Relazione introduttiva
del Segretario generale Eugenio Albamonte
C’è un tema che è sotteso al dibattito che stiamo per iniziare; un tema che è evocato dagli argomenti all’ordine del giorno pur non essendo esplicitato; un tema che costituisce il filo rosso che collega l’analisi di quanto è avvenuto in passato – che certo non vogliamo eludere – di quanto oggi sta avvenendo e di quello che noi vogliamo sia il futuro della magistratura.
Il tema è quello del rapporto della nostra associazione e di ciascuno di noi con il potere, nei diversi luoghi nei quali questo si esercita all’interno della magistratura: nell’autogoverno centrale e decentrato, nella dirigenza degli uffici, nei luoghi della formazione dei magistrati, nell’associazionismo costituito dalle correnti e dall’ANM.
Il termine “potere” evoca nella nostra coscienza e nella nostra cultura di magistrati progressisti un binomio con il termine “responsabilità”. Binomio per noi ineludibile perché un potere scisso da responsabilità semplicemente non è un potere democratico e quindi noi lo respingiamo. Questo binomio inscindibile è la base comune minima ma indispensabile per potersi riconoscere nella nostra comunità culturale, per sedere in questa assemblea e prendervi la parola.
La prima responsabilità alla quale siamo chiamati oggi, e nei giorni e mesi che seguiranno, è quella di affrontare apertamente il tema relativo all’esercizio del potere in magistratura. Nel passato della vita dei nostri gruppi fondatori, a volte, il tema è stato posto al centro del dibattito, con coraggio e lungimiranza, ma non è stato poi mai affrontato in modo diretto. Si è preferendo ragionare e dividersi sulla valutazione di epifenomeni del problema principale, preferendo la metafora o l’implicito rispetto all’esplicito e camuffando in molti modi le differenze esistenti tra di noi in merito alle modalità di partecipazione all’esercizio di tale potere. Quello che ne è conseguito, e che oggi bussa alla nostra porta, è il frutto di questa mancanza di coraggio, e di questo ci dobbiamo rammaricare.
Altra responsabilità alla quale siamo chiamati – questa esplicitata dagli argomenti all’ordine del giorno – è quella di definire, per il futuro, le regole che vogliamo porre come limite all’esercizio di tale potere. Sono in parte regole ordinamentali, che investono l’autogoverno fin dalla composizione del suo organo centrale, ma anche regole etiche e deontologiche, perché ci rendiamo conto che anche quelle devono essere riscritte. Non ci possiamo più affidare ad una identità morale ontologica e connaturata all’essere magistrato, che abbiamo ritenuto troppo a lungo fosse solida e condivisa e che i fatti ci dimostrano essere stata in buona parte smarrita.
E non possiamo sfuggire alla responsabilità di confrontarci con quanto è avvenuto ed è stato portato all’attenzione della magistratura e dell’opinione pubblica dalla pubblicazione, pur parziale ed interessata, di una serie di messaggi e di conversazioni via chat, che chiamano in causa alcuni nostri rappresentanti nell’autogoverno della precedente consigliatura, alcuni magistrati aderenti ad Area ed altri con i quali condividiamo identità culturale e percorso politico associativo. Quelle conversazioni, in buona sostanza, chiamano in causa, agli occhi della magistratura e dell’opinione pubblica, il nostro gruppo quale parte di un “sistema” di malgoverno consiliare fortemente condizionato dalle correnti.
Propri da questo ultimo aspetto voglio partire nella mia analisi, per l’ovvia ragione che non esiste una credibile progettazione del futuro che non parta dalla comprensione del passato e dall’individuazione delle cause e delle dinamiche che lo hanno determinato. Ma anche per un’altra ragione, anche questa ineludibile, costituita dalle reazioni che si sono manifestate all’interno del nostro gruppo in ragione della percezione diretta e senza veli delle reali dinamiche attraverso le quali il potere consiliare è stato esercitato anche da noi.
Reazioni di indignazione, in tanti casi sincere e profonde, alle quali si sono affiancate alcune reazioni di convenienza, determinate dall’ansia di chiamarsi fuori da un sistema ormai disvelato, al quale non si è stati del tutto estranei. Senza dimenticare qualche strumentalizzazione di troppo che ha dato corpo a vecchie ruggini personali e a contrapposizioni interne mai risolte e sempre pronte a cavalcare ogni questione.
