Ordinamento giudiziario

Dirigenza giudiziaria, un’occasione di trasparenza

Le riflessioni ordinamentali di AreaDG dei mesi scorsi hanno posto l'attenzione sul tema degli incarichi direttivi e semidirettivi, da rimeditare innanzitutto nel solco della partecipazione diffusa: anche in questo senso, ma non solo, il lavoro di revisione del T.U. sulla dirigenza

Nell’ampio lavoro compiuto negli incontri di Bologna (dicembre 2023) e di Napoli (marzo 2024) AreaDG ha messo a fuoco la crisi dell’orizzontalità della magistratura che deriva dalla gerarchizzazione degli uffici indotta dalla riforma del 2006 e dalla progressiva formazione di un ceto professionale di dirigenti giudiziari nel quale chi entra, anche in età relativamente giovane, può di fatto permanere, transitando da uno ad altro incarico, fino al pensionamento.

Nel documento programmatico adottato nello scorso aprile all’esito del suddetto lavoro, intitolato “La dirigenza che vogliamo”, sono state formulate, in sintesi, cinque proposte:

  1. la riduzione del numero dei semidirettivi;
  2. un modello partecipato di gestione degli uffici;
  3. la valorizzazione della partecipazione fattiva dei colleghi alle scelte organizzative dell’ufficio, anche quale parametro di valutazione professionale;
  4. l’onere di portare a termine l’incarico direttivo o semidirettivo, prima di potere partecipare a concorsi per altri incarichi;
  5. la durata massima di sei anni per ogni funzione direttiva e semidirettiva, senza conferma in itinere, salva la previsione di una procedura per la rimozione dall’incarico.

Sono proposte che condividiamo e che stanno orientando la nostra azione in CSM perché diventino patrimonio comune.

Le questioni che attengono alla disciplina della dirigenza giudiziaria, in particolare, sollecitano il Consiglio a porsi come interlocutore attivo e propositivo con il Ministero (a cui compete la definizione delle piante organiche) e con il legislatore (a cui spetta la definizione dei requisiti di

legittimazione per il conferimento delle funzioni semidirettive e direttive e la determinazione del tempo di permanenza in tali funzioni); esse inoltre, e soprattutto, sollecitano il Consiglio a rivedere le regole che esso stesso si è dato in materia di conferimento di uffici direttivi e semidirettivi.

Ora, infatti, il CSM ha davanti a sé un’occasione straordinaria per ridiscutere il profilo della dirigenza giudiziaria: entro il prossimo 21 luglio il testo unico andrà adeguato alle novità normative introdotte dalla riforma “Cartabia”.

Con la revisione della circolare possiamo dare sostanza alla visione costituzionale della magistratura quale potere diffuso e orizzontale tanto nell’esercizio della giurisdizione quanto nella gestione degli uffici giudiziari.

Due gli obbiettivi di fondo da perseguire intervenendo sul nuovo T.U. sulla dirigenza.

Il primo: rendere le decisioni consiliari in materia di nomine più prevedibili ex ante e più leggibili ex post; proprio a causa dell’enfasi che le accompagna, infatti, è sulle scelte relative alla dirigenza, sulla loro trasparenza e sulla loro credibilità, che si gioca in misura preponderante, dentro e fuori la magistratura, l’autorevolezza del Consiglio.

Il secondo: favorire il superamento di quella separatezza della carriera dirigenziale che oggi ha reso i titolari di incarichi direttivi o semidirettivi un corpo sostanzialmente distinto all’interno della nostra categoria.

Per conseguire il primo obbiettivo, di trasparenza, il CSM deve rendere i criteri di selezione degli aspiranti più leggibili e adatti a una applicazione rigorosa. L’esercizio della discrezionalità consiliare – che va salvaguardata – dovrebbe essere anticipato dalla fase della scelta del singolo nome per il singolo posto alla fase della definizione, in circolare, del peso e dell’ordine gerarchico dei criteri selettivi di legge; questa definizione andrebbe calibrata sulle caratteristiche delle diverse funzioni direttive e semidirettive e sulle dimensioni dell’ufficio.

Il profilo del candidato verrebbe così a valutarsi non sulla base dell’astratta qualificazione come “migliore” o “peggiore”, ma in rapporto alla tipologia dell’incarico richiesto.

La definizione ottimale dei criteri selettivi potrà avvenire per più vie alternative: specificando con più cura gli indicatori attitudinali; stabilendone un ordine preferenziale; attribuendo dei punteggi numerici ponderati; prevedendo degli indicatori in difetto dei quali sarebbe preclusa una valutazione ulteriore. Su ciò vi è già intenso dibattito in Consiglio.

Ci batteremo per un sistema di regole che impedisca che in delibere relative ad incarichi analoghi si operi una valutazione opposta degli stessi

indicatori (si pensi all’esperienza nel secondo grado o nella legittimità; alla pluralità delle funzioni e dei settori lavorativi sperimentati; al carattere specialistico delle funzioni svolte; alla titolarità di incarichi fuori ruolo nel percorso professionale; al servizio attuale nell’ufficio richiesto; al rilievo di pregressi incarichi vari di collaborazione). Vogliamo che la discrezionalità consiliare si esprima più nella definizione dei profili adatti alle diverse funzioni che nella selezione dei singoli aspiranti. Decisioni leggibili, consequenziali rispetto all’applicazione di criteri sufficientemente chiari, sono garanzia di maggiore trasparenza e prevengono l’arbitrio, vero o apparente che sia.

Il nostro secondo obbiettivo - il superamento del fenomeno della carriera separata dirigenziale - può essere raggiunto lungo due direttrici compatibili col perimetro d’intervento consentito dalle dettagliate previsioni del decreto legislativo delegato (e già dalla stessa legge-delega n. 71 del 2022): valorizzare l’esperienza nella giurisdizione e premiare il senso di responsabilità di chi si astenga dal chiedere un incarico direttivo o semidirettivo senza aver prima completato gli otto anni di quello già eventualmente ricoperto.

Non si vuole un ritorno ai tempi, mai rimpianti, della progressione per “anzianità senza demerito”, bensì il riconoscimento che il tempo di esercizio nella giurisdizione negli uffici, se accompagnato da giudizi lusinghieri, è fonte di autorevolezza e indice dell’attitudine del magistrato a divenire punto di riferimento nella sezione, nel gruppo di lavoro, nella sede giudiziaria.

Per altro verso, il compimento dell’intero ottennio nella funzione dirigenziale consente di vagliare appieno questa esperienza prima di valutare l’idoneità ad un nuovo incarico; verrebbe così anche scoraggiata la prassi, ormai dilagante, del passaggio senza soluzione di continuità dall’uno all’altro direttivo.

Siamo convinti che la funzione dirigenziale sia un servizio reso all’ufficio e ai colleghi, non la tappa di un cursus honorum.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

14 giugno 2024