Carceri: se 67 vi sembran pochi Carceri: se 67 vi sembran pochi

Carceri: se 67 vi sembran pochi

Le condizioni nelle carceri italiane sono questione di dignità nazionale e non possono essere affrontate solo sull’onda dell’indignazione per l’ennesimo suicidio (il settantasettesimo quest’anno), ne’ risolti con la proposta di trasformare le caserme in nuovi carceri. Neppure servono gli scontri quasi ideologici tra chi sta sempre e solo dalla parte di Caino e chi sta sempre e solo dalla parte di Abele. Riguardano l’intero assetto dell’esecuzione penale, la drammatica mancanza di personale e risorse nei Tribunali di Sorveglianza, nei servizi dell’esecuzione penale, nella polizia penitenziaria.

Lo scorso dieci dicembre una persona detenuta nel carcere di Trento si è tolta la vita. Si tratta del sessantasettesimo suicidio dall’inizio dell’anno; dato in calo rispetto all’anno precedente – il peggiore di sempre -, ma non per questo meno sconvolgente.

La scelta di porre fine alla propria vita da parte di una persona detenuta non può spiegarsi semplicemente come mero esito di dolorosi percorsi personali, ma rappresenta un fallimento per lo Stato e le sue istituzioni, che privando la persona della libertà e assumendo perciò la responsabilità di garantire alla stessa condizioni di vita dignitosa e di salute in costanza di detenzione, non sono state in grado di cogliere la condizione di un disagio tanto profondo o, rilevandola, non hanno saputo offrire il necessario supporto.

Un suicidio in carcere non è perciò una vicenda privata o un problema del carcere, ma è un fatto di rilevanza sociale e politica, rispetto al quale la società intera non può chiamarsi fuori e deve interrogarsi, così sulle cause, come sulle possibili misure di contrasto che è doveroso adottare.

Non v’è dubbio che tra le prime via sia l’attuale condizione di sovraffollamento carcerario.

Le statistiche del Ministero della Giustizia attestano che alla data del 30 novembre scorso le persone detenute presenti nelle carceri italiane erano 60.116, a fronte di una capienza regolamentare di 51.272 posti, con un tasso medio di sovraffollamento carcerario pari al 120% e con punte drammatiche del 160% in alcune realtà come quella della Puglia.

 

Sono dati che suscitano una profonda preoccupazione, anche perché destinati nel futuro a crescere rapidamente, come dimostra il tasso progressivo di occupazione che dal 2020 ad oggi non si è mai fermato e dà anzi segnali di forte accelerazione ( 2020: 53.364 / 2021: 54134 / 2022: 56196 / dato parziale a novembre 2023: 60.116) .

Il sovraffollamento carcerario pone a rischio i diritti fondamentali dei detenuti, perché li priva dello spazio minimo vitale, così come determinato dalla consolidata elaborazione della giurisprudenza nazionale e sovranazionale, li relega ad una maggiore intollerabile promiscuità nell’uso dei servizi e nella fruizione delle risorse, limita e comprime l’accesso al trattamento ed alle opportunità che esso deve offrire, ledendo la dignità della persona e frustrando la finalità rieducativa della pena, aggrava le profonde carenze del sistema sanitario carcerario comprimendo ulteriormente diritto alla salute dei detenuti mettendo a repentaglio la loro incolumità ed il loro benessere psicofisico.

Esso espone il personale di Polizia penitenziaria, già gravemente carente per le gravi scoperture di organico, a situazioni di stress e di sovraffaticamento, acuendo la conflittualità all’interno degli istituti penitenziari e con essa la sicurezza di chi nel carcere lavora.

Una situazione che, in prospettiva, espone nuovamente il nostro Paese, come già avvenuto in passato, ad una umiliante condanna per violazione dei diritti umani, anche perché destinata ad aggravarsi, nonostante il numero elevato di soggetti che a vario titolo espiano la pena in misura alternativa , pari, secondo le stesse statistiche ministeriali ad oltre il doppio della popolazione detenuta, mentre oltre 90.000 persone, sempre secondo le rilevazioni ufficiali, attendono in sospensione dell’esecuzione della pena, di poterla eseguire.

