Una nuova idea della dirigenza giudiziaria
Relazione al Convegno
“I dirigenti che abbiamo, i dirigenti che vogliamo”,
Bologna 2 dicembre 2023
Abbiamo un quadro preoccupante denotato da una crescente importanza del dato organizzativo e nel contempo sempre meno vocazioni per posti direttivi e semidirettivi, con molti magistrati che vogliono occuparsi il meno possibile di organizzazione e di innovazione del servizio ed una tendenza ad interpretare il ruolo del dirigente in maniera burocratico - adempimentale. Si è creata una evidente spaccatura tra un “ceto” dirigenziale lontano dai normali magistrati, attento principalmente alla propria carriera e alle performance e una base di magistrati estranea ai profili organizzativi.
Per non parlare della pericolosissima tendenza, che trova adepti anche in magistratura, di risolvere tutto affidando la gestione degli uffici giudiziari a presunti manager esterni con un’impostazione di tipo aziendalista che vorrebbe inevitabilmente dire mettere in mano la giurisdizione e il suo indipendente esercizio a esterni con un’ottica nel migliore dei casi cieca ed efficentista, nel peggiore strumentale a fini politici.
Partiamo dall’inizio: è necessario un dirigente? ed è compatibile la gerarchia?
Qualsiasi struttura umana necessita di un’organizzazione e di chi si occupa di questa organizzazione. Il problema non è nominalistico, ma di funzione e poteri. Il rischio è di creare anarchie disorganizzate, incapaci di raggiungere standard di servizio e di essere e rendere consapevoli delle differenze interpretative e comportamentali.
La gerarchia è un sistema, asimmetrico, di graduazione e organizzazione delle cose, implicante un reciproco rapporto di supremazia e subordinazione e come tale è solo parzialmente compatibile con il precetto costituzionale di distinzione tra i magistrati solo per diversità di funzioni. Il potere gerarchico è quindi limitato al dato organizzativo e funzionale al servizio. Ne consegue una valorizzazione della equiparazione e della partecipazione, che comunque è cosa diversa dall’assemblearismo.
Partiamo dai fondamentali.
È il Consiglio superiore e non i singoli dirigenti che detengono il vero e proprio potere organizzativo: è il CSM che forma tabelle degli uffici giudicanti sulla base della segnalazione dei dirigenti degli uffici e della proposta del presidente di Corte di Appello (art. 7 e ss. O.G.) ed è sempre il CSM che deve fornire i principi generali per i progetti organizzativi degli uffici requirenti (art.13 L.17 giugno 2022 n.71). Il problema è che il CSM è lontano con tempi decisionali inevitabilmente lente, mentre i dirigenti sono presenti in loco.
La dirigenza del mondo giudiziario è del tutto originale e non assimilabile ad altri ruoli della pubblica amministrazione proprio perché è meramente organizzativa, non riguardando (se non parzialmente per le Procure) il merito delle attività, ed avendo come primo compito quello di salvaguardare l’indipendenza dell’ufficio e dell’attività giurisdizionale. Il dirigente è quindi funzionale al servizio e a rendere un servizio. Inoltre ai sensi del D. Leg. N. 240/2006 la dirigenza negli uffici giudiziari è integrata (quindi con una comunità di intenti ed attività) tra un magistrato che dirige l’ufficio per il lato giurisdizionale (ed è titolare dell’Ufficio) ed un dirigente amministrativo che gestisce personale, beni e servizi.
La carriera è concetto estraneo alla magistratura come si trae dagli articoli 107 e 108 della Costituzione.
La temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi è la concretizzazione di tale principio, delineando la direzione come una delle funzioni nell’arco del percorso professionale, con un potere gerarchico funzionale alla sola organizzazione del servizio.
Ricordiamo sempre che la precedente esperienza di direzione non temporanea è stata fallimentare, delineando una gerontocrazia con incrostazioni di potere e incarichi pensati come premio alla fine dell’attività professionale.
L’attuale temporaneità è malata, tende alla creazione di un cursus honorum, basato sui titoli e non sulla concreta prestazione resa, ed esalta il disinteresse per le questioni organizzative da parte di chi non è dirigente.
