero che la tecnologia può rivelarsi uno strumento che divora la conoscenza, che appanna la consapevolezza della decisione del singolo caso giudiziario, che produce massificazione di comportamenti e decisioni giudiziarie stereotipate.

Ad evitare quest’ultimo rischio ho ispirato l’impegno nello studio degli strumenti di valutazione della (qualità della) laboriosità dei giudici e dei PM all’interno del gruppo standard di rendimento per la valutazione di professionalità costituito presso la IV Commissione del CSM dal 2010 al 2013. In quel laboratorio di idee si è cominciato a costruire una cultura di analisi qualitativa del dato.

I numeri sono essenziali per fornire la base sulla quale elaborare le nostre analisi e decisioni organizzative, ma i numeri possono anche schiacciare la qualità, soffocare la giurisdizione. Per questo devono esser governati, conosciuti, compresi ed analizzati dentro il sistema dell’autogoverno.

Nella mia carriera sono stato colpito da un procedimento disciplinare che ha dato luogo ad un intenso dibattito sulle responsabilità disciplinari per la gestione del carico di lavoro. Prima del mio caso, che ha indotto la giurisprudenza delle Sezioni Unite a tornare sui propri passi con riferimento al modello di responsabilità organizzativa del giudice civile, molti colleghi hanno subito censure non giustificate o proscioglimenti comunque dolorosi.

Spero di poter portare nel CSM anche la consapevolezza che mi ha lasciato questa esperienza negativa. Il mutamento di orientamento della Corte di Cassazione e poi della Sezione disciplinare del CSM, non ha portato solo al mio proscioglimento. Ha legittimato culturalmente una modalità di lavoro e di gestione del ruolo orientata a ridurre la durata complessiva dei processi, a ridurre l’arretrato, a governare tutte le fasi del processo non solo i termini di deposito dei provvedimenti. Ovviamente si tratta sempre di scelte organizzative opinabili, da verificare caso per caso.

Ma il revirement della Cassazione sulla rilevanza disciplinare da ritardato deposito ritengo che renda necessario introdurre lo strumento della riabilitazione, prima di tutto per ragioni di eguaglianza.

La passione per la formazione permanente

Nel mio percorso professionale ho visto crescere e trasformarsi la formazione iniziale e permanente dei magistrati. Un tempo rimessa al singolo affidatario non sempre all’altezza della situazione. Negli anni, sempre più condivisa e strutturata sino alla nascita del Comitato scientifico del CSM e, poi, della SSM.

Nella mia esperienza di uditore e poi di affidatario di magistrati ordinari in tirocinio, di tutor presso la Scuola superiore della magistratura, di relatore o di coordinatore di gruppi, sia nella formazione decentrata che in quella centrale, ho maturato la convinzione che, pur se con alcune possibilità di miglioramento, la formazione dei magistrati sia, ancora oggi, uno dei principali presidi difensivi della autonomia ed indipendenza della giurisdizione, oltre che della sua qualità.

Anche se è vero che, soprattutto dal punto di vista della integrazione della formazione decentrata con quella nazionale o internazionale, ma anche sotto il profilo del maggior coordinamento tra formazione iniziale presso la SSM e formazione in affiancamento al magistrato, si possono fare ulteriori passi avanti.

Ma non c’è dubbio che uno degli aspetti più affascinanti del nostro lavoro, sia proprio la sua dimensione formativa. Permanentemente formativa, in ogni funzione, in ogni sede, in ogni grado. Impariamo da ogni fascicolo che trattiamo, da ogni interlocuzione processuale con colleghi, con avvocati, con periti e consulenti. Impariamo dai fatti e dalle persone. E impariamo insieme, perché anche la professionalità e la specializzazione, se non condivisa, rischia di chiudere il giudice in una torre d’avorio che alla lunga può inaridire il lavoro.

