Una legge per il CSM lontana dalle esigenze di riforma attese
Negli ultimi giorni, in attesa di un testo normativo, hanno avuto diffusione, anche attraverso canali ufficiali, una serie di informazioni relative alle modifiche alla legge elettorale del CSM e ad alcuni aspetti dell’ordinamento giudiziario che la Ministra Cartabia intende presentare in Parlamento. Tali anticipazioni evidenziano una linea di intervento ministeriale che è molto lontana dalle attese e dalle esigenze di riforma della magistratura e dell’autogoverno orientate a rimuovere le cause della deriva correntista e clientelare drammaticamente emersa negli ultimi due anni.
Quanto alle elezioni del CSM, già da tempo abbiamo evidenziato che, per rimuovere le cause del clientelismo sarebbe stato necessario un sistema elettorale improntato a questi principi:
- assicurare la qualità professionale ed etica nonché l’autorevolezza dei candidati;
- la concentrazione degli eletti in pochi grandi centri;
- riavvicinare i magistrati all’autogoverno mediante un sistema che non precluda di fatto candidature estranee alle correnti e consenta agli elettori una scelta realmente consapevole in una platea di magistrati effettivamente conosciuti;
- garantire la rappresentanza di genere;
- assicurare che il CSM sia rappresentativo del pluralismo delle idee che caratterizza la magistratura.
Purtroppo, nessuno di questi obiettivi viene centrato dalla proposta di riforma.
Per assicurare la qualità dei candidati è necessario un sistema nel quale gli elettori abbiano possibilità di scelta tra un numero ampio di candidati, soprattutto per stimolare la candidatura dei colleghi più stimati professionalmente e moralmente. Un sistema, quale quello indicato dalla Ministra, caratterizzato da collegi maggioritari bi-nominali di grandi dimensioni, invece, induce a restringere al massimo la platea dei candidati, e perpetra dinamiche di sostanziale designazione degli eletti da parte delle correnti o dei potentati locali che a volte in esse operano. Questo è tanto evidente che il sistema prevede, per compensare questo maleficio, un irrazionale sorteggio di candidati al fine di ampliare la rosa; come se i candidati sorteggiati avessero una reale capacità competitiva e non esaurissero il loro ruolo in quello di meri simulacri di una pluralità di fatto inesistente.
Anche la concentrazione degli eletti in pochi distretti principali non è evitata. Infatti, ipotizzare due collegi per l’elezione dei pubblici ministeri, e quattro collegi per i giudici equivale a riaffermare la regola, operante nei fatti, per la quale gli eletti proverranno tutti dal distretto più numeroso all’interno della circoscrizione elettorale, mantenendo agli altri un ruolo ancillare e di mero sostegno elettorale, ancora una volta privo di reale rappresentanza.
La rappresentanza adeguata di genere è un ulteriore obiettivo mancato, atteso che la legge prevede uno stimolo alla candidatura equamente distribuita tra i generi ma nessuna quota di risultato. L’effetto sarà ancora una volta quello di un CSM nel quale il genere maggiormente rappresentato, ad oggi, nella platea dei magistrati, sarà invece drammaticamente sottorappresentato nel governo autonomo.
Il pluralismo dell’autogoverno, ivi inclusa la possibilità di candidature estranee alle correnti, è sostanzialmente precluso. Un sistema maggioritario, bi-nominale, a preferenza unica con collegi di grandi dimensioni determina che gli eletti saranno tutti riferibili ai due gruppi associativi che raccolgono i maggiori consensi, così lasciando fuori le altre identità culturali. Questo effetto, assolutamente prevedibile, è estremamente dannoso in un organismo che non è sottoposto alle regole della governabilità ma a quelle della rappresentatività. Peraltro, un Consiglio nel quale vi siano due gruppi contrapposti che, alternativamente, acquisiranno una maggioranza relativa di scarsa misura, verrà di fatto dominato dagli eletti dal Parlamento, che costituiranno il vero ago della bilancia.
Questa dinamica rischierà di aumentare il peso della politica e dei partiti sulle scelte del CSM, prime tra tutte quelle relative alle nomine dei direttivi, con effetti potenzialmente lesivi dell’autonomia ed indipendenza dei nominati. Un sistema, quindi, che non è impermeabile alle clientele, più che in passato, ma che espone ad una forte interferenza non solo delle correnti ma anche dei partiti politici.
Se auspicavamo un sistema che riavvicinasse i magistrati all’autogoverno dopo gli scandali, questo obiettivo, sintesi dei precedenti, viene definitivamente frustrato. Come potrebbe, infatti, essere più apprezzato dai magistrati un autogoverno composto solo da due anime culturali mentre le altre sono estromesse, senza adeguata rappresentanza di genere, con eletti designati ancor prima delle elezioni e con un fortissimo peso decisionale rimesso a volubili maggioranze?
Preoccupa che la scelta di un sistema così poco adeguato alle esigenze avvenga in un contesto nel quale altre scelte erano possibili. Solo il sistema proposto dal Ministro Bonafede avrebbe prodotto danni maggiori, mentre altri sul tappeto, a partire da quello espresso dalla Commissione presieduta dal costituzionalista Massimo Luciani, pretermessi senza alcuna argomentazione, avrebbero dato risposte maggiormente soddisfacenti alle esigenze prospettate.
12 dicembre 2021