Reazioni che si sono in parte indirizzate verso obiettivi selezionati dall’emotività più che dalla ragione: contro la dirigenza del gruppo, accusata di non voler fare “autocritica” e di attardarsi in distinguo tartufeschi sulla minor gravità del coinvolgimento di Area; contro l’attuale componente consiliare, della quale si tarda a riconoscere il cambio di passo quanto al metodo della gestione del potere ed all’impegno per il rinnovamento concretamente avviato e già in parte tradotto in pratica; persino contro la direzione dell’ANM, alla quale si contestano alcune decisioni assolutamente necessitate, come quella sulla data delle elezioni, senza prendersi cura delle ricadute negative che tali polemiche determinano sulla sua legittimazione politica in un momento particolarmente delicato.
Le modalità di espressione di alcune di queste reazioni hanno ulteriormente complicato il quadro, attraverso il ritiro di alcune candidature per le elezioni al Consiglio giudiziario, la pubblicizzazione di documenti di sezione o di base contenenti accenti critici esasperati ed ingenerosi, fino a recenti operazioni di scissione di gruppi di colleghi con i quali pure abbiamo condiviso percorsi di impegno comune e che per questo avrebbero dovuto imporre un momento di confronto – ad esempio in questa sede – prima che fossero intraprese scelte per me dolorose.
A questo si accompagna una sensazione diffusa di prostrazione e di delusione che rischia di tradursi in disimpegno.
Tutto ciò disegna un quadro nel quale sembra prevalere una emotività che rischia di condurci ad una complessiva dissoluzione se non intervengono momenti di ragionevolezza e di assunzione di responsabilità.
Per fare questo dobbiamo ammettere con assoluta franchezza che anche Area è caduta nella tentazione di inseguire gli altri gruppi in una pratica di gestione del potere consiliare quale strumento per la ricerca ed il consolidamento del consenso.
Questo è un fatto ormai acclarato del quale dobbiamo assumerci collettivamente la responsabilità. Ma altrettanto responsabilmente dobbiamo analizzare le cause di questo scivolamento etico nella gestione del potere. Nessun cupio dissolvi ci potrà salvare dalla ricaduta in tale vizio se non ne analizziamo le ragioni.
Una delle cause riposa certamente nella forte vocazione territoriale che ha contraddistinto una lunga fase della vita del nostro gruppo; insieme ad essa ha certamente contribuito il ritardo con il quale il gruppo si è strutturato, fornendosi di una dirigenza eletta, di una segreteria e di una presidenza, di una propria autonomia statutaria ed economica. Non vi è dubbio, infatti, che la mancanza di un contrappeso politico, nel passato, ha contribuito, insieme ad altri fattori, a radicare nella rappresentanza al CSM un potere senza bilanciamento e senza interlocuzione politica e quindi l’ha resa autoreferenziale e sostanzialmente priva di un luogo ove rendere conto della propria responsabilità politica.
Anche la mancanza, nei primi momenti di esistenza di Area, di una specifica identità culturale e politica, che fungesse da strumento di acquisizione del consenso ha determinato – come avviene nella politica generale – che l’elemento aggregatore divenisse l'esercizio del potere ed i benefici che esso può offrire in termini di clientela e di fidelizzazione.
Se queste sono le cause della nostra caduta etica nell’esercizio dell’autogoverno, non possiamo certamente dire che le abbiamo risolte, ma non possiamo negare che gli anticorpi che già da tempo abbiamo messo in circolo stanno producendo effetti positivi.
Oggi il gruppo è dotato di una dirigenza strutturata e pienamente rappresentativa, si è riconosciuto in una ben definita identità culturale di matrice progressista costruita, tassello per tassello, attraverso la rielaborazione e l'aggiornamento del patrimonio culturale ereditato dai gruppi fondatori. Proprio attraverso questa matrice identitaria comune e tramite il rafforzamento dei luoghi di confronto e discussione che si collocano in posizione intermedia tra la dirigenza nazionale e la base degli iscritti e dei simpatizzanti – primo tra tutti l’Assemblea dei referenti distrettuali – Area sta reagendo alle pulsioni localistiche che in parte ne caratterizzavano la genesi opponendogli una più coesa identità unitaria.
