COMUNICATO

Osmosi delle funzioni.
Per avere un Pubblico Ministero forte, equilibrato, efficace ed indipendente

I dati sui passaggi di funzioni da giudicante a requirente e viceversa denunciano una situazione di sostanziale divaricazione dei percorsi professionali di giudici e pubblici ministeri nella direzione di una sostanziale separazione delle carriere.
In direzione ostinata e contraria, AreaDG propone un'inversione di rotta: il ripensamento di un assetto ordinamentale che impedisce la condivisione di un percorso di crescita professionale completo, articolato, animato da un comune sentire; una valorizzazione del mutamento di funzioni come strumento per una vera e progressiva formazione comune.
Vi invitiamo a leggere

Un assetto del tutto insoddisfacente

A distanza di dieci anni dall’entrata in vigore della riforma dell’ordinamento giudiziario possiamo dirlo: l’assetto ordinamentale del Pubblico Ministero uscito da questa riforma è davvero insoddisfacente.

Facendo l’occhiolino ad istanze politiche di separazione delle carriere che comunque non avrebbero incontrato il sostegno sufficiente per una loro realizzazione, il riformatore del 2006 concentrò i propri sforzi nella definizione di un’organizzazione interna delle Procure fondata su un’accentuata gerarchizzazione.

Se allora, nel 2006, le modifiche apportate dalla L. 269/2006 (ministro Mastella) all’originario progetto del ministro Castelli ci apparvero un piccolo successo rispetto all’originale idea di un ufficio di Procura rigidamente gerarchizzato, un Procuratore con pieni poteri, senza alcuna direzione di staff con una rigida separazione delle carriere ed un’unica possibilità di passaggio delle funzioni aggravata dalla necessità di pareri e corsi di riconversione, oggi non possiamo ignorare i frutti di un’operazione di compromesso, in parte incompiuta, che nel limitarsi a temperare la gerarchizzazione assoluta imposta, non ha minimamente calcolato l’effetto, negli anni, delle limitazioni al mutamento di funzioni.

Partendo da molto lontano si potrebbe dire che la scelta di rallentare, rendere difficoltoso il passaggio da Giudice e PM e viceversa in un contesto di irrigidimento dell’organizzazione interna degli uffici requirenti, nasca già dalla irrisione dei “giudici ragazzini” irresponsabilmente posti, solo perché vincitori di un concorso pubblico, nelle condizioni di nuocere, soprattutto se titolari di funzioni monocratiche.

L'idea di fondo di quella riforma era, a parte il malcelato sospetto per la figura e la posizione dei PM, quella di un ruolo delicato che avrebbe richiesto esperienza e che per questo poteva essere svolto solo dopo un'esperienza di giudicante. 

Il prodotto? Una serie di divieti e barriere a tratti davvero inspiegabili e solo in parte rivedute e corrette nei primi anni applicazione.

Vogliamo ricordarlo? Alla prima versione dell’art. 13 co.2  D.L.vo 160/06 che VIETAVA l’assegnazione dei MOT a funzioni requirenti e giudicanti monocratiche penali seguono interventi con decretazione d’urgenza (2009) che consentono al CSM di superare il drammatico vuoto creatosi in sedi gravissimamente disagiate (per il D.M. 2 ottobre 2009) e poi la modifica (L.1787/11) dell’art.13 co.2 con l’eliminazione del divieto di assegnare i MOT a funzioni requirenti e ridotte limitazioni per le funzioni giudicanti monocratiche (seguirà, nel 2016, con il D.L.n. 168 del  31/8/16 dedicato a misure “per l'efficienza degli uffici giudiziari” l’integrale abrogazione del comma 2) a dimostrazione del fatto che molte scelte delle scelte fatte si erano rivelate impraticabili e fuori della realtà 

Ma noi chiediamo altro, chiediamo di più

La riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006 disegna il percorso professionale dei magistrati degli anni Duemila come un tragitto tortuoso, irto di paletti e proibizioni il cui unico, vero risultato è quello di una crescente, e neppure strisciante, separazione di fatto delle carriere.