Ho sempre inteso come fondamentale la formazione comune dei giuristi, in particolare quella con l’Avvocatura. Il modello di formazione partecipata, che nella mia esperienza risale ai primi anni ‘90 e reca l’impronta di Carlo Verardi è anche il luogo privilegiato di formazione del formatore. Non è un caso che la partecipazione alla nostra formazione sia così ambita dai relatori dell’Accademia e dell’Avvocatura.

Nella mia esperienza, pur avendo trattato molte materie, ho vissuto intensamente due esperienze di intensa specializzazione: il fallimentare negli anni ’90 e la protezione internazionale negli ultimi cinque anni. Due straordinarie occasioni di crescita e di relazione con colleghe e colleghi, nonché con studiose e studiosi di molteplici discipline assolutamente straordinari, impegnati in settori molto diversi, ma che hanno un tratto comune: la necessità di avvalersi di competenze diverse da quelle giuridiche.

Un’attitudine, quella della interlocuzione con saperi e professionalità non giuridiche, che sarà uno dei connotati essenziali del magistrato del futuro.

Oggi i magistrati chiedono una maggiore formazione internazionale, una maggiore condivisione di esperienze con i colleghi europei e non solo. Esiste, infatti, un terreno fertile da coltivare che valorizzi le preziose esperienze già in atto.

Le ultime generazioni di magistrati sono composte da nativi europei, che sono e si percepiscono magistrati d’Europa. E le sfide per la giurisdizione e per la tenuta dello stato di diritto coinvolgono oggi tutta la magistratura europea.

La magistratura italiana può offrire un grande contributo alla giurisdizione europea. Possiamo trovare strumenti ulteriori? La mia esperienza di formatore Easo (Agenzia Ue per il diritto di asilo) mi suggerisce di sì: lo scambio e la formazione internazionale possono ancora crescere e diffondersi tra un numero maggiori di colleghi.

Il ruolo dell’attività associativa e di promozione culturale

Sono da sempre iscritto all’ANM. E dopo circa un anno dal mio ingresso in magistratura ho deciso di iscrivermi a Magistratura Democratica e poi anche ad Area Democratica per la Giustizia, sin dalla sua costituzione.

Dal 2003, sono stato promotore ed ideatore, con Luciana Breggia, dell’Osservatorio sulla Giustizia civile di Firenze e del suo primo Protocollo, poi della rete degli Osservatori sulla giustizia civile.

Sono componente della Redazione di Questione Giustizia dal 2015 per la quale ho curato numerosi Obiettivi della Rivista Trimestrale e promosso la creazione della rubrica “ Diritti senza confini”, in collaborazione fra Questione Giustizia e Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, per rispondere alla crescente esigenza di un confronto scientifico tempestivo sui temi del diritto dell’immigrazione e dell’asilo.

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Mi permetterete di riservare a separati interventi l’approfondimento dei temi all’esame di questo scorcio di consiliatura. Temi che non possono liquidarsi in poche righe ma che trovano nelle premesse di cui sopra il necessario fondamento.

In attesa di incontrarvi in questi mesi di confronto, a distanza o di persona, vi ringrazio sin d’ora per il tempo dedicato alla lettura di questa presentazione e resto in ascolto.

Luca Minniti
Giudice presso la IV sezione civile del Tribunale ordinario di Firenze

Recapiti: luca.minniti@giustizia.it

SCHEDE TEMATICHE

Alcune schede tematiche, frutto dei primi incontri negli uffici toscani di Firenze, Arezzo, Siena e Pisa e degli incontri a distanza con i colleghi degli altri distretti
Genere, genitorialità e necessità di cura
Dirigere un ufficio: coordinare magistrati autonomi e indipendenti
Essere magistrato, una professione che forma quotidianamente
Un’esperienza disciplinare emblematica
Numeri: uno strumento, non il fine del nostro lavoro
Una tecnologia davvero condivisa al servizio del magistrato e della giurisdizione
Per un’organizzazione trasparente ma più snella, flessibile, efficace