Ammettere che il nostro gruppo è cambiato e ha la forza per cambiare ulteriormente, che determinate torsioni oggi sono più lontane da noi che in passato, non vuol dire arroccarsi nella sterile retorica dei “migliori”, ma essere consapevoli del fatto che alcuni problemi erano a noi noti prima che le cronache ne disvelassero al pubblico l'esistenza, e che per tempo ci siamo impegnati per porvi riparo.
Non solo erano noti, erano anche dibattuti, non solo in Area ma anche nei gruppi fondatori. Perché gli interrogativi strettamente connessi alla gestione del potere fanno parte della nostra storia, a partire dal dibattito interno ad Md – gruppo al quale ho dedicato molti anni del mio impegno associativo – che per anni si è diviso, anche visceralmente, tra responsabilità e testimonianza, nel dilemma tra rifiutare le logiche dello scambio all’interno dell'organo di autogoverno o parteciparvi con il fine di contribuire, per la parte di gestione a noi concessa da quel sistema, a promuovere i “migliori” con la genuina intenzione, per questa via, di aumentare anche solo in piccola parte la qualità della giustizia. Le stesse dialettiche si sono ripropose in Area dove, anche nel corso della precedente consigliatura, i nostri rappresentanti si sono confrontati più e più volte con il gruppo, nelle assemblee, nei congressi, nei convegni, nelle riunioni della dirigenza, proponendo questa modalità di esercizio del potere consiliare.
Una modalità che, anche grazie alla consapevolezza maturata in quei confronti, il gruppo ha deciso, di abbandonare con nettezza e convinzione. In parte perché troppo spesso si rischia di confondere i “migliori” con i nostri ed in parte perché, alla prova dei fatti non sempre i “migliori” si rivelano tali. Ma soprattutto perché, nel frattempo, all’interno dell’intero corpo della magistratura e al nostro interno è maturata la convinzione che la distorsione del metodo prevalesse sulla qualità del merito delle decisioni così assunte; che tali pratiche avessero trasformato l’autogoverno di tutti nell’esercizio del potere di pochi; che tale potere fosse privo di responsabilità; che tali metodi allontanassero il governo autonomo dalla magistratura rendendolo autoreferenziale, ostile ed odioso; che la prosecuzione di tale modalità avrebbe, in breve tempo, azzerato la credibilità dell’autogoverno rendendolo facilmente aggredibile dalle peggiori riforme.
Tutto ciò è avvento prima che la plastica dimostrazione di quella modalità di esercizio del potere venisse portata alla nostra attenzione attraverso la pubblicazione di messaggi e conversazioni. Perché con la fine della precedente consigliatura e la campagna elettorale per la nuova, il percorso del gruppo era già tracciato ed è stato attuato con coerenza e fermezza anche quando è stato chiaro che un modo diverso di stare in Consiglio avrebbe comportato la sistematica e duratura estromissione da ogni decisione.
Oggi che il velo è caduto, e percepiamo di più e meglio l’assoluta inadeguatezza del metodo di gestione del potere consiliare che Area per prima e da sola ha abiurato, la nostra autocritica – io preferisco parlare di assunzione di responsabilità – per quanto severa e profonda debba essere, non può trascurare questa evoluzione e questi passaggi.
Quegli scambi di voti fanno parte della nostra storia e con la storia bisogna misurasi senza ipocrisia e senza auto assoluzioni o capri espiatori. È una storia collettiva e individuale della quale ci dobbiamo assumere la responsabilità. Ma è una storia che abbiamo compiuto, che non fa più parte del nostro presente e che oggi ci impegnano a non ripercorrere in futuro, attraverso la proposta di nuove regole, ordinamentali ed etiche, che definiscano e condizionino l’esercizio del “potere” e la relativa discrezionalità, ricostituendolo al binomio, in passato obliato, con la “responsabilità”.