Ai limiti previsti dalla legge (incompatibilità territoriali, divieto di passaggio di funzione più di quattro volte nella propria carriera, trasferimenti subordinati al parere favorevole e a corsi di riconversione), si si sono collegati quelli definiti nelle circolari del CSM che, assecondando in questo una tendenza culturale di distinzione delle carriere ha adottato una politica di incentivi alla permanenza nelle stesse funzioni, sia nelle circolari sui trasferimenti che nel testo unico sulla dirigenza, in questo modo assimilando la funzione con la specializzazione, puntando sempre di più  su percorsi professionali totalmente distinti.

Il risultato, attuale, di questa disciplina dimostra, numeri alla mano, gli effetti concreti conseguiti: rarissimi i passaggi tra funzione requirente e giudicante ed ancor meno all'inverso (secondo i dati CSM 26 in tutto dal 2006 al 2014). Assurdamente vi è più interscambio in sistemi in cui vige la separazione delle carriere, ma sono previste passerelle che consentono un passaggio ragionato. Le scelte professionali così, per come è strutturato il percorso dell'attività di magistrato, derivano da parametri geografici più che attitudinali.

Sono scelte che assicurano un migliore funzionamento della giustizia e una maggiore tutela per il cittadino?

Entriamo nel merito.

Una limitata efficacia

I dati sull'esito dei procedimenti sono la più efficace smentita di chi ha esibito il rischio di "vicinanza" tra pubblico ministero e giudice come pericolo per l’imparzialità di quest’ultimo.

I pochi numeri consultabili ci dicono che nei processi approdati a dibattimento una quota che varia tra il 30 ed il 70%, a seconda dalle sedi, si risolve con una pronuncia favorevole all'imputato.

Se per un verso una certa quota di assoluzioni risulta del tutto fisiologica, derivando dall'incertezza prognostica della fase dibattimentale e dalle differenti interpretazioni e valutazioni delle prove, il dato complessivo, che va ben oltre la normalità, non può essere ignorato. L’assoluzione è uno degli sbocchi fisiologici del processo, ma inevitabilmente comporta costi per l’imputato, per la collettività e per l’imputato che non possiamo in alcun modo sottovalutare. Una quota elevata di assoluzioni evidenzia processi fin dall’inizio “deboli” oppure celebrati a distanza di così tanto tempo da rendere ogni esito assolutamente imprevedibile ed incontrollabile. Processi che non sono stati rafforzati dall’esistenza di procure più “organizzate” ma piuttosto, a volte, incentivate dal proliferare di certo produttivismo portato a canalizzare le notizie di reato in citazioni dirette, con poca o nessuna verifica istruttoria.

Risultati che allontanano il sistema giustizia, settore penale, dalle attese e dalle giuste richieste dei cittadini e che vengono strumentalizzati da chi, rifiutando di riconoscere le vere cause di un progressivo appesantimento dei carichi di lavoro, incompatibili con qualsiasi criterio di smaltimento, ancora una volta promuove la proposta di “separazione delle carriere” quale soluzione per tutti i mali.

Noi pensiamo ad altro

Noi pensiamo e chiediamo, ancora una volta, una vera politica di deflazione penale, l'adozione di criteri di priorità, l’attribuzione di adeguate risorse (la copertura degli organici di magistrati e personale) la promozione di un’organizzazione del lavoro tesa a canalizzare e definire i procedimenti seriali, una cultura che punti più sulla qualità che sulla quantità pura.

Del resto se il problema fosse quello della colleganza, allora dovremmo insistere per distinguere anche le carriere di tutti i giudici di impugnazione, il cui ruolo viene ad essere ancora più in contrasto e conflittuale con i giudici i cui provvedimenti vengono impugnati.

Il problema è fortunatamente diverso.

Quali alternative?

Le alternative sul ruolo del PM sono tutte sul tavolo ed alcune, in questo Paese senza memoria, sono state già sperimentate con cattivi risultati.