Le cause del sovraffollamento carcerario sono certo molteplici, ma esse sono parte della più generale e profonda crisi che vive l’intero sistema dell’esecuzione penale, ad oggi sul baratro del fallimento.

 

Tutti, i detenuti, gli affidati e i liberi in sospensione, e da quest’anno anche molti di coloro che sono sottoposti alle pene sostitutive introdotte dalla riforma “Cartabia”, sono in carico ad una Magistratura di Sorveglianza ed a Servizi che con organici assolutamente inadeguati e senza risorse (tanto che i Tribunali e Uffici di Sorveglianza sono stati esclusi del tutto dalle risorse previste dal P.N.R.R. per la Giustizia), faticano a dare una risposta tempestiva ed efficace. Analoghe gravi carenze si registrano all’interno del carcere tra il personale penitenziario, gli educatori, i medici e gli psicologi con conseguente impossibilità di impostare percorsi trattamentali realmente individualizzati la cui efficacia presuppone condizioni di detenzioni umane e richiede la presenza di un numero di operatori adeguato a quello dei detenuti. Analogamente gli organi dell’esecuzione penale esterna soffrono di gravissime carenze di mezzi e personale, situazione che impedisce di connotare le misure alternative di effettiva efficacia risocializzante.

A fronte di una situazione la cui gravità e drammaticità sono evidenti, le politiche governative continuano a perseguire una linea sicuritaria e giustizialista, che sta aggravando e non potrà che peggiorare il sovraffollamento carcerario.

Con il DDL approvato dal Cconsiglio dei Ministri il 17 novembre scorso, il Governo ha previsto l’introduzione di “Nuove norme in materia di sicurezza pubblica, tutela delle forze di polizia e delle vittime dell’usura e dei reati di tipo mafioso “, ma che nei fatti si traducono in un complessivo inasprimento del sistema punitivo che favorisce, quando non impone, l’ingresso in carcere.

Sono previste, infatti, ben tre nuove ipotesi di reato, tutte con pena superiore ai sei anni e con arresto obbligatorio in flagranza, cinque previsioni di aggravamento delle pene, già pur severe, previste per alcuni reati, si abolisce il rinvio obbligatorio della pena per donne incinta e madri con figli di età inferiore all’anno, si amplia il catalogo dei reati di cui all’art. 4 bis O.P. che regola il sistema della cosiddetta ostatività ai benefici penitenziari.

 

Si disegna un tal modo un complessivo meccanismo di automatismi e di cause ostative ai benefici penitenziari che spingono le persone in esecuzione pena dentro il carcere sulla base di presunzioni legali di pericolosità sociale, non preventivamente verificabili nella loro realtà e concretezza dal magistrato. E ciò anche a costo di sacrificare diritti fondamentali delle persone più vulnerabili come sono i bambini : se il D.D.L. verrà approvato le donne incinta potranno essere costrette a trascorrere la gravidanza in un ambiente niente affatto salubre, come è il carcere, con rischio per la salute del nascituro, mentre anche i bambini di età inferiore ad un anno, saranno costretti a condividere il destino di carcerata della loro madre, proprio in un periodo della vita delicatissimo e in cui l’interazione con la realtà e l’ambiente libero sono fondamentali.

Se oggi le madri detenute con i loro bambini, grazie a norme di tutela dell’infanzia, sono 22 e i bambini in carcere sono altrettanti, la metà solo dei quali ospitati presso gli ICAM (Istituti a custodia attenuata), domani anche questi numeri cresceranno e crescerà il numero degli innocenti costretti a vivere anni decisivi per la loro crescita e sviluppo psicofisico nel chiuso di un istituto penitenziario.

Per affrontare seriamente la crisi dell’esecuzione penale e con essa quella, intimamente collegata, del sovraffollamento carcerario, e così dare il corretto contenuto a quella “certezza della pena” spesso strumentalmente e impropriamente sbandierata, non occorrono nuove pene e nuovi reati che, al contrario aggravano la crisi in atto senza assicurare alla collettività una reale maggiore sicurezza, ma occorrono interventi strutturali, di innovazione e di organizzazione, che diano all’Italia un moderno sistema di esecuzione penale in attuazione del disegno che in materia di pena è tracciato nella Costituzione.

AreaDG - Gruppo esecuzione penale

14 dicembre 2023