Donne, giudici e progressiste.
Idee per la magistratura di domani
Abbiamo elaborato questo scritto aderendo ad una richiesta che ci era stata rivolta dalla rivista Giudice Donna come candidate alle elezioni del 2022 per il Consiglio superiore della magistratura.
Avevamo ritenuto opportuno rispondere insieme per sottolineare la nostra condivisione su un tema così importante e l’impegno di ciascuna di noi (ove eletta) a sostenere in Consiglio la posizione espressa; per massima chiarezza, trasparenza e rispetto dei colleghi avevamo anche esplicitato di essere candidate di Areadg.
La rivista Giudice Donna, per motivazioni che in realtà non abbiamo ben compreso, ha ritenuto di non pubblicare il nostro scritto, in quanto non individuale e per il richiamo fatto ad AreaDG.
Rispettando chiaramente la scelta della rivista Giudice Donna, pensiamo comunque che sia utile ed opportuno fare conoscere il messaggio culturale che abbiamo inteso esprimere.
Mariafrancesca Abenavoli, Emilia Conforti, Beatrice Secchi
Mariafrancesca Abenavoli
Sono in magistratura dal 1999 ed ho sempre svolto funzioni giudiziarie: dapprima funzioni promiscue – in prevalenza civili – al Tribunale di Vigevano e, dal 2013, al Tribunale di Torino, il primo anno quale giudice delegato ai fallimenti e successivamente alla sezione Gip-Gup. Giunta a Torino, ho iniziato a seguire più da vicino la politica associativa e mi sono iscritta ad AreaDG svolgendo, dal 2017, il ruolo di referente locale e partecipando con entusiasmo alle iniziative del gruppo che ho, in parte, anche contribuito ad organizzare.
Avendo tre figli vivo in prima persona la necessità di coniugare l’essere madre e insieme magistrato. Non ho potuto beneficiare di strumenti a tutela della genitorialità e ne apprezzo molto la diffusione. Sono convinta che il superamento dei modelli della cultura patriarcale, verso cui oramai la società tende, debba essere perseguito in ogni settore, ed in particolare in quello della giustizia, nel quale una maggior presenza di donne in ruoli apicali consentirebbe di riequilibrare un’ingiustificabile sproporzione e di beneficiare di una prospettiva complessivamente più completa ed equilibrata.
Emilia Conforti
Sono entrata in magistratura nel 2009 e sono giudice del Tribunale di Roma.
Ho svolto funzioni di giudice del riesame e delle misure di prevenzione.
Attualmente svolgo la funzione di giudice del dibattimento, occupandomi di reati contro la P.A.
Sono stata in applicazione extradistrettuale a Vibo Valentia, dove, unitamente alle funzioni dibattimentali, di riesame e prevenzione, ho svolto anche le funzioni di giudice delle indagini preliminari.
Dal 2019 sono stata nominata magistrato formatore decentrato per il distretto di Roma, con delega alla magistratura onoraria ed ai magistrati ordinari in tirocinio, ruolo che mi ha permesso di apprezzare ulteriormente, sotto una diversa prospettiva, la delicatezza e l’importanza della formazione iniziale nella quale, negli anni, mi ero già cimentata sia in veste di magistrato coordinatore che di magistrato affidatario.
Ho sempre creduto nell’importanza della partecipazione alla vita associativa come corollario dell’attività lavorativa, perché ritengo che la gestione degli uffici e la possibilità di esprimere una giurisdizione costituzionalmente orientata, capace di garantire e salvaguardare i diritti di cui siamo i custodi, nasca dal contributo di ciascuno.
È a questi valori che mi sono ispirata anche quando ho ricoperto il ruolo di presidente della sezione distrettuale di Roma dell’ANM. .
Ho accettato di candidarmi perché spinta dalla profonda consapevolezza che in questo particolare momento storico sia indispensabile contribuire a rilanciare, a partire dal sistema dell’autogoverno, la funzione sociale della giurisdizione e di un CSM che la tuteli, anche rispetto a crescenti sentimenti di delegittimazione che, ove provenienti da fronti interni, tendono ad imporre una visione burocratica della magistratura e corporativa della vita associativa annichilendo anche l’entusiasmo della magistratura più giovane, vero e proprio valore da preservare.
