Dieci proposte per la riforma della giustizia civile
1. I fondi europei per la Giustizia. Il ruolo della giustizia civile
Nella visione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, all’innovazione organizzativa della Giustizia – e in particolare della giustizia civile – è assegnato un ruolo strategico nel progetto di rilancio del Paese e nella costruzione del futuro per le nuove generazioni, con l’obiettivo della riduzione dei tempi del processo e, quindi, del recupero complessivo di efficienza.
Sappiamo tutti che una giustizia civile lenta e inefficiente mortifica la crescita di un Paese e, viceversa, una giustizia efficiente è un fattore di crescita misurabile anche in termini di PIL e di benessere complessivo. La lentezza dei processi ha ricadute negative sull’economia perché incide negativamente sui comportamenti delle imprese, perché la lentezza, l’incertezza e, quindi, la non prevedibilità delle decisioni spingono gli operatori economici a mettere in atto comportamenti distorsivi e ad un uso strumentale del processo civile, deprimono l’economia, non invogliano gli investimenti. Ma la lentezza dei processi ha anche un costo sociale elevato, perché la tempestività della risposta di giustizia, specie in campo civile, è indispensabile per la sua efficacia e una risposta lenta rende non effettivo il diritto affermato.
Il recupero dell’efficienza della giustizia civile è quindi indispensabile per la competitività di cui, ora più che mai, il nostro Paese ha bisogno, ma lo è anche per assicurare quella coesione sociale senza la quale nessuna reale ripartenza è ipotizzabile.
Per tutte queste ragioni, è agevole prevedere che la giustizia civile sarà al centro degli interventi che il Governo si appresta a compiere nel settore della Giustizia attraverso l’impiego dei fondi del Recovery. A tali ragioni si aggiunge quella, non secondaria, per cui sulla giustizia civile possono realizzarsi convergenze, accordi e mediazioni assai più agevolmente di quanto, in questo momento, non possa farsi nell’ambito penale, tuttora agitato da questioni nodali fortemente divisive e da posizioni tanto distanti tra gli attori politici da non poter essere oggetto in breve tempo di mediazioni accettabili.
Né va trascurato che quello della giustizia civile è l’ambito nel quale l’innovazione tecnologica è più avanzata, perciò l’implementazione e la nuova sperimentazione non solo può essere più agevole che in altri settori, oggi ancora molto arretrati, ma può anche incontrare il favore degli altri attori del processo; in particolare dell’avvocatura, che ne ha colto i vantaggi e le opportunità, specie nella fase della pandemia.
Quella offerta dal Recovery fund è perciò – e davvero – un’occasione unica e ultima che non possiamo perdere per cambiare l’attuale quadro della giustizia civile.
2. Recupero di efficienza e processo civile: una nuova visione per la giustizia
Ancor prima della crisi pandemica, il Governo aveva licenziato il disegno di legge delega sulla riforma del processo civile. Il PNRR, nella parte dedicata alla giustizia civile, recepisce quel progetto e ne fa uno dei caposaldi della strategia complessiva dell’intervento.
Mettendo da parte il merito delle proposte, va qui subito sottolineato un rischio, che è quello di porre la riforma del rito come fattore centrale dell’obiettivo del recupero di efficienza.
In realtà, nella sua storia, il processo civile è stato sottoposto ad un gran numero di riforme, anche dopo la legge 69/2009, ma queste riforme non hanno in genere prodotto una maggiore efficienza, quanto piuttosto introdotto un maggior disordine, eterogeneità dei riti ed eccessiva rigidità, così creando grande confusione in un sistema che, per sua natura, richiede ordine e razionalità.
È diffusa la convinzione che la riforma del rito può, in sé, incidere sui tempi, ma che non sia né l’unico, né il più importante fattore. Basta al riguardo osservare che i processi, pur soggiacendo allo stesso rito, in alcuni tribunali hanno una durata di centoquaranta giorni, in altri di milleottocento.
Quindi, il problema non risiede tanto nel processo e nemmeno nelle risorse destinate alla giustizia, perché negli ultimi anni occorre riconoscere che c’è stato un recupero sul fronte delle risorse.
In realtà, molti studi hanno dimostrato che non esiste un rapporto diretto tra risorse, produttività e andamento dei tribunali, mentre tempi ed efficienza sono assai più interdipendenti con l’organizzazione e l’innovazione tecnologica. Tant’è vero che il settore nel quale nell’ultimo decennio si è registrato un miglioramento delle perfomances è quello del civile, che registra a partire dal 2009 un costante decremento delle pendenze, che si sono ridotte al di sotto dei tre milioni dagli oltre cinque milioni di partenza.
