L’arresto di Christian Hjorth. Non si difende lo Stato calpestando il Diritto
Suscita sgomento l’immagine di un fermato, bendato e ammanettato alla schiena, ripresa all’interno di una caserma dei Carabinieri, e ampiamente diffusa dalla stampa, in esito alle indagini per l’omicidio del Vicebrigadiere dell’Arma dei Carabinieri Mario Cerciello Rega.
Riteniamo che in uno Stato di diritto la dignità delle persone debba essere sempre salvaguardata, anche nei confronti di chi sia sospettato di un brutale assassinio, e che le garanzie e i diritti di ciascuno, anche se indiziato o, financo, condannato per gravi reati, vadano sempre rispettati.
Consideriamo, inoltre, inaccettabile che condotte lesive di principi e diritti che esigono il rispetto di tutti – e ad ogni livello istituzionale – possano essere messe in atto all’interno di una caserma, ossia in un luogo nel quale in primis agli uomini dello Stato è fatto obbligo di garantire la sicurezza e la dignità delle persone fermate o private, a qualunque titolo, della libertà.
Per le stesse ragioni di rispetto di questi principi, la condotta di chi ha bendato ed ammanettato il fermato risulta già tempestivamente e correttamente censurata dai vertici dell’ Arma, mentre il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Roma sta acquisendo gli elementi necessari per l’eventuale esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dei militari responsabili. Apprendiamo, invece, che il Ministro dell’Interno, che istituzionalmente sovraintende le Forze di Polizia, ha stranamente smentito e contraddetto i vertici dell’Arma stessa, corpo di polizia storicamente e quotidianamente impegnato, con sacrificio, al contrasto alla criminalità organizzata e alla tutela della collettività, e a cui la Magistratura è sempre vicina.
Rileviamo, inoltre, che un'immagine riprovevole, non degna di uno Stato di diritto, è stata immessa nel circuito mediatico in violazione dell’art. 8 del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica e a tutela della dignità di chi si trova in vinculis, con l’effetto di alimentare, attraverso i social, sentimenti brutali di vendetta che rimandano all'idea di un consenso fondato su odio e pregiudizi, e che ostentano plateale insofferenza rispetto a diritti fondamentali violati, elevando con cinismo una vittima innocente a simbolo di un pensiero che guarda agli umori di piazza.
Siamo, perciò convinti che dignità e sicurezza delle persone in condizioni di limitata libertà personale debbano trovare voce nella Costituzione e non nel linguaggio dei media, perché è nel rispetto dei diritti fondamentali di ciascun individuo che si attua veramente la differenza e il rispetto dei valori di qualunque persona; e la magistratura ha il dovere di farsene interprete nel discorso pubblico.
29 luglio 2019