So bene che quello che vi propongo è un percorso difficile. Sarebbe più facile fare finta di niente come fa Magistratura Indipendente, che non si misura sulle proprie responsabilità, ma addita quelle altrui, o all’opposto gettare la spugna ed abbandonare il gruppo cedendo a soluzioni personalistiche o ancora avviare percorsi di scioglimento e rifondazione come fa Unità per la Costituzione, salvo trovarsi nella stessa situazione tra breve se non si sono affrontati con serietà i problemi. Certamente sarebbe più facile, ma meno responsabile.
Intorno a noi si sta componendo uno scenario estremamente preoccupante che viene rafforzato dalla grave caduta di credibilità che ha colpito l’intera magistratura.
Sul piano delle riforme c’è quella costituzionale, patrocinata dall’Unione delle Camere Penali, che non si limita alla separazione delle carriere: ridisegna l’autogoverno scindendolo in due e parificando la rappresentanza della magistratura alla componente di nomina parlamentare; interferisce gravemente sulle prerogative di indipendenza della magistratura giudicante; propone la discrezionalità dell’azione penale con direttive imposte dal Parlamento.
È stato aperto un cantiere di riforme ministeriali che riguardano temi ordinamentali, tra i quali il sistema elettorale del CSM, e temi processuali penali e civili. Si tratta di interventi di grande portata, che presuppongono un’interlocuzione attenta, capace ed autorevole della magistratura.
È in atto un’operazione di revisionismo storico che vuole rimettere in discussione decisioni giudiziarie già da tempo passate in giudicato, alimentando, per l’ennesima volta, ma oggi con maggior attenzione da parte dell’opinione pubblica, l’idea del complotto giudiziario contro la politica. Si ipotizza pubblicamente la formazione di una commissione parlamentare d’inchiesta per indagare su questo inesistente fenomeno.
Da più parti il tema della politicizzazione dei magistrati, o comunque quello di una loro indimostrata faziosità, viene utilizzato quotidianamente per aggredirli singolarmente e delegittimare i provvedimenti giudiziari assunti, esponendo la giurisdizione al concreto pericolo di condizionamenti più o meno espliciti e comunque incidendo in modo concreto sulla serenità di cui ciascuno di noi deve godere per poter assumere in modo realmente autonomo e indipendente le decisioni a lui rimesse, anche quando siano impopolari.
All’interno della magistratura è in atto un forte attacco che ha come obiettivo concentrico il nostro gruppo e viene portato simultaneamente da Magistratura Indipendente e dai magistrati anti-correnti. Per molte settimane abbiamo registrato un’allarmante sintonia tra le pubblicazioni del giornale La Verità e i comunicati di Magistratura Indipendente, entrambi univocamente finalizzati ad occultare le responsabilità dei protagonisti dei fatti dell’Hotel Champagne nell’ambito di un generale e ordinario sistema di spartizione correntizia delle cariche e degli uffici direttivi.
Negli ultimi giorni gli attacchi concentrici dei due predetti circuiti di disinformazione si sono indirizzati sui titolari dell’azione disciplinare e sulla Sezione Disciplinare del CSM.
Dietro queste strategie si individua chiaramente l’obiettivo di impedire i procedimenti disciplinari il cui inizio è fissato per l'ultima decade di luglio, screditarne preventivamente un eventuale esito infausto e più in generale demolire la credibilità del CSM per giungere ad un suo anticipato scioglimento.
Sia sul fronte della reazione a queste dinamiche destabilizzanti sia sul fronte delle proposte necessarie a restituire credibilità piena all’autogoverno, all’Associazione Nazionale Magistrati e alla magistratura nel suo complesso le forze in campo sono particolarmente scarse.
A prescindere da Magistratura Indipendente che lavora allo sfascio con grande lena, gli altri gruppi associativi – Unità per la Costituzione ed Autonomia & Indipendenza – sembrano afoni, incapaci di mettere in campo proposte e reazioni. Anche il loro contributo all’azione dell’ANM non è particolarmente propositivo.
Il quadro generale così delineato ci mette di fronte alle nostre responsabilità. Solo Area, in questo momento, è in grado di partecipare al dibattito pubblico, interloquire sulle riforme, avanzare proposte nell'interesse dell'intera magistratura. E questo non solo per il ruolo trainante che esercita sia al CSM che in ANM, ma perché, più degli altri gruppi, Area ha sedimentato, nel tempo, un bagaglio prezioso di riflessioni e approfondimenti sui temi in discussione, ed oggi; Area da sola conserva un margine di credibilità che le consente di interloquire con le forze politiche, con il mondo della cultura giuridica, con l’avvocatura e di creare occasioni, come quella del recente seminario sulla riforma del sistema elettorale del CSM, nelle quali sottoporre le sue proposte al confronto ed ottenere attenzione e consensi.
