AreaDG nel futuro della magistratura: idee e progetti
Nelle intenzioni del coordinamento, questa sessione vuole essere un laboratorio libero di idee e di pensieri sul futuro: sul ruolo che la magistratura e la giurisdizione saranno chiamate a svolgere nelle dinamiche sociali ed economiche e sul ruolo che potrà avere l’associazionismo giudiziario e, in particolare, Area Democratica per la Giustizia.
Per questo non abbiamo chiamato “esperti” o imbandito tavole rotonde.
Sentiamo la necessità di parlarci tra noi, di ascoltare gli umori, le idee, i pensieri, le aspettative di chi ha ancora la voglia di dedicare il proprio tempo libero al tentativo di dare al proprio lavoro un senso più profondo e di dare corpo alla propria voglia di costruire insieme un sistema meno ingiusto; la necessità di decidere, insieme, noi, iscritti ad AreaDG, il destino del nostro gruppo.
L’altro ieri ho letto le parole come sempre lucide e appassionate di Claudio Castelli e solo su un punto mi permetto di dissentire: non è un’assemblea costituente, per la semplice ragione che siamo, già da tempo, costituiti.
Da tempo siamo molto di più e molto altro rispetto alla somma dei due gruppi costituenti.
Recentemente la maggioranza di uno dei due gruppi non si è sentita rappresentata e ha deciso di non volere più essere rappresentata da Area DG. Ed anzi di competere in contrapposizione con AreaDG nei luoghi di esercizio della rappresentanza.
È stata una vera e propria scissione perché ciò che contraddistingueva AreaDG era l’essere voce unitaria all’esterno di quella parte della magistratura che vuole rimanere ancorata al modello costituzionale e ai suoi principi.
È stato doloroso.
Ed è ancora più doloroso che ciò sia avvenuto in un clima di disconoscimenti malcelati e di ambiguità, iniziando dall’interno una competizione esterna, giocando sulle appartenenze e creando confusione.
Doloroso e pericoloso perché questo gioco rischiava di marginalizzare la voce e le idee di quella parte della magistratura di cui tutti noi facciamo parte.
Per fortuna questo non è successo ma, da tempo, abbiamo capito che dobbiamo andare oltre alle nostre beghe interne.
Da tempo siamo consapevoli di aver perso fin troppe energie in questa corsa all’indietro, in questo microcosmo autoreferenziale e sappiamo che la realtà è molto più avanti.
Ed è una realtà difficile per molte ragioni.
Non è una stagione propizia per l’associazionismo giudiziario. Non lo è da molto tempo: la crisi ha radici ben più profonde e lontane, radici che riguardano il sistema della rappresentanza e dei corpi intermedi.
In questo contesto non v’è dubbio che la deriva correntizia e clientelare del nostro associazionismo ha fatto il resto.
E poco importa che in molti, tra noi, abbiamo provato a denunciarlo e a prenderne le distanze: il sottobosco di miserie emerso dalle chat di Palamara ha aggiunto il carico da 11 alla generale crisi di fiducia negli organismi di rappresentanza collettiva.
Va aggiunto che la crisi di fiducia colpisce, soprattutto, le aggregazioni cementate da ideali, più che da interessi comuni.
Non è un mistero che esistono gruppi di magistrati che rivendicano a sé un ruolo puramente sindacale e si riuniscono per meglio conseguire i rispettivi interessi individuali: quei gruppi, fisiologicamente, sentono meno la crisi della rappresentanza perché non vogliono e non cercano la partecipazione dei magistrati ma una loro delega in bianco in cambio di “protezione”. Così, in quei gruppi, il potere decisionale resta sempre in mano a pochi.
Per i gruppi che si ritrovano intorno a valori e ideali comuni, come dovrebbe essere il nostro, accade il contrario: per realizzarli, è indispensabile l’impegno e la partecipazione dei singoli. Per il semplice motivo che le battaglie per i valori e per gli ideali si vincono solo se a farle non si è soli.
