Comunicato

Decretazione d’urgenza e voto di fiducia per una legge di dubbia costituzionalità

Il decreto sicurezza bis criminalizza comportamenti eticamente doverosi, non fornisce riposte concrete alle reali emergenze in materia di ordine e sicurezza, non rende più efficiente l’amministrazione della Giustizia

Con il voto di fiducia in Senato, è stato convertito in legge il cosiddetto “Decreto sicurezza bis” recante “Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”.

Il ricorso allo strumento della decretazione d’urgenza presenta profili di seria criticità, atteso che in esso, al pari del precedente, sono confluiti interventi di segno diverso e in ambiti del tutto disomogenei, il cui unico comune denominatore è il riferimento all’ordine e sicurezza pubblica, tanto generico e vago da dilatarne indistintamente l’ambito di operatività e da non soddisfare i requisiti di immediatezza, specificità, omogeneità e coerenza richiesti dall’art. 15 comma 3 della legge n.400/1998. Sfuggono, pertanto, le ragioni dell’urgenza che giustificherebbero un intervento, per di più sottratto al dibattito parlamentare attraverso il voto di  fiducia, che criminalizza il salvataggio delle persone in difficoltà in mare incidendo pesantemente su diritti fondamentali di queste ultime, quali la vita, la salute e la sicurezza.

Il decreto, infatti, mira anzitutto a realizzare con legge quella “politica dei porti chiusi” già oggetto di inedite direttive del Ministro dell’Interno, introducendo un comma 1 ter all’art. 11 D.Lgs n. 286/1998 con cui si attribuisce a quest’ultimo il potere, di concerto con il Ministro della Difesa e il Ministro delle Infrastrutture ed informandone la Presidenza del Consiglio, di limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica e in caso di violazioni dell’art. 19 comma 2 lett. G) della Convenzione di Montego Bay, limitatamente alla violazione delle norme in materia di immigrazione vigenti. Oltre all’ingiustificato ampliamento delle competenze proprie del Ministro dell’Interno, una tale previsione postula una pericolosa espansione del concetto di ordine e sicurezza pubblica in funzione della limitazione delle attività di salvataggio in mare e della messa in sicurezza delle persone in difficoltà.

A tale previsione, non a caso, si affianca l’irrogazione di una gravissima sanzione amministrativa (da 150.000,00 ad un milione di euro e la confisca obbligatoria del natante, fatte salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato) a carico del comandante della nave e con responsabilità solidale dell’armatore il quale non osservi la normativa internazionale e i divieti e le limitazioni eventualmente disposti ai sensi del su citato comma 1-ter.

Oltre ai dubbi di costituzionalità e legalità sotto il profilo della determinatezza dell’illecito amministrativo e dell’omogeneo trattamento riservato all’inosservanza di norme di rango diverso, siffatte disposizioni si traducono nella violazione del diritto-dovere primario di tutelare la vita umana in mare prestando soccorso a chi si trovi in imminente pericolo di vita, che si fonda su una consuetudine antichissima, la quale ha carattere generale e non consente limitazioni e discriminazioni.

Gli atti ispirati ad una tale politica, già gravemente censurata dall’Alto Commissario ONU per i diritti umani, costituiscono una grave violazione degli obblighi imposti agli stati dalle Convenzioni internazionali (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, Convenzione SOLAS del 1974 e Convenzione SAR del 1979 per citare le principali ) e delle disposizioni di cui agli artt. 489 e 490 del Codice della navigazione che impongono ai comandanti e all’equipaggio l’obbligo di assistenza dei natanti e di salvataggio in mare delle persone in difficoltà, senza prevedere limitazioni che non siano legate all’oggettiva difficoltà del soccorso e al pericolo per i soccorritori.

Di dubbia utilità per le indagini appare l’attribuzione alle competenze delle procure distrettuali dei reati in materia di associazioni per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, perché tale previsione, mentre appesantisce i carichi di procure e tribunali distrettuali già particolarmente gravati, rischia di depotenziare l’attività di indagine, la quale più efficacemente può essere realizzata presso le procure ordinariamente competenti. Se dubbia è l’utilità per le indagini, evidente ne è invece la valenza simbolica nella quale si esaurisce il senso dell’intervento.