Il ruolo dirigenziale è negli anni cambiato e richiede una crescente attività di amministrazione della giurisdizione ed una attività gestionale pura. Ciò deriva da interventi normativi (prima le tabelle, poi il piano di attività, quindi il programma di gestione, l’informatizzazione e i monitoraggi) ed ha avuto un salto di qualità con il trasferimento della gestione e manutenzione dei Palazzi di giustizia dai Comuni in via formale al Ministero della Giustizia, ma effettivamente agli uffici giudiziari, in particolare a Corti di appello e Procure generali. Un’attività richiesta sempre più complessa, ma anche un’utenza sempre più esigente.
Scomponendo i compiti e le componenti del ruolo di dirigenza si traggono diversi fattori: uno tecnico giuridico giurisdizionale, uno di rappresentanza, uno gestionale-organizzativo, uno di indirizzo e proposta, uno deontologico, uno valutativo.
L’immagine che è stata costruita del dirigente come uomo/donna solo al comando è pericolosa e impraticabile. Non solo realizza un’inammissibile concentrazione di potere, ma non è in grado di dare risposte efficienti, delineando una governance debolissima e anacronistica, e contrasta con una normativa che valorizza la partecipazione come segnale di democrazia e di efficienza.
La partecipazione ed il coinvolgimento dei magistrati, ma anche di altri soggetti è fondamentale, perché l’organizzazione deve essere un bagaglio di ciascuno e deve essere condivisa. L’organizzazione deve permeare ogni aspetto della formazione e delle attività.
La direzione di un ufficio giudiziario deve essere inevitabilmente collettiva, coinvolgendo Presidenti di sezione, Procuratori aggiunti, dirigente amministrativo, direttori di sezione, utilizzando al massimo deleghe ed incarichi, sempre previo interpello onde facilitare e incentivare la partecipazione di tutti. Più che ad un Presidente, occorre pensare ad un Consiglio di presidenza che può avere nel contempo requisiti di stabilità e di rotazione. La partecipazione come contributo alla vita dell’ufficio non deve essere un optional, ma uno dei requisiti della figura del magistrato.
In questo quadro va valorizzato il ruolo dei presidenti di sezione e dei procuratori aggiunti non solo come presidio della sezione, settore o dipartimento, ma anche come collaboratori di direzione. Questo suggerisce la necessità di riqualificare il ruolo degli incarichi semidirettivi, di ridurne il numero e di rendere univoco il parametro a livello nazionale per tutti gli uffici anche 2º grado. Resta da approfondire la questione della tabellarizzazione, che non è rotazione, degli incarichi semidirettivi. Non è rotazione semplicemente per il fatto che abbiamo capacità e talenti diversi che vanno messi alla prova e valorizzati. Proposta che, pur lasciando al CSM il potere di nomina come prevede la Costituzione, inevitabilmente dà ulteriori poteri al dirigente dell’ufficio del potere di segnalazione o proposta delle tabelle. Anche se si potrebbe prevedere una possibilità alternativa di segnalazione proposta data ad esempio alla assemblea dell’ufficio o della sezione e/o al consiglio giudiziario.
Occorre ridefinire le competenze per diversi soggetti ed in particolare restituire le competenze puramente gestionali al Ministero della Giustizia a livello centrale e decentrato e ridefinire i compiti tra magistrato dirigente e dirigente amministrativo nell’ambito della dirigenza integrata, anche se la realizzazione di una direzione collettiva ridimensionerebbe molti problemi oggi esistenti, quali i diversi compiti ed il recupero dell’esperienza e del know how di chi ha cessato l’incarico.
In quest’ambito si potrebbe anche pensare di affidare a soggetti diversi dal Presidente o Procuratore i compiti valutatiti e deontologici, affidandoli a magistrati diversi, pur nel quadro di un consiglio di presidenza.
Proposte concrete
- Organizzazione come cardine nella formazione e nella professione.
- Vera temporaneità con periodi di interregno.
- Direzione collettiva (consiglio di presidenza) e dirigenza integrata.
- Democrazia partecipativa ed efficiente.
- Ridefinizione delle competenze con il Ministero e all’interno della dirigenza collettiva.
- Ridurre e riqualificare semidirettivi (tabellarizzazione?).
2 dicembre 2023