Ritengo che il prossimo Consiglio dovrà valorizzare le istanze sottese alle politiche sulla questione di genere: considero, infatti, timido il segnale che proviene dalla riforma della legge elettorale mediante la previsione di una quota di chance a fronte di un impulso senz’altro più significativo che sarebbe potuto derivare dalla previsione di vere e proprie quote di risultato rispetto all’organizzazione ed alla funzionalità dei ruoli apicali e di rappresentatività.
Beatrice Secchi
Sono in magistratura dal 1991 e ho sempre svolto le mie funzioni come giudice presso il Tribunale di Milano, occupandomi per oltre 25 anni del settore penale. Dalla fine del 2019 svolgo le mie funzioni presso la sezione civile che si occupa di diritto di famiglia. Ho sempre avuto particolare interesse per i settori nei quali più evidente è la necessità di tutela dei diritti fondamentali delle persone e delle fasce deboli (benché sia evidente che ognuno di noi, in qualunque settore operi, tutela diritti).
Per quasi dieci anni ho svolto le funzioni di giudice penale presso la sezione del Tribunale di Milano che si occupa di reati commessi contro i “soggetti deboli”. E’ stata una esperienza che ha inciso fortemente sulla mia crescita sia professionale che personale perché, per molti anni, ho ascoltato donne che narravano i fatti di violenza e sopraffazione subiti. Ho dunque dedicato particolare attenzione alle problematiche afferenti la migliore tutela dei cd. soggetti deboli ed anche a quelle relative alla tutela dei diritti degli imputati con disagio psichico. Ho collaborato sia per la predisposizione di un protocollo operativo in tema di misure di sicurezza psichiatriche sia per la formazione nella relativa materia. Sono stata membro in passato del Consiglio giudiziario presso la Corte d’appello di Milano. Non sono mai stata fuori ruolo.
Vorrei ancora esprimere una mia profonda convinzione, nata quando, molto giovane, lessi per la prima volta un libro – a mio parere molto importante – scritto da un gruppo di intellettuali femministe alla fine degli anni 80: “Diotima ed il pensiero della differenza sessuale”. Diotima è stata una comunità filosofica di sole donne, formatasi in Italia tra il 1984 e il 1985. Si tratta di libro breve, ma molto denso, e il messaggio che mi ha lasciato nel tempo è stato fondamentalmente questo: le donne non devono aderire ai modelli maschili di organizzazione della vita familiare, lavorativa e sociale; al contrario devono proporre modelli propri, non costituiti dalla mera trasposizione in termini femminili dei modelli elaborati e sino ad ora imposti – nei vari campi – dagli uomini. L’ elaborazione e la proposta di nuovi modelli, del tutto autonomi da quelli che ci sono sempre stati rappresentati come gli unici possibili, sono indispensabili sia dal punto di vista teorico sia al fine di rendere effettivamente accessibili alle donne alcuni traguardi, elaborati e strutturati sino ad ora esclusivamente al maschile. La proposta di nuovi modelli da parte delle donne (che non sono uomini ai quali si cambia la vocale finale, ma persone dotate di caratteristiche proprie e differenti delle quali è necessario avere consapevolezza) è teoricamente imprescindibile e produttiva di effetti virtuosi, in grado di incidere sulla struttura stessa della società e del mondo lavorativo e personale di tutti noi.
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Abbiamo deciso di rispondere insieme, quali candidate di AreaDG, ad alcuni degli interrogativi che ci sono stati posti.
Le tematiche sono estremamente importanti e proprio per questo meritano una risposta da tutte noi condivisa, in modo tale che risulti assolutamente chiaro quella che sarà la nostra posizione in Consiglio (ove elette) e quali saranno i nostri sforzi per affrontare il tema della ancora attuale scarsa presenza delle donne negli uffici direttivi e semi direttivi ed all’interno degli organi elettivi nonché quello, strettamente connesso, delle valutazioni di professionalità, che non dovranno mai penalizzare chi beneficia di soluzioni organizzative adottate a tutela della genitorialità.