Perché questa attività, indispensabile per la stessa sopravvivenza della magistratura, possa proseguire utilmente è necessario uno sforzo ulteriore per mantenere l’unità di azione del gruppo, accantonando, almeno temporaneamente, i vecchi temi di divisione interna e le dinamiche conflittuali che, oggettivamente, ne indeboliscono l’azione e ne offuscano la credibilità all’esterno.
È necessario che la pur necessaria riflessione sulle dinamiche devianti dell'azione dell’autogoverno, alle quali anche Area ha contribuito in passato, venga svolta con senso di responsabilità, evitando di offrire argomenti e pretesti a chi, dentro e fuori dalla magistratura, ci ha collocato al centro del mirino ed è pronto a cogliere ogni occasione per delegittimarci. E ciò intende fare proprio perché siamo oggi l’unica forza in campo che è in grado di opporsi alle riforme più punitive e alla ricomposizione, nei luoghi dove si esercita il potere in magistratura, di quei grumi di opacità e malgoverno che finalmente sono disvelati, ma non certo definitivamente debellati.
C’è poi il piano delle proposte, alle quali questa assemblea è formalmente dedicata. Due sono i piani sui quali siamo chiamati ad attivarci: quello delle proposte di riforma ordinamentali e quello delle proposte di riforma morale della magistratura. Anche questo terreno ci richiama fortemente alla responsabilità che è, in primo luogo, quella di avanzare proposte credibili e non demagogiche; proposte che siano in linea con la nostra idea della magistratura, dell’autogoverno e dell’associazionismo e non cedano alla tentazione di soluzioni populiste che sempre più sembrano irretire una magistratura disorientata e in cerca di risposte.
Anche su questo terreno non partiamo da zero. All’interno del CSM, dopo i fatti del maggio scorso, è già stato avviato un percorso di autoriforma all’insegna della trasparenza e della verificabilità dell’azione consiliare e si sta lavorando, con grande impegno della nostra rappresentanza, alla riscrittura delle circolari in funzione della riduzione degli spazi di mera discrezionalità e della maggiore valorizzazione dell'attività giudiziaria svolta negli uffici. Ciò è già avvento in occasione della riscrittura della circolare relativa all'accesso in Cassazione, alla Procura Generale, al Massimario e alla DNA.
Il gruppo ha messo in campo una riflessione sulle possibili modifiche del sistema elettorale del Consiglio, ipotizzando più modelli alternativi da offrire al dibattito politico e prestando la massima attenzione alla necessità di restituire il potere di scelta agli elettori, senza tuttavia rinnegare il valore culturale e di aggregazione che l’associazionismo buono ha saputo, nel tempo, offrire alla magistratura. Consapevoli del fatto che la permanenza di un legame tra le rappresentanze elette al CSM ed i gruppi associativi costituisce l’unico mezzo attraverso il quale esercitare un controllo ed esprimere un giudizio di responsabilità politica su di un potere altrimenti svincolato da ogni remora.
Altro tema oggetto di una recente riflessione collettiva è quello dell'organizzazione degli uffici requirenti. Anche qui avvertiamo il rischio connesso all’attribuzione, ai vertici dell'ufficio, di un potere sottratto ad ogni controllo e privo di momenti di verifica. Alcune derive carrieristiche, burocratiche e conformiste, che si sono registrate negli ultimi anni, hanno certamente causa nell’accondiscendenza dei magistrati verso una dirigenza gerarchica e priva di contrappesi. Anche la centralità assunta delle nomine ai vertici degli uffici di Procura più delicati e visibili, rivelata dalle intercettazioni dell’Hotel Champagne, dimostra che questo sistema può produrre esiti potenzialmente lesivi dell'autonomia ed indipendenza dei magistrati e persino del corretto esercizio dell’azione penale. In sintonia piena con il nostro gruppo consigliare, le valutazioni critiche sul sistema vigente stanno conducendo alla redazione di una nuova circolare sull’organizzazione degli uffici di Procura, che si muove nella direzione di rendere maggiormente controllabile e verificabile l’esercizio del potere discrezionale del dirigente.
