La “nuova” legittima difesa: una scriminante “immorale”
Nonostante le molteplici, autorevoli e trasversali critiche di cui è stata fatta oggetto, la proposta di legge di riforma della legittima difesa ritorna al centro dell’agenda politica, essendo prevista in settimana la ripresa dell’iter parlamentare per la sua approvazione.
Si tratta di una proposta fortemente avversata dal mondo accademico e dagli operatori del diritto, magistrati ed avvocati, che suscita serissime perplessità sul piano della sua tenuta costituzionale e gravi preoccupazioni prima ancora che per i suoi effetti pratici, per la sua valenza culturale e simbolica.
Anzitutto, la proposta di legge in discussione stravolge l’impostazione tradizionale recepita dal codice penale, la quale trova proprio nel requisito della proporzione tra difesa ed offesa uno dei cardini dell’istituto ed un delicato punto di equilibrio tra opposti valori in gioco. Ed infatti, si modifica l’art. 52 del codice penale, riconoscendo “sempre” la sussistenza della proporzionalità fra offesa e difesa “se taluno legittimamente presente nell'abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi", "usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere la propria o la altrui incolumità, i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione".
Eliminando la rilevanza della proporzionalità tra difesa ed offesa, la legittima difesa si trasforma in una offesa ingiustificata, espressione di aggressività e di violenza, aprendo la strada alla vendetta ed alla giustizia privata. Da difesa legittima essa diverrebbe una “scriminante immorale”, espressione che sintetizza efficacemente da un lato la criticità del nuovo istituto rispetto al sistema penale ed alla Costituzione, dall’altra l’uso strumentale e “ politico” che della scriminante intende farsi.
Obiettivo dichiarato dai promotori della riforma è, infatti, quello di assicurare un’area di impunità in favore di coloro che si trovino a reagire ad offese che siano poste in essere contro qualunque bene giuridico, ivi compresi i beni patrimoniali, all’interno dell’abitazione o delle sue pertinenze, ovvero di luoghi assimilabili, come i luoghi di lavoro.
Sotto il profilo tecnico giuridico lo strumento impiegato per raggiungere tale risultato è quello della introduzione di una presunzione legale di proporzionalità tra la difesa e l’offesa, nel senso di ritenere comunque proporzionata qualunque difesa, a prescindere dall’adeguatezza delle modalità e dei mezzi con cui essa sia attuata e indipendentemente dai beni giuridici in gioco, ma solo in dipendenza del contesto nel quale l’offesa è stata perpetrata.
In tal modo, sarebbe precluso al giudice operare quel raffronto, da condurre in concreto ed ex ante, ossia alla stregua di tutti gli elementi conosciuti dall’offeso al momento in cui pose in essere la sua reazione, tra l’offesa ricevuta ed il male inflitto all’aggressore, per valutare se esso sia pari, inferiore o tollerabilmente superiore al male da quest’ultimo minacciato. Requisito che, insieme alla necessità di difendersi ed alla inevitabilità altrimenti del pericolo, il giudice deve apprezzare per verificare la legittimità di una reazione che, altrimenti, tale non sarebbe.
Eliminata in questi casi la rilevanza della proporzione, si espande la portata della scriminante, con un’operazione che in sé e nei suoi effetti appare fortemente problematica sia sul piano dogmatico sia sul piano del rispetto dei valori costituzionali.
Perché, attraverso la finzione di una presunzione legale, si renderebbero recessivi dei beni, come la vita, la salute e l’incolumità personale, che nella scala dei valori costituzionali sono tutelati in massimo grado rispetto ad altri, come i beni patrimoniali che, invece, hanno una minore rilevanza. Il bene della vita, della salute e l’incolumità resta tutelato al massimo grado anche quando esso appartenga ad un soggetto che commette un reato ed esso può recedere solo di fronte a beni che abbiano altrettanto valore e rilevanza.
La previsione di una presunzione legale dimostra però che uno degli obiettivi della riforma è anche quello di limitare in questa materia gli spazi di apprezzamento discrezionale del giudice, o addirittura, come qualcuno ha sostenuto, di assicurare un’area di impunità tale da precludere la stessa celebrazione dei giudizi in questa materia.
Ciò che sarebbe del tutto velleitario quanto fallace, giacché in presenza di un qualunque fatto che potrebbe costituire un reato l’avvio dell’indagine è doverosa, come doverosa e necessaria è la pronuncia e l’accertamento dei fatti da parte del giudice, secondo i percorsi che il processo penale con le sue garanzie prevede. La nuova legittima difesa non eviterà quindi procedimenti e processi, ma, semplicemente li complicherà.
Quel che di certo essa porta con sé è un frutto avvelenato, perché il messaggio che attraverso la nuova legittima difesa si vuol far passare è quello della legittimazione della giustizia privata. Passa l’idea che lo Stato ed i suoi apparati preposti alla tutela delle persone e dei loro beni non siano in grado di garantire un sufficiente standard di sicurezza e che, pertanto, le persone si possano e si debbano organizzare e farsi giustizia da sé.
Tutto ciò rischia di innescare una spirale di violenza e aggressività, che mette a rischio la vita e la salute delle persone, ad iniziare dalle vittime, perché la comune consapevolezza della diffusa disponibilità delle armi induce in chi commette reati a farne uso con maggiore spregiudicatezza.
Una riforma, dunque, che fa della legittima difesa una scriminante doppiamente immorale: perché essa confligge con il sistema e la tavola dei valori costituzionali e perché foriera di un messaggio culturale e simbolico pericolosissimo per la sicurezza delle persone e dei loro beni.
26 febbraio 2019