Analoga finalità appare avere il secondo ambito di intervento del decreto, nel quale sono contemplate una serie di modifiche al codice penale, accomunate dalla finalità di inasprire il trattamento sanzionatorio di fatti già previsti come reato, allorché siano commessi nel contesto di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. In realtà, proprio con riferimento alle condotte illecite realizzate nell’ambito di manifestazioni pubbliche, il codice penale e le leggi speciali contemplano un apparato repressivo e sanzionatorio assai severo, che, specie grazie agli interventi correttivi della giurisprudenza, appare coerente con i principi costituzionali di offensività e proporzionalità e adeguato al contrasto dei fenomeni criminali.

Si tratta dell’ennesima legge manifesto per la quale la politica criminale si realizza esclusivamente attraverso la previsione di nuovi reati, più carcere e inasprimenti del trattamento sanzionatorio, i quali, come la cronaca quotidiana dimostra, non hanno in realtà alcuna efficacia sul piano della prevenzione speciale e generale. Un intervento muscolare di segno autoritario che si esaurisce nel portato simbolico di una sovrapposizione tra il reato e la manifestazione pubblica.

Preoccupa, poi, la dilatazione dell’ambito di operatività e della portata delle misure di prevenzione previsto dal capo III del decreto. Se, effettivamente, quello della violenza nelle manifestazioni sportive rappresenta un fatto di grave allarme sociale la cui pericolosità è stata finora sottovalutata, con il decreto non si pone mano ad una soluzione strutturale quale il fenomeno in questione richiederebbe anche con riferimento ai costi sociali di esso, per prediligere ancora una volta l’impiego dello strumento repressivo con inasprimenti di pena e automatismi e, soprattutto, con il ricorso sempre più ampio alle misure di prevenzione di cui si dilata l’ambito di operatività e si prevede la possibilità per il Questore di applicazione anche congiunta di esse.

Si tratta di misure che, traducendosi in una seria limitazione della libertà personale, applicabili a prescindere dalla commissione di fatti penalmente rilevanti in ambiti spesso degiurisdizionalizzati, richiedono che il legislatore ne faccia un uso limitato e rigoroso, sia a tutela dei diritti delle persone che ne possono essere destinatarie, sia per il rischio che misure eccezionali possano poi trasformarsi in misure ordinarie.

Suscita, infine, fortissime perplessità la previsione dell’assunzione a tempo determinato di 800 persone da destinare alle attività di notifica delle migliaia di sentenze, oggi ferme per la grave carenza di personale amministrativo. Tale iniziativa, pur apprezzabile negli obiettivi, ossia eliminare l’arretrato nel settore delle esecuzioni penali, rischia di essere insufficiente allo scopo o addirittura dannosa, perché provvedere alle notifiche delle sentenze dopo il primo grado finisce con lo spostare il problema agli uffici impugnazioni o, in caso di sentenza definitiva, agli uffici che curano l’esecuzione penale, uffici i quali sono notoriamente quelli in più grave difficoltà a causa della gravissima carenza di personale amministrativo. Sicché, piuttosto che interventi straordinari e settoriali, sono necessarie ed urgenti misure strutturali, attraverso l’assunzione del personale di cancelleria, riqualificazione del personale, incentivazione al personale in servizio, migliorando e incentivando quel percorso virtuoso intrapreso da qualche anno dal Ministero della Giustizia.

Il “Decreto sicurezza bis”, al pari del primo omologo decreto, appare pertanto come una tipica “legge manifesto”, finalizzata a tenere al centro dell’agenda e dell’offerta politica del Governo il tema della sicurezza, alimentando nelle persone sentimenti di insicurezza, postulando emergenze e pericolo per l’ordine pubblico inesistenti, criminalizzando comportamenti giuridicamente ed eticamente doverosi quali il soccorso in mare dei migranti in difficoltà e l’accoglienza, senza fornire reali e concrete risposte alle vere emergenze dell’ordine e della sicurezza pubblica, quali i delitti di criminalità organizzata, i gravi fenomeni sempre più diffusi di corruzione e i reati di violenza contro le donne e i minori.

6 agosto 2019