La “Questione Cassazione”: argomenti per il cambiamento
(AreaDG Cassazione)
1. Legge e diritto non sono sinonimi, ma concetti complementari, sono entità reali che si fondono nel crogiuolo dell’interpretazione. Il nostro sistema giurisdizionale, di tipo c.d. “continentale”, non cristallizza la giurisprudenza dei giudici con lo stare decisis, ma prevede un organo di nomofilachia centrale -la Corte di Cassazione- che in questi giorni festeggia i suoi 100 anni.
2. Un secolo è tanto e poco. In un secolo la Corte ha avuto una mutazione progressiva, da luogo esclusivo per i magistrati “eletti” e per un’utenza elitaria a contenitore di esperienze giudicanti/requirenti le più varie e ricettore di un flusso enorme di cause civili e penali. Conseguentemente si è accentuata l’ “ambiguità” e la precarietà dell’equilibrio del suo ruolo, geneticamente e costituzionalmente spartito tra produzione di diritto oggettivo “vivente” (c.d. jus constitutionis) e risoluzione di controversie concrete (c.d. jus litigatoris), tra controllo di legalità dei provvedimenti giurisdizionali e assicurazione dell’ uniforme interpretazione della legge.
3. Negli ultimi decenni e sempre di più, questo quadro operativo, di per sé a complessità crescente, è stato ed è ulteriormente implementato, ma complicato, dall’ingresso in scena delle Corti sovranazionali e dalla correlata ermeneutica multilivello, con tutti i conseguenti vincoli preventivi e postumi.
4. L’attualità della funzione di nomofilachia è dunque profondamente condizionata da questa tensione funzionale o, per essere più chiari, prima e soprattutto, dai suoi “numeri”. Le esigenze produttivistiche hanno assunto una chiara preponderanza, le ordinanze prevalgono di gran lunga sulle sentenze, il “dominio statistico” ha compresso enormemente il ruolo della motivazione. Il trend è: sempre più definizione di liti, sempre meno orientamento interpretativo, sempre maggiori rischi di oscillazione e contrasto giurisprudenziali. E’ questa una deriva di difficile governo, astretto com’è e come è giusto che sia dal dovere istituzionale ineludibile di preservare l’essenza stessa del giudizio accentrato di legittimità, che, al fondo, è quello di rendere concreto il principio supremo dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
5. E’ essenziale a tal fine l’attuazione di prassi che prevengano l’adozione da parte della giurisprudenza di merito di soluzioni interpretative difformi o ondivaghe.
In quest’ottica occorre valorizzare quanto più possibile il lavoro dell'ufficio del Massimario e assicurare la massima diffusione delle sue relazioni presso gli uffici di merito per prevenire il rischio di soluzioni interpretative difformi.
Per evitare il formarsi di deleteri contrasti di giurisprudenza all'interno della corte, occorre invece percorrere la via preventiva del confronto tra i giudici della Cassazione attraverso riunioni, sezionali e intersezionali, nonché il confronto periodico, del quale si sente la mancanza, con la Procura generale.
L’attenzione al "fenomeno", ne occorre consapevolezza, trasfigura il ruolo e la funzione della Cassazione.
Il rischio può essere evitato solo attraverso il coordinamento interno e lo sforzo costante di tutti i magistrati della Cassazione e della Procura generale ad astenersi dal controllo sul fatto nella consapevolezza che non c’è danno peggiore di quello derivante dall’imprevedibilità della decisione perché condizionata dal fatto.
7. Al fine di garantire l’efficienza e l’uniformità della funzione di legittimità è essenziale valorizzare al massimo momenti di effettivo coordinamento tra Cassazione e Procura generale affinché le funzioni di legittimità siano coerentemente esercitate da tutti i magistrati della Cassazione e della Procura , e ciò al fine di prevenire la difformità delle decisioni e altresì garantite l’utile utilizzo delle risorse assai “scarse” rispetto al carico di lavoro.
8. D’altro canto l’importanza della comune appartenenza alla giurisdizione di legittimità dei consiglieri e dei pubblici ministeri della Cassazione tanto più deve essere riaffermata in questo momento, per la "difficile" attualità della politica giudiziaria ove si "aggira lo spettro" della separazione delle carriere. La Procura Generale presso la Corte non è collocata in una "zona franca". Il rischio, già per molti versi attuale a causa della limitazione nei mutamenti di funzioni tra giudicante e requirente, è la sua trasformazione progressiva in un -indesiderabile- pubblico ministero di ultimo grado.
9. Da questo contesto problematico, al netto di improbabili e forse nemmeno auspicabili modifiche costituzionali, la Corte può uscire soltanto “in avanti”, provando a governare cum modo i flussi degli affari e, allo stesso tempo, aprendo nuovi e forti canali di dialogo con i giudici di merito, così come è prassi consolidata con le Corti europee, nella consapevole prospettiva di avviare una necessaria linea di continuità giurisprudenziale a tutela dei diritti fondamentali.
Strumenti decisivi in questo senso sono la piena valorizzazione dell’Ufficio del processo e il rinvio pregiudiziale nel civile. Ma ovviamente non basta. Bisogna pensare a forme innovative, strutturate ed efficaci, di coordinamento giurisprudenziale preventivo, che si basino sull’attività formativa ed organizzativa della SSM, sia centrale sia decentrata. Un’idea – specifica - è quella di prevedere l’istituzione di conferenze (almeno) annuali Corte/Corti territoriali, Procura generali/Procure generali territoriali.
10. Dopo cento anni di Cassazione nazionale è dunque arrivato il tempo di un rapporto nuovo tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità. E’ indispensabile un profondo “cambio culturale”: bisogna pensare alla giurisprudenza come un’ azione comune, strutturata nello scambio e nel confronto tra i suoi “produttori”, che sono tutti i magistrati, giudicanti e requirenti. Bisogna concepire l’organizzazione dell’ interpretazione giudiziale in termini “circolari” e quindi riconoscere il plesso Corte di Cassazione/Procura Generale non più solo, in termini formali/oggettivi, quale “vertice funzionale” della giurisdizione nazionale, ma, in termini sostanziali/soggettivi, quale “centro” di un agire comunicativo corale, costante, osmotico, dunque autenticamente costituzionale.