Comunicato AreaCSM

Decadenza dalla carica per il Consigliere Davigo

Riteniamo discutibile la decisione adottata dal plenum a maggioranza: una norma che sancisse la decadenza del consigliere eletto a seguito del collocamento a riposo sarebbe opportuna, ma non esiste, e non ci pare possa essere creata per via interpretativa

Oggi 19 ottobre il Plenum ha deciso a maggioranza la decadenza del Cons. Davigo quale componente del CSM.

Si trattava di una questione oggettivamente complessa, che è stata resa ancor più complessa dalla scelta di alcuni, nel dibattito pubblico, ma anche all’interno del CSM, di attribuirle significati impropri, legandola a pretese esigenze di (ri)equilibrio delle maggioranze all’interno del CSM o ad altre questioni che pure verranno all’attenzione del Consiglio.

Abbiamo più volte ribadito che la logica degli schieramenti e dei blocchi di maggioranza non ci appartiene e l’abbiamo sempre contrastata, in particolare quando, nella prima fase di questa consiliatura, ne abbiamo dovuto toccare con mano la forza e la pervasività per la vita del Consiglio.

Per questo respingiamo con decisione ogni tentativo di attribuire significati politici impropri alla nostra decisione di oggi.

Prima di dover affrontare la questione e di studiare le norme, pensavamo che un magistrato in pensione non potesse far parte del CSM. Ma, dopo aver approfondito le complesse questioni giuridiche sottese al caso, abbiamo dovuto prendere atto che nell’ordinamento non esiste una norma che preveda la decadenza del componente eletto come conseguenza della cessata appartenenza all’ordine giudiziario.

Nella proposta approvata dal Plenum – che richiama sul punto il parere dell’Avvocatura e la decisione del Consiglio di Stato del 2011 sul caso Borraccetti – si dice che una tale disposizione, pur non espressamente prevista, deve ricavarsi implicitamente dal sistema, tanto da ritenerla addirittura scontata.

Pur ritenendo, sul piano della opportunità e de iure condendo, che una norma del genere sarebbe necessaria, consideriamo la soluzione proposta dalla maggioranza della Commissione molto discutibile, perché le norme in materia di decadenza sono, ancor più di quelle in materia elettorale, norme di stretta interpretazione, sottratte all’interpretazione analogica e a quella estensiva. Per questo non sembra consentita all’interprete la creazione di un’ipotesi di decadenza non prevista dalla legge.

Ma v’è di più. Fino al 1990 la legge prevedeva espressamente la decadenza del componente del CSM a seguito della perdita dei requisiti di eleggibilità. Una previsione identica a quella tuttora esistente per tutti gli organi di governo autonomo delle altre magistrature. Nel 1990 la norma è stata modificata e questa espressa causa di decadenza è stata abrogata.

È evidente che l’espressa abrogazione di una disposizione da parte del legislatore preclude all’interprete la possibilità di rinvenire quella stessa disposizione sulla base di un’interpretazione sistematica, in quanto sarebbe una operazione ermeneutica dichiaratamente contra legem.

Peraltro, la scelta del legislatore del 1990 non è priva di razionalità, in quanto è stata introdotta dopo la riforma del 1981 con la quale è stato previsto come obbligatorio il collocamento fuori ruolo dei magistrati eletti al CSM. L’abrogazione dell’ipotesi di decadenza a seguito della perdita dei requisiti di eleggibilità sembrerebbe dunque spiegarsi con la scelta del legislatore di sganciare il ruolo di componente eletto al CSM dalla attualità ed effettività delle funzioni. Il che determinerebbe la possibilità per il magistrato collocato a riposo di completare il mandato. Ovviamente, in questo caso, non si creerebbe un tertium genus di componente, né laico né togato: il magistrato a riposo continuerebbe a far parte del Consiglio solo in quanto magistrato eletto dai magistrati.

Nella proposta della Commissione, inoltre, non vi era alcun accenno agli argomenti contenuti nella delibera del CSM dell’aprile 2011 sul caso Borraccetti. Una delibera approvata all’unanimità e nella quale si sosteneva in maniera molto netta ed argomentata la tesi della permanenza in carica del componente del CSM collocato a riposo.

Alcuni di noi (Giuseppe Cascini, Mario Suriano e Ciccio Zaccaro), prendendo atto dell’andamento del dibattito e dell’orientamento espresso dai componenti del Comitato di Presidenza e dal Vicepresidente, hanno annunciato il proprio voto di astensione sulla pratica, con l’esclusivo intento di evitare, in una fase così delicata per l’istituzione, una palese spaccatura del Plenum. Elisabetta Chinaglia e Alessandra Dal Moro hanno votato contro, ritenendo prevalenti le ragioni giuridiche di contrarietà alla proposta. Tutti invece auspichiamo che, per il futuro, gli attori del Consiglio si adoperino ogni volta per ricercare soluzioni condivise, attraverso un effettivo dialogo e confronto tra tutti i componenti.

Giuseppe Cascini, Elisabetta Chinaglia, Alessandra Dal Moro, Mario Suriano, Ciccio Zaccaro 

19 ottobre 2020