Il gruppo serve a questo.
Eppure i tempi ci reclamano e, paradossalmente, ci dovrebbero aiutare.
La trasformazione del modello costituzionale di magistratura e di giurisdizione, iniziata in modo subdolo con la riforma Castelli, sta subendo accelerazioni evidenti quanto preoccupanti: la riforma dell’ordinamento giudiziario, con la separazione mascherata delle carriere, la tentazione di ricreare la distinzione tra magistrature superiori e inferiori, la possibilità di un sindacato della giustizia disciplinare sul merito delle decisioni giudiziarie ecc., rischia di modificare definitivamente la fisionomia della magistratura trasformandola in un corpo gerarchizzato, burocratizzato, implacabile con gli invisibili e ossequioso con i potenti, privo di autonomia e non più in grado di rendere giustizia.
E la situazione non pare certo destinata a migliorare: il Governo, sin dalle prime azioni, ha dimostrato di che pasta è fatto: la politica in tema di immigrazione, l’introduzione surrettizia di una norma liberticida in un decreto urgente di tutt’altro contenuto dimostrano che le parole di guerra rivolte, qua e là, alla magistratura e alla sua autonomia non sono destinate a rimanere slogan da campagna elettorale.
In questo clima, ci saremmo aspettatati una reazione spontanea e generalizzata da parte dei magistrati, un fervore indignato dei singoli e dei gruppi.
E invece niente: ho visto magistrati stanchi e sfiduciati, qualcuno magari un po' impaurito, qualcuno pronto a cogliere “occasioni individuali”, molti chiusi nella propria fatica quotidiana in una sorta di difesa individuale fatta di serietà e di impegno.
Come molti di voi, sono cresciuto in un tempo storico dove le correnti non erano sinonimo di male assoluto, non erano parolacce ma luoghi in cui correvano, non (o non solo) le carriere individuali (quel fenomeno c’è sempre stato), ma anche e soprattutto idee e progetti: progetti di magistratura e di giurisdizione che nascevano dall’indignazione per le ingiustizie viste nel lavoro quotidiano. Il collante era la voglia di organizzarsi per creare una giurisdizione capace di dare risposta a quelle ingiustizie.
Molti di noi si sono avvicinati all’associazionismo, ai nostri gruppi fondatori, perché erano il luogo dove elaborare insieme una risposta alle ingiustizie che quotidianamente ci indignavano.
Molte sono le ragioni per cui questo fervore si è perso e non è certo questo il luogo per esaminarle. Neppure serve, ora, continuare ad analizzare il passato. Occorre ricominciare. Ed occorre ricominciare da quell’indignazione.
Perché quella indignazione è ancora evidente in tanti magistrati e spesso lo è ancora di più nei magistrati, giovani o meno giovani anagraficamente ma comunque giovani rispetto alle dinamiche associative: sono magistrati che “lavorano e basta” e rivendicano questa scelta perché vedono nell’associazionismo il luogo dei carrieristi e non il luogo capace di trasformare quell’indignazione in un progetto concreto di cambiamento.
E ho paura che non abbiano neppure sempre torto.
Sta a noi convincerli, con i fatti, che hanno torto, almeno per quel riguarda AreaDG.
Abbiamo il dovere di ascoltare quell’indignazione e aiutarla a diventare progetto di cambiamento.
Intanto bisogna di ricominciare a diffondere in concreto all’interno dei nostri uffici, nella quotidianità, la nostra idea di giurisdizione e di autogoverno, a praticare nel quotidiano la difesa di quella magistratura orizzontale e paritaria che é scritta nella costituzione ma che è messa in crisi dalle riforme di questi mesi ed è anche sempre più sfumata nella vita concreta degli uffici e sfilacciata nell’idea di sé propria di una parte della magistratura, specie quella più giovane.
Sono molti i temi attraverso cui passa la costruzione di un gruppo capace di dare queste risposte.
