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Ddl “Pillon”: una riforma iniqua e dannosa per il minore e la famiglia

Una proposta di riforma che si concentra sui diritti dei genitori più che su quelli dei figli minori, che favorisce il coniuge economicamente più forte, che non agevola la soluzione dei conflitti e rischia anzi di esasperarli.

Il 1°agosto 2018 è stato comunicato alla Presidenza del Senato il disegno di legge, intitolato “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità" che vede quale primo firmatario l’onorevole Simone Pillon.

La lettura complessiva del testo di legge rivela immediatamente come esso sia ispirato e pervaso da una logica adulto-centrica che danneggia il minore e il coniuge economicamente più debole, e sia pesantemente condizionato dalle istanze di alcuni movimenti e associazioni private che promuovono le rivendicazioni di padri separati.

Ogni intervento appare, infatti, diretto a privilegiare le istanze e le esigenze degli adulti, in nome del diritto al principio di bigenitorialità effettiva, anche quando tale scelta vada a discapito del minore, il cui interesse sembra, invece, essere considerato solo marginalmente ed in modo residuale.

Tutto ciò si pone in controtendenza rispetto alla linea evolutiva della legislazione e della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in materia che pone, piuttosto, gli interessi del minore al centro di ogni azione, provvedimento o accordo che sia diretto a regolamentare la situazione di crisi familiare.

Anzitutto, vengono previsti, in via ordinaria, tempi rigidi paritari di permanenza del minore presso ciascuno dei genitori o, solo eccezionalmente in deroga a tale principio, un numero di giorni non inferiore a 12 al mese comprensivi di pernottamento.

In tal modo si viene ad introdurre una rigida standardizzazione dell’affidamento, in ciò contraddicendo l’elaborazione giurisprudenziale e psicologica di diritto minorile e la stessa esperienza giudiziaria che indicano la necessità che ogni provvedimento giudiziario di affidamento sia il più personalizzato ed adattabile possibile.

Va, in proposito, rimarcata l’incongrua inversione dell’ordine di priorità delle esigenze, considerato che il minore, specie in tenera età ed in alcune fasi delicate della sua evoluzione, ha necessità di uno stabile punto di riferimento anche logistico, oltre che affettivo.

Non sembra, dunque, che risponda, alle esigenze del minore stesso l’esposizione allo stress di continui spostamenti.

Un’altra scelta fortemente caratterizzata del disegno di legge è il mantenimento diretto, in funzione del quale è, all’evidenza, previsto un tempo rigidamente paritario di permanenza del minore presso ciascun genitore, ognuno dei quali per il tempo in cui terrà con sé il figlio dovrà provvedere al suo diretto mantenimento, con conseguente abolizione dell’assegno di mantenimento.

Si tratta di una previsione che penalizza fortemente l’interesse del minore, il quale ha diritto a conservare un tenore di vita equilibrato e tendenzialmente omogeneo con entrambi i genitori. Essa, poi, pare voler ignorare del tutto la realtà economica delle famiglie le quali divengono, per effetto della separazione, monoreddituali, proprio in conseguenza della crisi familiare, di talché un provvedimento così congegnato penalizza gravemente, oltre che il minore, anche il coniuge economicamente più debole, avvantaggiando ingiustificatamente quello dei due che abbia maggiore disponibilità economica.

Tutto ciò si traduce in una pesante contrazione delle tutele, sia in sede civile, che in sede penale e, in prospettiva, in un aumento del contenzioso civile nella materia della famiglia.

L’esperienza giudiziaria, infatti, insegna che nella stragrande maggioranza dei casi di separazione v’è, frequentemente, una minore disponibilità dei padri a farsi carico dell’affidamento dei figli; e, in ogni caso, venendo meno l’assegno di mantenimento, il coniuge che si farà carico in via prevalente dei figli, sarà costretto a sostenere, anticipandole, la totalità delle spese per il mantenimento, ordinarie e straordinarie, e a dover reclamare la quota di spettanza dell’altro coniuge, tutto questo, oltretutto, in assenza di una predeterminazione giudiziale del suo ammontare. E non meno complicata, sarà, poi, l’ escussione in sede esecutiva.

Conseguenza ulteriore del mantenimento diretto è l'abrogazione dell’art. 570 bis c.p., perché, venendo meno l’assegno di mantenimento, viene meno il presupposto del reato di omessa corresponsione di esso.

Non meno superficiale e improvvida appare la prefigurata disciplina sull’utilizzo della casa coniugale, riguardo alla quale viene meno in via di principio l’assegnazione della casa coniugale e si stabilisce invece che “non può continuare a risiedere nella casa familiare il genitore che non ne sia proprietario o titolare di specifico diritto di usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione”. Tale previsione non solo danneggia, ancora una volta, il coniuge economicamente più debole, ma non tiene in alcun conto dell’importanza per il minore della casa familiare anche sul piano affettivo. In definitiva, il genitore che non ha la possibilità di ospitare il figlio in spazi adeguati non potrà tenerlo con sé nei c.d. tempi paritetici, ossia il genitore economicamente più debole pone a rischio la stessa sua possibilità di vedere il figlio.

Alla stessa logica risponde anche la disposizione contenuta nel disegno di legge che impone l’adozione per il minore di un doppio domicilio, fonte anche questo di complicazioni e confusione.