Il civile è l’ambito nel quale organizzazione e innovazione hanno fatto sinergia: attraverso il programma di gestione ex art. 37 è stato possibile conoscere il proprio “magazzino” e, quindi, programmare e monitorare l’abbattimento dell’arretrato; attraverso il PCT è stato possibile migliorare perfomances e qualità del lavoro. Anche nell’ultimo periodo l’arretrato è proporzionalmente diminuito in sede civile. Infatti, attraverso l’analisi dei programmi di gestione, è stato possibile avvedersi che gli uffici – mediante la conoscenza del magazzino, l’individuazione e realizzazione degli obiettivi – in un anno, tra il 2017 ed il 2018, hanno ridotto il tempo di smaltimento dell’arretrato da dieci a cinque anni. Si tratta di risultati frutto di una sinergia tra organizzazione e innovazione che ha visto svolgere un ruolo da protagonista proprio dagli attori del processo.
Organizzazione e innovazione tecnologica sono quindi certamente fondamentali, ma non da sole; come da sola non è sufficiente la riforma del rito o l’implementazione delle risorse o l’intervento su altri fattori, essendo necessario piuttosto fare un salto di qualità: cogliere l’occasione della pandemia e dell’opportunità che ci viene offerta dai fondi europei non per rattoppare l’esistente, ma per disegnare la giustizia civile da costruire nel decennio in corso e per vederla realizzata entro il 2030.
Tale considerazione ci suggerisce un approccio non settoriale al problema, limitato ad una sola linea o direttrice di intervento, perché ciò che occorre mettere in campo sono azioni multilivello capaci di agire con più leve e su piani diversi, capaci di riarticolarsi in un progetto organico per la riforma della giustizia civile.
3. La riforma del processo
La riforma, volta nelle intenzioni del proponente alla semplificazione, è stata oggetto di valutazioni critiche specie da parte dell’Accademia. Autorevole dottrina ha addirittura sostenuto – dati alla mano – che il nuovo rito semplificato potrebbe non ridurre i tempi, ma piuttosto dilatarli.
A prescindere dal merito, che non è stato oggetto di approfondimento nel seminario, possono farsi alcune brevi osservazioni in relazione alla riforma del rito civile.
- La difficoltà di una riforma del processo civile sta nel trovare un bilanciamento efficace tra esigenze di predeterminazione legale e di uniformità di trattamento – che è garanzia di giusto processo – ed esigenze di flessibilità in funzione delle diverse tipologie di cause. La semplificazione del rito, per come progettata nella proposta di riforma, potrebbe non essere funzionale a questo che pure è un fondamentale obiettivo.
- V’è un problema che non può andare scisso da quello del rito, ma che non può essere affidato alla sola riforma del processo, che è il tema del controllo della domanda. Questo fattore è influenzato, più che dal rito, da altre varianti: il contesto generale, il tasso di litigiosità, la qualità dei servizi della PA e il comportamento di attori importanti del processo: dalle pubbliche amministrazioni – in primis Ministeri, enti territoriali, Agenzia delle entrate, INPS, INAIL – alle assicurazioni, agli istituti di credito; tutti attori che, con le loro scelte, possono incidere pesantemente sulla domanda. C’è stato negli ultimi anni un aumento della domanda giudiziale relativa ai diritti delle persone e, al contempo, è diminuita quella proveniente da altri soggetti istituzionali, come ad esempio le banche e le assicurazioni. Questo è avvenuto non certo a causa dell’abbandono derivante dalla scarsa produttività del sistema giustizia ma, per motivi di razionalizzazione e di economie aziendali: quei soggetti istituzionali, infatti, hanno smesso di resistere in giudizio quando erano destinati a soccombere. Ciò dimostra che un fattore fondamentale è la prevedibilità delle decisioni e deve essere valorizzato il ruolo della nomofilachia nell’orientamento delle scelte proprio in funzione del controllo della domanda.
- Ai fini della riduzione dei tempi del processo appare importante acquisire capacità di monitoraggio di tutte le strutture giudiziarie essendo questa la precondizione per governare e dirigere i processi di innovazione. Le tecnologie ci sono ed è ormai indispensabile che la giustizia venga monitorata costantemente e in tempo reale, anche in funzione dell’adozione di scelte razionali nell’allocazione delle risorse, senza che ciò debba tradursi in un sovraccarico di procedure e di rendicontazione interna. Il monitoraggio consentirebbe di fruire di quelle informazioni che rendono possibili interventi mirati.