- Come stare sul territorio? Come costruire un legame vero tra rappresentati e rappresentanti nell’associazione o nell’autogoverno? Un legame che non sia pratica clientelare ma non sia neanche indifferenza. Un legame che porti ad un virtuoso flusso bidirezionale di conoscenza dei problemi della realtà locale e di elaborazione condivisa delle soluzioni. Come realizzarlo?
- Quale ruolo deve AreaDG all’interno della ANM e quale rapporto con gli altri gruppi associativi: è meglio dedicarsi a isolate battaglie di principio facendo testimonianza, sventolando il proprio vessillo ma rinunciando alla possibilità di incidere sulla realtà o è giusto rinunciare a qualcosa per cercare un punto di sintesi che consenta di recuperare unitarietà e compattezza dell’ANM nella riposta alle aggressioni del modello costituzione di magistratura e di giurisdizione? E fino a che punto può spingersi questa rinuncia?
- Come e dove incontrarci? E come comunicare all’interno e all’esterno della magistratura? I luoghi tradizionali della nostra comunicazione e del nostro stare insieme sono sempre meno frequentati: quali i luoghi di discussione in cui possiamo ritrovarci tra noi e con chi ha il nostro comune sentire? E come possiamo veicolare all’interno e all’esterno della magistratura le nostre idee? è fondamentale per il nostro futuro l’elaborazione di un nuovo progetto per la comunicazione e dobbiamo costruirlo insieme
- Quali sono i nostri interlocutori esterni? Con chi e a chi dobbiamo rivolgerci? Gli organismi rappresentativi che da anni sono i nostri compagni di viaggio spesso vivono una crisi di rappresentatività ancora più forte della nostra: e allora? In quali luoghi e con quali forme si ritrovano all’esterno le persone che condividono i nostri valori e la nostra indignazione?
- Quali strumenti per attuare un rinnovamento generazionale nel senso ampio cui si accennava prima (perché ci sono giovani carrieristi vecchissimi e anziani magistrati giovanissimi nelle idee e nei valori) attraverso un reale confronto e passaggio di esperienze tra i più giovani e più anziani della vita associativa?
Su questi temi e sulla vostra idea di futuro per il nostro gruppo vi chiediamo di intervenire oggi.
Concedetemi tre brevi annotazioni prima di aprire il dibattito.
- In questa crisi generalizzata dell’associazionismo, non solo giudiziario, rivendico, con orgoglio, di far parte di una formazione associativa che ancora è capace di organizzare assemblee vere, dove le persone in carne e ossa partecipano, discutono, si arrabbiano, si riconoscono e scelgono.
- Siamo un gruppo plurale. Non perché dentro ci stavano MD e il Movimento per la giustizia. Ma perché ci sono culture, sensibilità e percorsi diversi che convergono in questa nostra comunità: lo ho sempre ritenuto un elemento di ricchezza. Ma la riflessione su cosa è successo va completata perché i gruppi fondatori avevano fatto una scommessa che implicava un passo indietro, una rinuncia a qualcosa della propria tradizione e alle proprie posizioni acquisite per la scommessa di un gruppo plurale, più grande e meno dogmatico. E tuttavia, quando questo gruppo ha cominciato a strutturarsi e a diventare autonomo, sono iniziati gli irrigidimenti fino alla confusione di scissioni più o meno mascherate fondate su differenze che molti di noi fanno fatica a capire.
- Soprattutto non basta un decalogo di cose da fare: la lotta al carrierismo, la lotta alle clientele e alla gerarchizzazione, un'idea diversa di dirigenza, una giurisdizione di qualità non legata solo ai numeri e gli altri nostri punti programmatici sono cose giuste ma non bastano. E’ necessario tornare alle ragioni della nostra identità, ripartire dalle radici di questo legame che ci unisce.
Se riusciamo a fare questo, se la proposta che rivolgeremo ai magistrati sarà capace di coniugare i valori della nostra identità e le nuove sensibilità, sono convinto che ce la faremo.