Preoccupante anche la previsione di una sanzione nel caso in cui il figlio manifesti il rifiuto di vedere un genitore con sanzioni a carico dell’altro.

A supporto della stessa visione adulto-centrica paiono ispirate anche le previsioni relative al mantenimento del figlio maggiorenne. Ed invero, inopportuno e parimenti dannoso per l’interesse del figlio, appare il versamento dell’assegno direttamente nelle mani del medesimo, mentre la cessazione del mantenimento del figlio maggiorenne al compimento del 25° anno di età sembra inadeguata rispetto alla reale ed attuale situazione economica del nostro Paese e dei tempi per il raggiungimento dell’autonomia economica da parte dei figli.

Nel contempo, il disegno di legge esprime una forte diffidenza verso il giudice della famiglia, di cui limita al massimo la discrezionalità, attraverso l’introduzione di rigide previsioni, specie in punto di affidamento del minore e di mantenimento, attivando forme pervasive di burocratizzazione dell’attività processuale.

Le disposizioni di carattere processuale si traducono, infatti, in un appesantimento burocratico che non giova alla soluzione dei problemi delle famiglie in crisi e crea una disparità di trattamento per quelle economicamente più svantaggiate.

Si complica, infatti, con l’introduzione obbligatoria di altre figure quali il mediatore ed il coordinatore genitoriale oltre ai tradizionali attori, il processo e la risoluzione della crisi.

Si introduce la mediazione obbligatoria, a pena di improcedibilità, la quale, oltre a rallentare i tempi di proposizione del ricorso, duplica quella endoprocessuale, che continua ad essere prevista, mentre la fase esterna e preventiva rischia di tradursi in un appesantimento inutile e, in certi casi, dannoso, come nel caso di situazioni di violenza nascosta.

Appare, inoltre, controproducente per gli interessi del minore il suo coinvolgimento nella mediazione, pure previsto dal disegno di legge a certe condizioni.

È, infine, prevista la figura del coordinatore genitoriale, un professionista “esperto qualificato con funzione mediativa iscritto all’albo di una delle professioni regolamentate di ambito sanitario o socio-giuridico”, il quale, su incarico dei genitori, dovrebbe gestire il conflitto ricercando l’accordo tra i genitori o fornendo suggerimenti o raccomandazioni; financo assumendo, previo consenso dei genitori, le “funzioni decisionali”. Si tratta di un processo di risoluzione alternativa delle controversie asseritamente centrato sulle esigenze del minore e rimesso alla disponibilità delle parti in conflitto, che si svolge al di fuori del processo e del controllo giudiziale sia riguardo all’an, sia riguardo agli esiti della mediazione, atteso che il giudice deve limitarsi a prendere atto della volontà dei genitori di attivare siffatto presidio.

A ciò deve aggiungersi che i costi per affrontare entrambi i percorsi sono a carico delle parti, così non tenendosi in conto la circostanza che uno dei problemi fondamentali della famiglia in crisi è proprio quello economico, sicché non si comprende come una gran parte dei separandi possa far fronte a tali oneri economici.

Vi sono, inoltre, alcuni snodi processuali poco chiari ed altri che, se confermati, appesantiranno non poco l’andamento di questi giudizi. Viene, infatti, introdotto il reclamo avverso i provvedimenti del GI, che il collegio dovrà definire in tempi brevissimi ed, inoltre, si dà una veste processuale anche all’intervento degli ascendenti, senza, peraltro, chiarire in che modo tutto questo si concili con la norma vigente, e non coordinata, che vede la competenza del TM su tali domande.

Viene poi rivisitato il c.d. piano genitoriale, ossia si prevede che i genitori di figli minorenni che intendano separarsi debbano, a pena di nullità, redigere nel ricorso introduttivo e nella memoria difensiva una dettagliata proposta di piano genitoriale.

Si tratta di una ipotesi già prevista dall’attuale normativa in caso di separazione consensuale, oppure di accordo in ordine alle modalità di gestione della vita dei figli, ma che in casi diversi, potrebbe rivelarsi controproducente perché, imponendo l’anticipazione di contrapposte dettagliate proposte di piani genitoriali, potrebbe radicalizzare il conflitto in atto, anziché favorirne la soluzione.

Altre norme appaiono, infine, se non dannose, inutili, come, ad esempio, la riformulazione dell’art. 709-ter cpc, che è già efficacemente applicato.

In conclusione, si ha l’impressione che l’obiettivo perseguito non sia quello di garantire i diritti dei minori, ma il diritto del genitore che – secondo il disegno di legge – sarebbe il costante pretermesso nella vita dei figli.

La rivendicazione del diritto pieno ed effettivo alla genitorialità e le aspettative dei genitori pretermessi meritano, certo, grande attenzione, ma non possono essere risolte attraverso norme quali quelle in discussione che finiscono per sacrificare, irragionevolmente, i diritti dei figli minori, e rischiano di rivelarsi, comunque, inidonee allo scopo che si vuole perseguire, quando non contrarie ad esso.

Pertanto, in considerazione dei delicatissimi interessi in gioco, chiediamo all’ANM di assumere ogni idonea iniziativa utile a fornire il proprio qualificato contributo alla discussione parlamentare evidenziando le gravi criticità del disegno di legge.

9 ottobre 2018