- Un ruolo nel recupero di efficienza possono averlo le best practices, nella cui selezione e diffusione il Consiglio superiore può svolgere un ruolo importante attraverso l’impiego di gruppi di lavoro, strutturati per obiettivi e impegnati nello studio di specifiche materie – che vanno dall’esecuzione, alla violenza di genere, passando per la protezione internazionale – i quali costituiscono dei piccoli laboratori, funzionali a individuare le buone prassi che vengono applicate negli uffici, rendendoli virtuosi, e possono essere esportate in tutto il sistema.
- La riforma del rito sembra partire da un presupposto falso, ossia che non vi sia arretrato. In realtà noi sappiamo che l’arretrato è il nostro vero nemico. Nessuna riforma del processo civile ha senso se non si accompagna ad essa un piano straordinario per l’abbattimento dell’arretrato.
4. Le risorse
Una leva importante da impiegare nel quadro di una riforma complessiva della giustizia civile è costituita dalle risorse.
Nell’approccio a questo tema occorre definitivamente superare i due assunti su cui, fino ad oggi, si è insterilita la discussione.
Secondo un primo assunto, le risorse per la giustizia sono insufficienti, ne occorrono di ulteriori e il perseguimento della Giustizia non deve confrontarsi e misurarsi con logiche di accountability.
Secondo un assunto opposto, le risorse sono adeguate e la scarsa produttività dipende dalla scarsa laboriosità dei magistrati e dei dipendenti amministrativi.
Sono argomenti che spesso vengono agitati nel dibattito pubblico sulla Giustizia e che dimostrano la mancanza di conoscenza dei problemi.
La seconda affermazione è smentita dai dati Cepej che, anche nel biennio 2017-2018 come in tutti i precedenti, dimostrano l’elevata produttività dei magistrati italiani e i dati delle pendenze in calo, in particolare nel civile.
Ma i dati Cepej – con tutte le cautele del caso trattandosi di comparazioni di dati tra sistemi giudiziari eterogenei – dimostrano che a fare la differenza è, tra gli altri fattori, l’enorme arretrato.
E d’altra parte, non possiamo continuare ad affermare come un mantra che le risorse per la giustizia sono insufficienti, senza porci il problema del dove e del come spendiamo queste risorse.
C’è la necessità di porre in termini nuovi il rapporto tra risorse e servizio, per favorirne l’impiego produttivo distogliendole e liberandole da allocazioni svantaggiose o scarsamente strategiche. L’Italia spende circa 9 miliardi per la giustizia, ma oltre un terzo di queste risorse, circa il 37 % è dedicato al penitenziario, residuano circa cinque miliardi, in relazione ai quali ci sarebbe un lavoro importante da fare (che non può essere fatto qui): distinguere quanto è destinato a spesa corrente e quanto agli investimenti strutturali.
Un altro aspetto da approfondire riguarda il fatto che molte risorse sono dedicate a mansioni lavorative non immediatamente riconducibili alle mansioni istituzionali del servizio giustizia. Molte risorse sono destinate a processi di supporto e troppo poche a processi di servizio. Il settore della volontaria giurisdizione è emblematico con l’amministrazione di sostegno, ma anche parte dell’attività del tribunale delle imprese, il casellario giudiziale, l’attività elettorale (e l’elenco potrebbe continuare) richiedono processi di supporto che impegnano una parte cospicua di risorse che dovrebbero e potrebbero essere sostenute dal territorio, al cui servizio sono rivolte e che vengono sottratte ai processi direttamente funzionali al servizio giustizia.
Occorre implementare e sviluppare la giustizia di prossimità per liberare risorse. Ci sono positive sperimentazioni in campo avviate dallo stesso Ministero. Oggi bisogna fare un forte investimento su questo versante e dare a questo settore uno slancio deciso, senza tentennamenti e proprio con le risorse del Recovery.
Ruolo centrale rispetto al grande tema delle risorse è quello dell’autonomia di bilancio degli Uffici a livello di distretto di Corte d’Appello cui si accompagna quello della revisione dell’organizzazione della dirigenza giudiziaria e del personale addetto.
L’accentramento delle risorse in capo al Ministero e la mancanza di autonomia di bilancio, da un lato, deresponsabilizzano e, dall’altro, non consentono ai dirigenti di fare una propria politica di sviluppo dell’organizzazione.
Questo tema chiama in causa quello ancor più generale della governance. Si è sottolineata da più parti la necessità di ridisegnare il ruolo del Ministero e del CSM, non per modificare ciò che saggiamente prevede la nostra Costituzione, bensì per consentire di recuperare molte più risorse umane di valore che esistono sul territorio, superando anche la rigida centralizzazione e il rapporto tra servizi della giustizia e territori. Ciò a maggior ragione oggi che il ruolo del Ministero è diventato fondamentale nell’informatizzazione che, a sua volta, è ormai un formante della giurisdizione.
