Violenza contro le donne: proteggere, prevenire, punire per eliminarla

Per rispondere ad un’emergenza che continua non serve introdurre nuovi reati o aumentare le pene, ma coinvolgere tutti i soggetti istituzionali, lavorare su un nuovo sistema di misure di sicurezza, monitorare le condotte successive, avviare percorsi terapeutico-riabilitativi

Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne promossa dall’Onu.

Per molto tempo, il nostro ordinamento, non diversamente da altri,  è stato caratterizzato da una gravissima  sottovalutazione della violenza di genere e domestica,  dovuta alla mancanza di alcuni fondamentali istituti del diritto, ma ancor prima alla  scarsa  percezione che del fenomeno e della sua gravità aveva l’intera società. Fino ad epoca recente,  la nostra società affidava unicamente al sistema penale l’azione di contrasto alla violenza di genere, questo contrasto era tutto focalizzato sull’istanza punitivo repressiva, poco o nulla strutturato in funzione della prevenzione del reato e della recidiva e della protezione della vittima, lasciata sostanzialmente sola dalle istituzioni  ad affrontare la violenza e la denuncia. L’assoluta marginalizzazione nel processo penale completava il quadro di un sistema che negava il riconoscimento della vittima  della violenza di genere e dei suoi diritti .

Negli ultimi dieci anni  sono stati compiuti alcuni importanti passi in avanti, grazie ad una serie di interventi normativi che tra il 2009 al 2013 hanno introdotto  importanti strumenti  che vanno nel segno della prevenzione del reato e della protezione della vittima.

Tuttavia nonostante questi progressi i reati di violenza di genere e di prossimità  nel nostro Paese non accennano a diminuire.  I dati statistici dimostrano che l’emergenza sicurezza nel nostro Paese non sono furti e rapine, in netta diminuzione negli ultimi anni su tutto il territorio nazionale, ma i reati di violenza di genere e di prossimità. Secondo le rilevazioni del Viminale, dal 2000 al 2016  i muliericidi sono stati oltre tremila. Nel 2016 sono tornati a crescere, passando da 142 del 2015 ai  150 del 2016. Nei primi dieci mesi di quest’anno sono stati 114.

Sono omicidi e violenze, che anno dopo anno si consumano nei contesti familiari, in assoluta prevalenza per mano di un marito o un partner, un ex o altro familiare. Una  strage che non fa più notizia. Si tratta  di un fenomeno che non accenna a flettersi   ed il cui sommerso è notoriamente assai più ampio e diffuso di quanto emerga dai dati ufficiali e destinato ad acutizzarsi in questi momenti in cui anche la crisi economica  contribuisce a minare e rendere più difficile la tenuta del gruppo familiare.

Di fronte ad un fenomeno multifattoriale, tanto radicato e complesso, occorrono approcci politici integrati che consentano di mettere in campo una pluralità di interventi e di azioni  in vari ambiti ed a vari livelli, secondo quelle che sono state chiamate “ le tre P” : ossia Protezione, Prevenzione e Punizione, sul modello già da tempo   perseguito in altri paesi europei.

Il problema è, anzitutto,  quello dell’effettività delle previsioni, per assicurare la quale non bastano i testi normativi, ma occorre un sistema capace di dare concreta attuazione alle previsioni; non occorre  di introdurre nuovi reati, nuove aggravanti, o nuove pene, ma arrivare per tempo, prevenire i reati e soprattutto la progressione quando questa è in atto, celebrare i processi con reale priorità senza sacrificare i diritti dell’indagato / imputato, assicurare la formazione e la specializzazione degli operatori giuridici, delle forze dell’ordine e degli operatori dei servizi sociosanitari. E’ urgente, altresì, adeguare la normativa ai  recenti arresti della giurisprudenza europea e nazionale al fine di contrastare il rischio di gravi fenomeni di   vittimizzazione secondaria nel processo.

Occorre costruire una rete integrata pubblico-privata  tra il sistema giudiziario ed il mondo dei servizi socio assistenziali al fine di assicurare alla vittima del reato il diritto a ricevere accoglienza, informazione ed assistenza e protezione adeguate, secondo quelle linee che sono tracciate dalla Direttiva Europea 2012/29 UE  2012 e in larga parte ancora inattuata.

Ma è anche necessario  fare i conti con la specificità di questi reati. Perché la prevenzione del reato e la protezione della vittima, se vuole essere efficace,  non può esaurirsi in interventi che riguardano la sola vittima, ma   occorra volgere lo sguardo  anche verso chi agisce la violenza .

I  reati di violenza di genere e domestica hanno una loro specificità rispetto alle altre categorie di reati, compresi i reati contro la persona; sono reati che  in genere involgono  nella loro più intensa espressione, sentimenti, affetti, relazioni interpersonali   delicate e complesse nelle quali maturano reati commessi da individui – maschi in prevalenza -   che anche quando non sono portatori di una patologia che abbia significato e gravità di malattia sul piano psichiatrico – forense, sono comunque segnati da un disturbo in senso ampio dell’affettività.

Ed è questa la ragione per cui in questi reati l’intervento punitivo dello Stato, certo necessario ed indispensabile per interrompere al catena di violenza in atto e prevenire il protrarsi del reato o la sua progressione verso forme più incisive della integrità psicofisica della vittima,   non è sufficiente a proteggere la vittima, perché purtroppo  l’indice di recidiva è alto anche tra coloro che sono stati destinatari di severe sanzioni detentive, i quali,  non appena riacquistata la libertà, tendono a reiterare le condotte persecutorie o ad aggredire la persona in modo ancor più violento. Più che di nuovi reati e di pene più severe, sarebbe necessario lavorare su un nuovo sistema di misure di sicurezze specifiche per questa categoria di reati, che mentre consentono di “monitorare” la condotta successiva al reato ed all’espiazione della pena - fase ancora molto delicata per la vittima- favoriscano  l’avvio degli autori di reati a percorsi terapeutico-riabilitativi che diano una risposta al bisogno di cura  e supporto di cui spesso abbisognano.

Perché cura e trattamento costituiscono  una risposta, non sostitutiva, ma ulteriore rispetto a quella punitiva, che lo Stato deve dare nel contrasto alla violenza di genere e domestica. E ciò, non solo perché rappresentano la migliore speranza di prevenzione della reiterazione della violenza di prossimità e della violenza assistita, ma anche una risposta doverosa della società verso chi  può essere e non raramente, specie nei maltrattamenti in famiglia, è  portatore di un bisogno primario, quale certamente è il bisogno di cura.  

 

Approvato all’unanimità dalla Assemblea Nazionale di AreaDG
Roma 24 novembre 2018