Il giudizio civile di primo grado richiede una rivisitazione del rito che riduca il numero di incombenti e restituisca centralità all’udienza di trattazione come luogo privilegiato di svolgimento del processo: poche udienze, ma decisive ai fini della trattazione della causa.
Ciò renderebbe meno importante il ricorso agli strumenti per la celebrazione dell’udienza a distanza o virtuale (a trattazione scritta) che potrebbero essere usati solo per snodi secondari del processo.
L’uso di strumenti di videoconferenza – o meglio, di collaborazione a distanza – appare da incentivare in tutte le attività “gestorie” tipiche del primo grado, nei settori dei fallimenti, amministrazioni di sostegno, rapporti con assistenti sociali. Tutti i casi in cui il giudice ha continui rapporti con soggetti che svolgono attività di gestione all’interno del procedimento beneficerebbero enormemente dell’uso della telematica.
Viceversa, per le udienze formali servono strumenti più performanti di quelli messi a disposizione in questa fase emergenziale e dotazioni hardware nelle aule.
Il giudizio di appello ordinario, che meriterebbe una rivisitazione anche nella fase iniziale della trattazione – si potrebbe demandarla al singolo consigliere, reintroducendo la figura del ‘consigliere istruttore’ per le incombenze preliminari (verifiche sulle notificazioni, sulla corretta instaurazione del contraddittorio, sulla necessità di regolarizzazione di atti, etc.) – non potrebbe che beneficiare delle innovazioni apportate dalla normativa emergenziale. E difatti, anche se l’oralità – prescritta dall’art. 180 cpc – rimane anche in secondo grado, principio cardine del processo civile, è notorio che l’udienza di discussione sovente si risolve in una “pura formalità”, senza effettiva interlocuzione tra le parti e il collegio. Dunque, anche pensando al rilievo distrettuale della Corte d’Appello, e alla conseguente necessità per tanti avvocati di doversi spostare solo per prendere parte all’udienza finale, va sollecitata una riforma processuale che consenta il ricorso agli strumenti per la celebrazione dell’udienza o a distanza o “virtuale” (a trattazione scritta), limitando l’udienza “dal vivo” ai casi in cui effettivamente serve, o comunque lasciando alle parti la facoltà di richiederne la celebrazione nelle forme previste già oggi dall’art. 281 quinquies cpc (udienza di discussione).
Anche nel rito del lavoro, come negli altri riti a impronta camerale (ad esempio, quello ‘fallimentare’), si dovrebbe limitare la presenza di parti e giudice a momenti effettivamente significativi, quale può essere la prima udienza, lasciando margine al collegio, previa interlocuzione con le parti, di sostituire i momenti successivi con udienze a trattazione scritta o tenute “da remoto”.