È importante, per questo, ripensare alla governance nell’ottica di una maggiore interazione tra Ministero, CSM e uffici giudiziari, dare valenza agli uffici giudiziari nel rapporto con l’avvocatura e ridare loro la possibilità di intervenire con una certa autonomia. In questo contesto, il Ministero e il CSM devono continuare a svolgere il ruolo di indirizzo, guida, regolazione e supporto, puntando assai di più che nel passato su un nuovo protagonismo di uffici giudiziari ed avvocatura, secondo un metodo basato sulla collaborazione e il coordinamento.
5. L’innovazione tecnologica
Un altro dato di interesse che si trae dal rapporto Cepej è che l’Italia è il paese che ha fatto maggiori investimenti nel settore digitale della giustizia. È questa una delle leve su cui occorre ulteriormente progredire, sia sul versante delle infrastrutture informatiche, sia sul versante dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale e della giustizia predittiva.
Se prima della pandemia eravamo consapevoli della centralità dell’informatica giudiziaria e della digitalizzazione, l’emergenza sanitaria ce ne ha restituito la piena certezza e ci ha aperto a nuove consapevolezze.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci offre l’opportunità di capire, o quantomeno di interrogarci, sull’importanza degli investimenti strutturali. È necessario, pertanto, fare affidamento sulle intelligenze artificiali e su tutte le opportunità che possiamo trarre da esse, non solo in termini di machine learning, ma di impiego a tutto tondo di ogni forma di sostegno alla giurisdizione.
È emersa, inoltre, la necessità di valorizzare le enormi banche dati che si realizzano attraverso il PCT, che consentirebbero di svolgere un lavoro importante sia sul piano della prevedibilità delle decisioni di merito, sia dati di conoscenza utili anche ai fini dell’organizzazione degli uffici.
Ciò non significa abdicare al ruolo determinante e insostituibile del giudice, che sia orientato costituzionalmente nella fase della decisione, ma valorizzare l’apporto che la tecnologia può fornire quale supporto al processo decisionale, in funzione del miglioramento della decisione che è, e resta, prerogativa esclusiva del magistrato.
In questo quadro c’è una questione culturale che va ripresa nel rapporto tra informatica e giudice civile. A quest’ultimo va riconosciuto il merito di avere sperimentato e implementato negli anni, col proprio apporto quotidiano, il processo civile telematico, divenuto strumento di lavoro ormai ineliminabile. Non è pensabile tuttavia che, a dispetto degli sforzi compiuti, oggi la digitalizzazione progredisca per scelte e funzioni centralizzate senza un coinvolgimento che renda percepibile alla magistratura le nuove utilità sul piano del benessere lavorativo.
Vanno pertanto garantite risorse amministrative in grado di affiancare il giudice nel quotidiano, un’assistenza in tempo reale, una formazione sul campo e non astratta e, soprattutto, soluzioni condivise con chi, il giudice appunto, vede correttamente nel PCT non un fine, ma uno strumento essenziale. La condivisione è la sola via per arrivare ad interventi di digitalizzazione che vengano assecondati e non invece ostacolati da resistenze che troppi anni di richieste inascoltate rendono altrimenti inevitabili
6. Il personale amministrativo
Occorre avere chiaro che i processi di sviluppo tecnologico e informatico non risolvono il problema del personale. Assicurano risparmi di tempo nelle attività a basso valore aggiunto, ma richiedono di poter fare leva su un personale giovane, professionalmente attrezzato e stabilmente assunto. La natura avventizia, la temporaneità e la precarietà delle soluzioni spesso adottate nella PA, e pure nella giustizia, oltre a svilire la professionalità dei lavoratori, sono perniciose per un sistema come quello giudiziario in cui la formazione è un investimento prezioso e la programmazione si fonda sulla possibilità di poter contare stabilmente sulle persone.
La ripresa di politiche di reclutamento e i programmi di assunzione già avviati da alcuni anni dal Ministero sono una inversione di tendenza dalla quale non si deve tornare indietro che ha visto meritoriamente impegnata la dirigenza del DOG.
Occorre dunque puntare su flessibilità e modelli di lavoro con investimenti formativi sul personale giovane.
