Meno afflizione, più reinserimento:
una riforma che va nel verso giusto
È ancora in fase di approvazione la Riforma dell’ordinamento penitenziario.
Si tratta di una riforma di ampio respiro che mira a realizzare, a distanza di oltre quarant’anni dalla legge del 1975, una organica rivisitazione del sistema dell’esecuzione penale, delle misure alternative alla detenzione e delle norme che regolano l’azione delle istituzioni penitenziarie e la vita del carcere. I temi della legalità del carcere e del recupero di una visione della pena rispettosa dei principi costituzionali si sono da tempo imposti all’attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni e della politica. Negli ultimi anni, anche a seguito delle ripetute sollecitazioni della Corte europea dei diritti dell’Uomo sulla questione del sovraffollamento penitenziario (in particolare con la sentenza Torreggiani), si sono succedute una serie di modifiche normative che, nel cercare di dare rapida risposta alle esigenze di deflazione carceraria, hanno però reso evidente la indifferibile necessità di un intervento sistematico.
La riforma appare apprezzabile per il metodo seguito ai fini della sua elaborazione e per i suoi contenuti e obiettivi. Essa, infatti, è il risultato di una riflessione e di un lavoro corale che ha visto il coinvolgimento, nel contesto degli Stati generali dell’Esecuzione penale promossi dal Ministro della Giustizia, di una molteplicità di attori: dagli operatori del processo, magistrati e avvocati, al mondo dell’università; dagli operatori del carcere, al volontariato e al cd. terzo settore, cui è seguita l’elaborazione della Commissione, presieduta dal prof. Glauco Giostra.
I contenuti di questa poderosa iniziativa riformatrice, che ha fatto registrare di recente anche il parere positivo del CSM ( con il solo voto contrario del consigliere Morgigni e l’astensione del consigliere Leone ), spaziano in differenti ambiti e disegnano un nuovo ordinamento penitenziario che ambisce a dare più concreta attuazione ai principi costituzionali in materia di pena nel segno di quell’opzione personalistica fatta propria dall’art. 2 Cost. che pone al centro la “persona umana”, anche attraverso la responsabilizzazione dei detenuti rispetto a scelte e decisioni del quotidiano carcerario.
Principale snodo della riforma è il superamento dell’impostazione “carcerocentrica” del nostro sistema penale, attraverso la rimozione di automatismi e preclusioni e la valorizzazione delle misure alternative alla detenzione. Automatismi e preclusioni, contrariamente a quanto in modo strumentale affermato dai detrattori della riforma, vengono opportunamente mantenute, secondo la previsione della legge delega, “per i casi di eccezionale gravità e pericolosità, e, in particolare, per le condanne per i delitti di mafia e di terrorismo internazionale”), mentre negli altri casi vengono eliminati per superare quel sistema di preclusioni formali introdotto dalla legge ex Cirielli sui recidivi e dai vari interventi emergenziali, che hanno costruito, a partire da taluni specifici “tipi d’autore”, un regime giuridico fortemente restrittivo nell’accesso alle opportunità extramurarie, favorendo, di contro, il fenomeno del sovraffollamento penitenziario. La riforma favorisce il ricorso alle misure alternative, quali strumenti di reinserimento sociale e di contrasto della ricaduta nel reato, la quale, come ben evidenziato dalle statistiche, registra indici di recidivanza assai più bassi per gli ammessi alle misure alternative (pari al 19%) rispetto ai detenuti in carcere (pari invece a circa il 70%), con evidenti benefici effetti anche per la sicurezza dei cittadini. In questa prospettiva, di grande rilievo sono le nuove disposizioni che estendono la possibilità di accesso all’affidamento in prova al servizio sociale, che ampliano i presupposti di concedibilità della detenzione domiciliare, in particolare nelle ipotesi in cui vi sia la necessità di una tutela dello sviluppo psico-fisico della prole ed il mantenimento del rapporto genitoriale. Parimenti importanti sono, poi, le nuove disposizioni relative al quotidiano penitenziario, attraverso le quali si eliminano le limitazioni non strettamente necessarie a garantire la sicurezza interna, e si favorisce la fruizione dell’ offerta trattamentale di formazione, lavoro e di partecipazione alla vita penitenziaria. E ancora, sul versante del diritto alla salute, va segnalata la riscrittura dell’art. 11 ord. pen., che impone dettagliate informative all’autorità giudiziaria da parte dei sanitari, in particolare nel delicato momento del primo ingresso; si consente, infine, il differimento della pena in caso di grave patologia psichica, prevedendosi, altresì, una misura di affidamento in prova di tipo terapeutico per i condannati con tali infermità.
Una riforma, quella in fase di approvazione, che impegnerà a fondo operatori e utenti dell’universo penitenziario, richiedendo l’impiego di cospicue risorse, non soltanto economiche, ma anche culturali, nel tentativo di ridefinire la funzione propria della sanzione penale quale strumento promozionale in grado di restituire alla società persone che, dopo l’esecuzione della pena, siano divenute pienamente consapevoli delle proprie responsabilità di cittadini.
A fronte dell’ampiezza di un disegno riformatore dall’impianto complessivamente condivisibile, Area Democratica per la Giustizia auspica fortemente che venga approvata una Riforma penitenziaria lungamente attesa e che, pur con qualche lacuna, cerca finalmente di restituire all’intero sistema dell’esecuzione penale una impronta più aderente al significato profondo di rieducazione e reinserimento sociale che, per statuto costituzionale, la sanzione penale e il carcere devono necessariamente assumere.