Un teorema che non regge al confronto con la logica e la storia
Da giorni è in atto una campagna di screditamento della magistratura, delle istituzioni giudiziarie e delle più alte cariche istituzionali del Paese, condotta attraverso il libro-intervista di Alessandro Sallusti e Luca Palamara, la cui pubblicazione e i cui contenuti sono stati rilanciati e amplificati attraverso passaggi televisivi e organi di stampa.
Con questa operazione si cerca di accreditare una fantasiosa ricostruzione secondo cui, da oltre vent’anni, la magistratura progressista, attraverso il controllo delle cariche apicali della magistratura e delle più importanti procure, e in combutta con l’occulta e sapiente regia della Presidenza della Repubblica – e, in particolare, del Presidente Giorgio Napolitano – avrebbe pilotato, condizionato e strumentalizzato a fini politici le iniziative giudiziarie: da un lato, indirizzandole contro alcuni leader politici, dall’Onorevole Berlusconi, all’Onorevole Renzi, fino, da ultimo, all’Onorevole Salvini, in quanto avversari e invisi al Partito democratico; dall’altro, agevolando il Governo Prodi e mettendolo al riparo da azioni giudiziarie che ne avrebbero pregiudicato l’immagine.
Un sistema che, secondo gli autori, attraverso il controllo delle nomine avrebbe consentito l’eterodirezione dell’azione giudiziaria e la sua strumentalizzazione a fini politici.
L’operazione è condotta attraverso una narrazione capziosa e strumentalmente orientata, intrisa di clamorose falsità – alcune delle quali già documentalmente accertate – mezze verità e reticenze, millanterie, allusioni e accostamenti maliziosi, secondo una tecnica di diffamazione a mezzo stampa ben nota e sanzionata nelle aule giudiziarie.
Luca Palamara confessando, con sconcertante disinvoltura, la commissione di gravissime condotte contrarie al corretto esercizio delle proprie funzioni, cerca di costruire un teorema che non regge al confronto con la logica e la storia. Perché, nel pretendere di ricostruire secondo una lente deformata la storia giudiziaria italiana degli ultimi vent’anni, il libro intervista prende in considerazione numerose vicende giudiziarie che hanno interessato imputati eccellenti, omettendo di spiegare che quelle inchieste sono state istruite lungo un ampio arco temporale, dalle più diverse procure della Repubblica, nelle quali hanno lavorato molti magistrati, e sono state decise da altrettante corti composte da dirigenti e magistrati della più varia ed eterogenea estrazione e dei più diversi orientamenti. Tanto che appare estremamente fantasioso che possano tutti essere stati condizionati nelle loro determinazioni da un unico manipolatore, fosse anche collocato ai più alti vertici istituzionali.
In questo contesto deformato, i magistrati tutti – dirigenti, inquirenti, giudici civili e penali – salvo qualche eccezione faziosamente selezionata, farebbero parte di un sistema che li accomuna nella permeabilità alle pressioni politiche esercitate dai partiti della sinistra e nell’essere proni agli interessi di quei partiti; disponibili a svendere la propria funzione, la propria autonomia e la propria indipendenza, non si comprende neppure bene per quale tornaconto.
Il libro, e il teorema che con esso si pretende di dimostrare, costituiscono, all’evidenza, il punto di convergenza di un coacervo di interessi privati non certo commendevoli.
Vi è l’interesse personale di Luca Palamara rivolto, da un lato, a lucrare un ricollocamento in politica (come da lui stesso appalesato); dall’altro, a screditare tanto la Procura generale e il CSM che ne hanno determinato in sede disciplinare l’espulsione dall’ordine giudiziario e la destituzione, quanto gli organi inquirenti e giudicanti competenti sulle inchieste che lo vedono tuttora al centro di accuse di corruzione e altri reati.
Ma v’è anche l’oggettivo interesse, convergente, di indagati e imputati, alcuni anche condannati in via definitiva, coinvolti in inchieste giudiziarie di grande risalto mediatico, a riscrivere, mistificandola, la storia giudiziaria del nostro Paese, per accreditare presso l’opinione pubblica l’idea di un’azione inquirente eterodiretta dalla politica e di una giurisdizione di parte.
A fare le spese dell’intera operazione non sono solo i singoli, i gruppi della magistratura associata e coloro che, specificamente coinvolti, hanno già depositato querele o si apprestano a proporle e a intraprendere azioni in sede civile per le accuse gravemente diffamatorie e calunniose contenute nel libro-intervista, ma l’intera magistratura.
Per perseguire gli interessi personali di chi ha ordito questa operazione, infatti, si delegittima e si disonora l’intero corpo giudiziario, spargendo un discredito che attinge tutti, accomunando la parte sana della magistratura a coloro che hanno strumentalizzato la propria funzione. In tal modo si restituisce un’immagine complessiva della magistratura lontanissima dalla realtà rischiando di determinare una generalizzata perdita di fiducia agli occhi dell’intera comunità.
Certamente esiste, ed è sotto gli occhi di tutti, una grave caduta etica che ha colpito profondamente l’autogoverno della magistratura, piegato dalle correnti – e dai potentati personali che hanno operato in esse – a strumento di clientela e di favoritismo consortile; ma il libro intervista, lasciando sullo sfondo l’inchiesta di Perugia e le vicende connesse e omettendo intenzionalmente la narrazione di fatti che coinvolgevano persone che si è ritenuto conveniente non esporre, non contribuisce minimamente ad individuare le cause, le relative responsabilità ed i necessari indifferibili rimedi.
Questa narrazione interessata non serve ai magistrati italiani, non serve a migliorare l’autogoverno, non serve al processo di rifondazione etica che, a partire dalla giunta uscente, è stato avviato dall’ANM e viene ora portato avanti con convinzione.
L’Associazione Nazionale Magistrati, i suoi aderenti e i gruppi associativi si sono impegnati in un processo di rinnovamento etico che passa attraverso l’indagine disciplinare ormai avviata, ma impone anche una profonda riflessione sulle cause che quella caduta hanno determinato e sugli strumenti idonei a prevenirla.
Tale processo deve proseguire, lungo la strada che la stessa Associazione ha tracciato, per l’accertamento delle violazioni deontologiche, ma anche per contrastare il carrierismo e recuperare il senso e l’orgoglio di essere quel che la nostra Costituzione ci ha reso: semplici magistrati, che si distinguono tra loro solo per funzioni, che svolgono in modo autonomo e indipendente il loro lavoro per la tutela dei diritti e delle garanzie dei cittadini, che non si rendono strumento di manipolazione esterna né vittime di condizionamenti nell’esercizio delle funzioni.
10 febbraio 2021