Mozione presentata
dall’assemblea del distretto di Roma
Le vicende fotografate dall’indagine di Perugia chiamano in causa il rapporto tra la magistratura e il potere.
Un rapporto che i gruppi associativi, nati dall’esigenza di un confronto di diverse opzioni ideali, non hanno saputo gestire coerentemente con le finalità per cui erano nati.La gestione del potere, in un momento storico politico in cui sono venuti meno i tradizionali punti di riferimento, ha preso il sopravvento sulla tensione ideale.
Il lavoro giudiziario, strumento essenziale per la difesa dei valori costituzionali, ha perso di attrattiva per i magistrati che, complici le riforme ordinamentali, sono proiettati verso una carriera senza ritorno, che sentono inscindibilmente legata al loro prestigio personale, o appaiono sempre più allettati da percorsi professionali alternativi all’esercizio della giurisdizione.
In questo contesto i gruppi associativi non hanno saputo sviluppare i necessari anticorpi e anche quelli che, come i gruppi progressisti, ciclicamente, si sono confrontati sui temi dell’autogoverno, non sono riusciti ad elaborare soluzioni condivise da tradurre in comportamenti concreti.
Non ci sottraiamo, dunque, alla responsabilità politica di una vicenda che danneggia l’immagine della magistratura, ma al contempo rivendichiamo che il percorso di riflessione e rinnovamento di AREADG è stato intrapreso ben prima dei fatti dell’hotel champagne e della pubblicazione delle chat.
Si tratta di un percorso arduo che richiede impegno e rigore, che ci chiama ad un confronto serrato per sciogliere i nodi irrisolti alla ricerca di una linea politica chiara e netta sui temi dell’associazionismo e dell’autogoverno, intesi non come luoghi di potere ma come strumenti per realizzare una giurisdizione efficiente tesa alla salvaguardia dei valori costituzionali.
Un percorso che ha bisogno di un gruppo aperto al confronto con l’esterno ma politicamente forte e democraticamente strutturato per farsi promotore di un cambiamento.
Un cambiamento reale, che deve passare non solo attraverso riforme legislative che sappiano incidere su alcune delle cause delle degenerazioni riscontrate, ma anche da interventi sulla normativa secondaria di competenza dell’organo di autogoverno e da modifiche dei comportamenti individuali.
Questo percorso di rinnovamento deve fondarsi su un caposaldo irrinunciabile, vale a dire il recupero della centralità delle funzioni giudiziarie: in questo quadro, per evitare la rincorsa a carriere parallele, dentro e fuori dalla magistratura, e per dare nuovo vigore ai principi costituzionali che vogliono una magistratura “uguale” e “diffusa”, appare necessario immaginare regole che disincentivino ogni forma di passaggio senza soluzione di continuità da un incarico all’altro, siano essi incarichi direttivi o semidirettivi, incarichi fuori ruolo, associativi o di rappresentanza nell’autogoverno.
In questa logica diviene indispensabile:
- prevedere regole rigide che assicurino la effettiva temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi ed evitino che la dirigenza diventi un percorso costruito a tavolino e sempre più lontano dalla giurisdizione, stabilendo divieti di fare domande per nuovi incarichi dirigenziali per tutta la durata dell’incarico in corso e per un termine congruo dopo la scadenza di esso;
- prevedere termini perentori di durata del singolo incarico fuori ruolo, termini minimi di permanenza nelle funzioni giudiziarie, una volta rientrati dal fuori ruolo, prima di accedere a nuovi incarichi fuori ruolo (fermo restando il limite massimo di 10 anni), nonché il divieto per il magistrato “fuori ruolo” di presentare domanda per incarichi dirigenziali per tutta la durata dell’incarico fuori ruolo e per un termine congruo dal rientro in ruolo;
- prevedere il divieto per i componenti del CSM, per tutta la durata del loro mandato e per un termine congruo dalla cessazione dello stesso di presentare domanda per ricoprire incarichi dirigenziali o incarichi fuori ruolo, nonché dal candidarsi in competizioni elettorali politiche o amministrative.
Anche l’impegno associativo deve restare una dimensione irrinunciabile attraverso cui si può manifestare il contributo del singolo magistrato nell’autogoverno. Affinché tale impegno sia vissuto e percepito come una declinazione ulteriore del lavoro del magistrato, finalizzata esclusivamente a fornire un doveroso contributo al funzionamento della giurisdizione, ci sembra altresì opportuno prevedere regole che impediscano che tali impegni diventino un trampolino di lancio verso carriere nella giurisdizione o negli organi di autogoverno.
In un’analoga ottica di servizio, l’impegno negli organi di autogoverno locale non deve essere l’occasione per la costruzione di un consenso da utilizzare per future candidature al CSM.
A tal fine sono necessarie regole:
- che limitino la possibilità per i componenti del Comitato Direttivo Centrale dell’ANM e per i dirigenti nazionali dei gruppi di presentare domande per ricoprire incarichi dirigenziali e/o per accedere a incarichi fuori ruolo, nonché di candidarsi al CSM (per tutta la durata del loro mandato e per un termine congruo dal termine dello stesso);
- che limitino la possibilità per i componenti delle Giunte Esecutive Sezionali dell’ANM di candidarsi al CSM e al Consiglio Giudiziario per tutta la durata del loro mandato;
- che limitino la possibilità per i componenti dei Consigli Giudiziari di candidarsi al CSM, al CDC e alla GES per tutta la durata del loro mandato.
Approvata dall'Assemblea generale straordinaria il 12 luglio 2020