La prima, quella attualmente più in auge, ed in definitiva pericolosa, è quella di incrementare la gerarchizzazione esistente unendo alla forte gerarchia interna una analoga gerarchia esterna, creando un sistema piramidale che parta dal Procuratore generale presso la corte di cassazione per poi dispiegarsi nelle varie procure territoriali attraverso le procure generali delle corti di appello. Un sistema che mutua l'ordinamento del 1941 e che spera in questo modo di giungere ad un rigido controllo del PM. Sistema che si è dimostrato, nelle pagine più buie della Repubblica, efficiente solo per fermare o dirottare indagini scomode, con un esito di burocratizzazione e perdita di efficienza. Vanno in questa direzione le proposte della Commissione Vietti e alcune disposizioni (oggi ancora molto tendenziali) contenute nella legge Orlando.

La seconda ipotesi è quella di una separazione delle carriere creando uffici del Pubblico Ministero del tutto autonomi e svincolati da ogni altro potere. Uffici che sarebbero senza alcun controllo se non interno, senza rapporti, se non processuali, con gli uffici giudicanti.

Un'autonomizzazione brada che in breve tempo si chiederebbe di regolare, perchè in definitiva pericolosa e senza futuro e che sfocerebbe o nella sottoposizione al potere esecutivo o nella rigida gerarchizzazione piramidale appena affrontata.

Ci siamo già passati in realtà. Sino al 1946 "il PM esercita(va) sotto la direzione del ministro le funzioni che la legge gli attribuisce". E sino al 1988 l'art.70 Ordinamento Giudiziario recitava "i Procuratori della Repubblica esercitano le loro funzioni personalmente o per mezzo dei dipendenti addetti ai rispettivi uffici".

Cosa potremmo aspettarci?

Accentuare o proseguire sulla strada della separazione delle carriere, con un Pubblico Ministero soggetto distinto ed “altro”, in un Paese nel quale l'immaginario collettivo e molta stampa identificano e spesso esauriscono nelle Procure della Repubblica il ruolo di protagoniste della giustizia, vorrebbe semplicemente dire avere un PM. fortissimo, autoreferenziale e teso solo a coltivare tesi accusatorie contro l'imputato, senza esaltare in alcun modo la terzietà del giudice.

La strada da percorrere è un'altra

Coltivare  e promuovere l’osmosi delle funzioni: dalla condivisione dei contenuti della giurisdizione alla gestione coordinata degli uffici

In opposta e contraria tendenza noi chiediamo  di incentivare e valorizzare il passaggio da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa come strumento per una vera e progressiva formazione comune,  di legare sempre più gli uffici requirenti con quelli giudicanti, coinvolgendo, come già altrimenti previsto, anche l'avvocatura  di incrementare interrelazioni e sinergie, con una vera simmetria nelle scelte  su specializzazioni e modalità organizzative  criteri di priorità discussi e trasparenti, con piena e reciproca consapevolezza di risorse, flussi, capacità di definizione che orientino le scelte.

Su questi terreni, come già prevede la Circolare sulle tabelle del CSM, la voce ed il contributo di un'avvocatura che voglia essere protagonista e non spettatrice.

La risposta deve essere di quella di rafforzare e non di abbandonare il circuito dell'autogoverno, con il risultato di favorire l'interrelazione e la valorizzazione professionale come unica risposta.

Ciò risponde anche a qualsiasi parametro di buona organizzazione.

Avere uffici con profonde relazioni processuali e materiali che non si parlano e che non affrontano e sviluppano le interrelazioni processuali, che non si scambiano notizie, formali e informali è semplicemente senza senso. Avere un Procuratore come uomo solo al comando che "regna" sul suo ufficio, senza uno staff di direzione e senza confrontarsi con l'Ufficio giudicante omologo, è semplicemente irragionevole è irrealistico.

Per fare una scelta in questo senso servono:

Dobbiamo invertire una tendenza culturale che rischia di portare ad una gerarchia cieca e ad una autoreferenzialità senza sbocchi.

L'efficacia repressiva e le garanzie dei cittadini non sono in contrasto e quello cui dobbiamo puntare è che tutti i soggetti processuali, difesa, PM, giudice siano soggetti forti e responsabili.

È possibile.

10 ottobre 2017