Codice Rosso

Gli aspetti ordinamentali della legge 168/2023

Prime riflessioni sulla novella al cd. codice rosso con la legge n. 122 del 2023: criticità e difficoltà applicative concrete

Tra i recenti interventi normativi in materia penale si insinuano ripetuti segnali espressivi della volontà di imprimere caratteri sempre più gerarchici e verticistici alla funzione del pubblico ministero italiano; obbiettivo spesso raggiunto non intervenendo sulle norme di ordinamento giudiziario ma direttamente sulle norme processuali attraverso la creazione di finestre di controllo sulle iniziative del PM e sull’esercizio di alcuni spazi di discrezionalità a lui rimessi; ciò al dichiarato scopo di attivare una verifica di natura prettamente gerarchica finalizzata al potenziale esercizio dell’azione disciplinare piuttosto che operare un controllo giurisdizionale, sempre condivisibile.

In tale direzione si poneva già il reticolo normativo introdotto dalla riforma Orlando in materia di avocazione, con gli obblighi di segnalazione al Procuratore Generale di una serie di indicatori apparentemente finalizzati ad un recupero di efficienza ma in realtà sganciati da una effettiva cooperazione delle Procure Generali nella definizione delle stasi procedimentali e in realtà orientati verso un penetrante controllo gerarchico del pubblico ministero di primo grado, con chiari riverberi sul piano disciplinare.

Allo stesso modo si è operato nell’ambito della riforma Cartabia che, per la fase della chiusura delle indagini preliminari, accanto a nuovi poteri di verifica processuale affidati al GIP ha inserito momenti di controllo da parte del Procuratore Generale presso la Corte di Appello che appaiono distonici rispetto al sistema processuale. e rivelatori di una spinta alla maggiore verticalizzazione e gerarchizzazione delle funzioni requirenti.

La tendenza è resa ancor più evidente dalla recente disciplina introdotta nell’ambito del cd. codice rosso con la legge n. 122 del 2023, che rivela un netto slittamento della funzione di controllo sull’operato del pubblico ministero da una prospettiva funzionalistica endo-processuale ad un’ottica puramente gerarchica; obbiettivo che si coglie già dal contenuto delle penetranti informazioni che le procure della Repubblica dovranno inviare alle procure generali in relazione al:

 

Si tratta di obblighi di comunicazione che non si giustificano in un’ottica di recupero dell’effettività delle attività investigative e procedimentali ma tradiscono la volontà di esercitare un potere di sollecitazione e di ingerenza nelle scelte procedimentali del pubblico ministero restringendone la discrezionalità operativa.

Ancora più incisivo appare poi il controllo sollecitato in attuazione della legge n. 168 del 2023. In questo caso gli obblighi di comunicazione, peraltro destinati a confluire in relazione semestrali alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione, attengono:

 

I Procuratori generali delle Corti dl appello, acquisiti i dati ai sensi dell’art. 127, comma 1-bis, disp. att. cpp e dell’art. 6, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 106/2006, provvederanno a trasmettere al Procuratore Generale della Cassazione, entro il 30 giugno ed entro il 30 dicembre di ogni anno, una relazione unitaria divisa in due sezioni recanti i prospetti relativi a ciascuna Procura del distretto, con l’indicazione dei dati loro comunicati nelle relazioni rispettivamente previste dal comma 1-bis dell’art. 6 del D.Lgs. n. 106/2006 e dal comma 1-bis dell’art. 127 disp. att. cpp.

La natura e lo scopo di tali comunicazioni sono del tutto evidenti.

Non un controllo nel processo, né la costruzione di un meccanismo di recupero dell’efficienza dell’azione cautelare e penale, ma un controllo funzionale in senso verticistico reso ancor più evidente dall’oggettiva impraticabilità degli strumenti dell’avocazione, esclusi i quali non residua che il potere sanzionatorio di natura disciplinare.

Va peraltro rilevato che la nuova formulazione dell’art. 127 disp. att., quando prevede che “il procuratore generale presso la corte di appello acquisisce ogni tre mesi dalle procure della Repubblica del distretto i dati sul rispetto dei termini relativi ai procedimenti di cui all’art.362 bis del codice di procedura penale e invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno semestrale”, sostanzialmente compie un riferimento diretto a tutti i termini ora previsti dall’art. 362 bis cpp, e dunque anche a quelli previsti per il G.I.P. per l’evasione della richiesta di misura cautelare, con ciò indirettamente onerando il pubblico ministero di primo grado – tenuto alle comunicazioni – di una sorta di controllo sull’operato del proprio giudice, ed il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di un controllo sugli uffici giudicanti in chiave puramente extra procedimentale: non essendo previsti rimedi, nell’ambito delle indagini, all’eventuale inerzia.

In tal senso depone anche l’interpretazione della normativa in esame adottata dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione con la nota del 9.1.2024, secondo la quale l’attività di vigilanza affidata alle Procure Generali va finalizzata:

 

Del resto la medesima nota individua chiaramente la ratio delle comunicazioni nella necessità di valutare la congruità delle scelte organizzative e la capacità di ogni singolo ufficio di Procura di provvedere affinché l’audizione della vittima, dopo l’iscrizione della notitia criminis, si svolga senza indebito ritardo ed evitando che l’atto sia ripetuto se ciò non sia strettamente necessario ai fini dell’indagine: una valutazione che scende nel merito delle scelte sia procedimentali che organizzative del pm di primo grado, operando, quanto alle prime, una sorta di erosione delle prerogative del circuito dell’autogoverno e, quanto alle seconde, una ingerenza sulle scelte discrezionali dell’ufficio requirente.

Questo potere di penetrante controllo gerarchico appare anche platealmente motivato dalla sfiducia per la capacità del PM e della polizia giudiziaria di affrontare in modo competente ed efficiente la piaga dei femminicidi: una sfiducia infondata, in ragione della profonda riorganizzazione degli uffici requirenti e delle strutture investigative attuata in questi ultimi dieci anni per fronteggiare adeguatamente il fenomeno, e che si traduce peraltro in procedure rigide che insidiano la discrezionalità del PM sostituendola con passaggi formali legati ad adempimenti predeterminati da realizzare anche quando in concreto non necessari o non opportuni dal punto di vista investigativo; con il risultano di indurre all’adempimento ossequioso di tali formalismi, onde evitare rischi disciplinari, pur se controproducenti per l’indagine.

E quando i passaggi formali imposti dalla novella del 2023 investono anche le valutazioni cautelari si porta a compimento la creazione di un sistema di controlli gerarchico-disciplinari che rischia di spingere la magistratura requirente verso un approccio burocratico e formale nel quale la proposizione della richiesta di misura cautelare può assumere addirittura una connotazione auto difensiva.

Un approccio non adatto ad arginare efficacemente il drammatico fenomeno della violenza di genere ed endofamiliare, e certamente non ispirato a quei principi costituzionali che impongono di ricorrere alla cautela personale in ragione dell’effettiva previsione di pericolosità in concreto delle condotte illecite.

22 gennaio 2024