A Moira negata la dignità delle persone
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre, il campo profughi di Moria, nell’isola greca di Lesbo, è andato a fuoco ed è ora completamente distrutto. Ciò rende ancor più intollerabile e insostenibile la situazione delle migliaia di profughi ammassati in quella struttura, i quali sono ormai privi di tutto: sono andate in fiamme le tende e anche i pochi beni che i profughi erano riusciti a portare con sé nel viaggio.
Da tempo, l’OXFAM il GCR – e con essi le organizzazioni umanitarie – denunciano la drammaticità della situazione dei profughi nei campi allestiti in Grecia. Si tratta di quattro campi profughi che, secondo gli accordi tra l’Unione europea e la Turchia, dovevano costituire degli “hotspot”, destinati ad ospitare i migranti – persone disperate, in fuga da guerre e conflitti armati, provenienti in prevalenza dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq – per identificarli, raccogliere le loro richieste di asilo e, in caso di mancato accoglimento, respingerli in Turchia. Queste politiche hanno spinto nei campi e ai margini di essi un gran numero di persone, costrette ad attendere per anni una risposta sulla richiesta di asilo.
La situazione più drammatica ha riguardato il campo di Moria che, creato per tremila persone, oggi ne ospita quattro volte di più, in condizioni igienico sanitarie disumane, mentre altre migliaia di persone si ammassano, senza nessun servizio e in condizioni di totale insicurezza, in soluzioni di fortuna ai margini del campo.
Due terzi delle persone che abitano nel campo sono nuclei familiari, il 34% dei profughi sono bambini; tra questi, centinaia sono minori non accompagnati.
Dal marzo 2020 le autorità greche hanno interrotto le procedure per le richieste di asilo, mentre ancora più recentemente, a fronte di alcuni casi di Covid-19 riscontrati nel campo, invece di isolare gli ammalati dalla popolazione sana, hanno deciso la quarantena totale così creando i presupposti per favorire un enorme focolaio di diffusione del virus.
Una situazione che vede negati i diritti fondamentali e la dignità umana di persone in condizioni di estrema vulnerabilità, ora ulteriormente aggravata dalle aggressioni poste in atto da militanti di estrema destra, i quali, secondo quanto denunciato dalle organizzazioni umanitarie, già nei giorni precedenti all’incendio, avevano tentato, senza riuscirci, di dare alle fiamme il campo.
Questi episodi si susseguono nel sostanziale disinteresse delle istituzioni nazionali ed europee; ma i luoghi dove vengono concentrati i migranti che giungono in Europa non possono essere luoghi di sospensione dei diritti, di sopraffazione violenta di matrice razzista, di cattiva amministrazione burocratica.
Nell’immediato, è necessario che, le istituzioni europee, che hanno creato questi campi e li finanziano, provvedano a ricollocare i migranti, ad iniziare dalle centinaia di minori non accompagnati, e a garantire che le persone lì temporaneamente accolte siano protette, nel pieno rispetto dei loro diritti e degli inviolabili principi umanitari.
Ma soprattutto, ciò che è accaduto in questi anni e continua ad accadere dimostra con tutta evidenza che le politiche dei “campi” ai confini dell’Europa costituiscono una risposta al fenomeno delle migrazioni che non solo svilisce i valori e i principi di umanità e solidarietà su cui l’Unione europea afferma di fondarsi, ma è anche fuorviante e del tutto inefficace.
Il fenomeno migratorio è strutturale e globale, e perciò richiede – ad iniziare dall’Unione e dai suoi Stati membri – il superamento di politiche di corto respiro, basate sulla filosofia del respingimento e del controllo delle frontiere, e l’adozione di un approccio multilivello che governi i flussi migratori nel quadro di politiche sociali di accoglienza e inclusione e di politiche del lavoro.
14 settembre 2020