Intendiamo da subito sottolineare che questi non sono, a nostro parere, problemi esclusivi delle donne, ma dell’organizzazione giudiziaria nel suo complesso; rinunciare infatti ad una nostra significativa presenza ed agli specifici e caratterizzati apporti che siamo pacificamente in grado di dare è un vulnus per una migliore organizzazione complessiva.
È evidente che non è tollerabile che in un ordine giudiziario ormai composto in maggioranza da donne, gli incarichi direttivi e quelli semi-direttivi siano ricoperti in modo assolutamente prevalente da uomini.
È altrettanto chiaro che questa tendenza debba essere invertita, rendendo effettiva la parità di genere sia negli uffici semi direttivi e direttivi, anche apicali, sia nell’ambito degli organi di autogoverno.
Occorrerà, a questo fine, proseguire sul terreno della valorizzazione dello svolgimento dell’attività giurisdizionale anche per la selezione dei dirigenti. Dare prevalenza all’indicatore della maggior esperienza giudiziaria maturata negli uffici, se positivamente valutata, potrà sicuramente contribuire a rendere paritario il confronto tra i curricula di uomini e donne, dal momento che spesso queste ultime, ancora oggi, non sono oggettivamente nelle condizioni di potere dedicare una quantità di tempo significativa allo svolgimento di attività non strettamente lavorative.
Deve tenersi presente che da ultimo si è registrato un incremento delle domande per posti semi-direttivi formulate da magistrate, mentre più problematica rimane la minore partecipazione delle donne ai concorsi per incarichi direttivi.
Può però ritenersi che nel prossimo futuro il numero delle donne in posti direttivi e semi-direttivi sia destinato ad aumentare.
Una minore presenza delle donne sia nei posti direttivi che in seno agli organi elettivi di autogoverno è chiaramente legata, tra l’altro, alla maggiore difficoltà delle magistrate di spostarsi sul territorio nazionale e di dedicarsi ad incarichi, come quello di componente del CSM, che comportano scelte di vita radicali.
L’esistenza di quote di chance è sicuramente un aiuto importante per spingere le donne a partecipare, mentre più complesso è il tema delle quote di risultato le quali potrebbero certamente avere la funzione di rappresentare una azione positiva e necessariamente temporanea volta ad assicurare (come osservato dallo stesso CSM in risoluzione del 2014) la presenza delle donne negli organismi rappresentativi e nelle posizioni di vertice, per ottimizzarne l’organizzazione e la funzionalità; e tanto non per favorire le donne in sé ovvero per promuovere una politica di genere fine a se stessa, ma per realizzare un sistema giustizia pienamente efficiente, per la costruzione del quale è necessario valorizzare la diversità di genere, correttamente intesa quale irrinunciabile ricchezza di tale sistema.
Non siamo favorevoli invece a garantire la presenza delle donne attraverso lo strumento del sorteggio, in quanto contrarie a questo meccanismo.
È assolutamente necessario fare in modo che le donne abbiano il coraggio di credere nella loro capacità di assumere ruoli ed incarichi ricoperti sino ad oggi pressoché esclusivamente da uomini.
Per quanto riguarda gli strumenti di tutela della genitorialità, la circolare sulle nuove tabelle mi sembra contenere, negli artt. 259 e seguenti, previsioni adeguate. E’ però necessario verificare e monitorare il rispetto di quanto previsto dalla Circolare da parte dei capi degli uffici e garantire che la richiesta di potere fruire della tutela prevista non pregiudichi in alcun modo il magistrato.
Le donne devono essere poste nella condizione di lavorare serenamente, tenendo ben presente un dato di realtà e cioè che le stesse – nonostante l’evoluzione in corso – hanno la necessità e, aggiungeremmo, la legittima pretesa di coniugare l’attività lavorativa e gli impegni familiari che le vedono ancora oggi protagoniste, senza rischiare di compromettere la futura evoluzione professionale.
Dobbiamo, oggi, definitivamente frantumare il cosiddetto tetto di cristallo ovvero quell’insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche che si frappone come ostacolo insormontabile, all’apparenza invisibile, al conseguimento della parità dei diritti fra uomini e donne, pur a parità di capacità.