Ma ancora dobbiamo approfondire alcuni temi, estremamente rilevanti per la riorganizzazione della magistratura secondo modelli che, più di quello attuale, preservino per il futuro dalla spinta forsennata alla carriera che così fortemente ha inciso sulle derive del potere consigliare, determinando una convergenza diabolica tra richiesta e offerta di clientela e di favoritismo.
Primo tra tutti l’accesso alla dirigenza e la verifica quadriennale del suo esercizio, altra situazione nella quale l’assenza di un reale controllo rischia di strutturare posizioni di potere senza riscontro di responsabilità; la partecipazione all’organizzazione dell’ufficio attraverso l’attribuzione di incarichi di collaborazione, che per non costituire momento opaco di esercizio di in potere senza controllo, deve avvenire attraverso un percorso trasparente e verificabile (come richiesto dalle modifiche alla circolare sulle tabelle proposta dalla rappresentanza di Area al CSM); l’accesso alle funzioni fuori ruolo, la loro valutazione ai fini della professionalità, e i relativi riverberi sulla carriera; le porte girevoli tra politica e magistratura.
Temi che dobbiamo saper affrontare mettendo a frutto il nostro patrimonio culturale comune, effettuando proposte in coerenza con esso ed evitando soluzioni che oggi possono sembrare di poter restituire più velocemente al gruppo una immagine di intransigenza morale, ma che già nel breve periodo porterebbero ad effetti distorsivi sulla funzionalità degli uffici, sulla qualità del servizio, sulla possibilità di accrescimento culturale della magistratura attraverso l’accesso temporaneo a funzioni diverse, sulla possibilità della magistratura di partecipare al dibattito politico sui temi che più direttamente la riguardano e di contribuire alle scelte amministrative destinate ad incidere sul suo concreto operare nella giurisdizione.
Anche il tema della riforma etica della magistratura deve essere ulteriormente approfondito, partendo da questa assemblea, e mettendoci in linea con le modifiche dello statuto ANM e del codice etico avviate dall’associazione all’indomani dei fatti di maggio scorso e sotto la presidenza di Area. Anche questi temi sono particolarmente delicati e richiedono un’attenta mediazione tra l’esigenza di ostacolare l’utilizzo dell’impegno associativo come trampolino di lancio per la carriera o per strutturare rapporti e relazioni personali e l’esigenza di non disincentivare la partecipazione alla vita culturale della magistratura, che ancora in larga parte ha sede nell’associazionismo e di consentire una progressivo affinamento delle specifiche competenze necessarie per prestare, con consapevolezza e competenza, un servizio in favore della magistratura.
Il lavoro che dobbiamo fare non è poco e non è facile, e per poterci impegnare a pieno dobbiamo combattere il senso di prostrazione e di disillusione che ci indurrebbe ad abbandonare il campo e a ripiegarci su una dimensione più strettamente individuale. Ma non ci è concesso il disimpegno perché troppo alta è la posta in gioco e, una volta tornati in noi, rischieremmo di trovarci a vivere in un contesto istituzionale e professionale ben diverso e ben peggiore di quello che abbiamo fino ad ora conosciuto. Ma abbiamo la forza ed il potere per farlo, il potere che ci viene dal nostro impegno nella giurisdizione, dalla conoscenza approfondita del nostro lavoro e dei nostri uffici, dall’idea della giurisdizione non come potere, ma come servizio di qualità in favore della comunità, dall’approfondimento e dalla metabolizzazione culturale dei temi in discussione, che ci viene da generazioni di magistrati che prima di noi, nei gruppi fondatori e in Area, hanno scritto, ragionato, discusso, lasciandoci un patrimonio inestimabile in termini di cultura e di valori. Abbiamo ancora una forte credibilità al cospetto di segmenti importanti dell’opinione pubblica, della cultura giuridica e persino della politica che non possiamo non mettere al servizio dell’intera magistratura in un momento di cosi grave difficoltà.
Abbiamo il potere per farlo, ma soprattutto abbiamo il nostro senso di responsabilità ad imporcelo.