7. L’ufficio per il processo
Ulteriore leva è quella dell’ufficio del processo, che rappresenta una delle linee di intervento previste dal PNRR. La previsione dell’ufficio del giudice, composto dall’assistente di studio, l’assistente giudiziario e gli stagisti, rappresenta una novità non nel modello, perché ci sono già positive sperimentazioni in tal senso, ma nell’assegnazione delle risorse necessarie per farlo funzionare, ora previste dalle linee progettuali per la Giustizia del PNRR.
Si tratta di un nuovo modo di lavorare, che supera un modello anacronistico in cui l’ufficio è costituito dal singolo magistrato, un ufficio monopersonale, per divenire un’unità di lavoro complessa, organizzata come équipe, uno staff in cui il magistrato coordina, supervisiona e organizza, oltre al suo, il lavoro di altre figure di supporto all’ufficio, anche al fine di predisporre la motivazione finale, anch’essa meritevole di ripensamento, non solo nella struttura, ma anche nell’approccio mentale del singolo giudice.
La previsione di figure avventizie, assunte per tre anni, preoccupa; ma la sfida da cogliere è quella di saper far funzionare l’ufficio del processo, dimostrarne l’utilità ai fini dell’abbattimento dell’arretrato, per la riduzione dei tempi e il miglioramento della qualità del servizio. Far funzionare l’ufficio del processo con le risorse a regime significa poter reclamare un domani la stabilizzazione del modello e, quindi, delle risorse necessarie per farlo funzionare.
L’attuazione dell’ufficio del processo chiama in causa anche un altro grande tema che è quello dell’edilizia giudiziaria, perché la realizzazione dell’ufficio del processo richiede spazi e ambienti di lavoro adeguati, salubri e sicuri, ciò che allo stato l’edilizia giudiziaria spesso non assicura.
8. L’edilizia giudiziaria
Si tratta di una delle linee di intervento previste dal Recovery che, anche sotto tale profilo, offre un’occasione unica e non ripetibile, non solo per mettere in sicurezza gli edifici giudiziari, ma per ripensare complessivamente l’edilizia giudiziaria in funzione delle riforme organizzative e di innovazione organizzativa. Si tratta, quindi, di una “leva” che ha anch’essa un ruolo strategico nel ripensare in generale la Giustizia del futuro.
Ripensare agli ambienti di lavoro in ragione delle nuove esigenze di sicurezza e salubrità, significa assicurare non solo l’indispensabile benessere lavorativo per migliaia di pubblici dipendenti, ma anche compiere un passo non secondario verso una maggiore autorevolezza della funzione giudiziaria, poiché il cittadino ha bisogno di constatare che lo Stato tutto crede nell’essenzialità di tale funzione.
9. La geografia giudiziaria
È stata sottolineata da più parti la necessità di un nuovo intervento sulla geografia giudiziaria, poiché residuano ancora realtà di piccoli tribunali e piccole Corti d’appello che sono fonte di inefficienza del sistema. Questo intervento richiede l’avvio in tempi rapidi di politiche di edilizia giudiziaria per evitare che la razionalizzazione vada a discapito della salubrità degli ambienti di lavoro contraendo ulteriormente spazi che ormai, specie dopo la soppressione delle sezioni staccate, sono sempre più insufficienti ed esigui.
10. La magistratura onoraria
Si tratta di un tema molto delicato e discusso; oggi, dopo la legge Orlando, due decreti-legge sulla magistratura onoraria hanno riaperto la questione.
Nell’ottica della riforma Orlando, il GOT non dovrebbe avere autonomia di gestione del ruolo, ma dovrebbe essere di supporto all’ufficio del processo, svolgendo una prestazione che non dovrebbe avere natura continuativa e stabile.
Nella situazione attuale l’apporto della magistratura onoraria appare necessario e prezioso, ma occorrono interventi di razionalizzazione del sistema che assicurino, al di fuori di ogni ipotesi di stabilizzazione, continuità ai GOT e VPO che esercitano la funzione da decenni, garantendo loro un’adeguata tutela assicurativa e previdenziale.
V’è generale convergenza sul fatto che il tema della magistratura onoraria meriti un approfondimento a parte. È difficile, infatti, immaginare che gli onorari si convertano al ruolo di ausilio decisionale; e, d’altra parte, il PRRN non sembra destinato ad essere la sede nella quale questo problema sarà affrontato. L’ufficio del processo, infatti, dovrebbe essere costituito da funzionari assunti come assistenti del giudice e non attraverso l’inserimento in tale ruolo degli onorari. Sarà necessario, quindi, nell’ottica di riforme del processo civile, penale e dell’ordinamento, accendere un faro su questo problema, che pure richiede una soluzione urgente per far sì che gli altri interventi strutturali conservino la loro funzionalità e sistematicità.
2 aprile 2021