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Violenza di genere, specializzazione, circolarità delle informazioni e formazione
(AreaDG Palermo)

Da anni si assiste ad un aumento esponenziale di denunce e di processi procedibili d’ufficio che riguardano reati di violenza di genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica sessuale, psicologica, economica; condotte che comprendono pure le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata.

La violenza domestica, anch’essa in aumento, mostra il compimento all’interno della famiglia o del nucleo familiare e spesso alla presenza di figli minori di atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, atti che proseguono anche quando l’autore non condivida più stessa residenza con la vittima.

Il legislatore è intervenuto con la legge 19 luglio 2019, n. 69 (cosiddetto Codice rosso) apportando modifiche al codice penale e di procedura penale, per reprimere il fenomeno e offrire una più significativa tutela alle donne e ai minori, vittime di tali violenze. Inoltre, dal punto di vista dell’organizzazione giudiziaria, per fronteggiare tale gravissima situazione nei Tribunali di medie e grandi dimensioni e nelle Corti di appello sono state istituite sezioni dedicate in via esclusiva o prevalente alla trattazione dei reati da codice rosso.

Tuttavia, le sezioni designate alla trattazione di tali processi sono spesso composte da magistrati che non hanno maturato alcuna esperienza nella materia della violenza, (perché ad esempio magistrati di prima nomina) e, dunque, si trovano, per la prima volta, a valutare l’attendibilità o meno delle dichiarazioni delle persone offese, ad interpretare le caratteristiche peculiari di dette dichiarazioni: a volte, per paura, reticenti, spesso frammentarie; a valutare la vulnerabilità del soggetto offeso, a proteggere la persona offesa da vittimizzazione secondaria (cfr. relazione sulla vittimizzazione secondaria approvata il 20 aprile 2022 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, del Senato della Repubblica, Doc. XXII bis n.10).

 

La Convenzione di Istanbul (11 maggio 2011, ratificata in Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77 ed entrata in vigore nel mese di agosto del 2014) indica un percorso preciso da avviare all’interno degli uffici giudiziari, che si muove su linee specificamente indicate:

 

art. 7) “I diritti della vittima devono essere al centro di tutte le misure ed attuate attraverso una collaborazione efficace tra tutti gli enti, le istituzioni e le organizzazioni pertinenti”; Art.15) “Deve essere fornita o rafforzata un'adeguata formazione delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza, incoraggiando corsi di formazione in materia di cooperazione coordinata interistituzionale, al fine di consentire una gestione globale e adeguata degli orientamenti da seguire nei casi di violenza ….”; Art. 18) “Vanno garantiti adeguati meccanismi di cooperazione efficace tra tutti gli organismi statali competenti, comprese le autorità giudiziarie, i pubblici ministeri, le autorità incaricate dell’applicazione della legge, …..al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza”.

 

Il solco tracciato dal legislatore europeo, con una serie di risoluzioni tra le quali quella adottata dal Parlamento Europeo il 6 ottobre 2021, individua alcuni obiettivi, ineludibili: a) costituire e far funzionare un sistema vero ed efficiente di rete e di coordinamento; b) intervenire con efficacia nella fase di immediata disgregazione del vincolo affettivo, mettendo immediatamente in protezione la donna ogni qualvolta emergano anche solo potenziali indici di violenza; c) formare e specializzare gli operatori della giustizia che si occupano di reati di violenza e di famiglie disgregate, ove il nucleo della violenza spesso si annida con risvolti particolarmente drammatici sulla vita dei figli minori.

 

Le Linee Guida del CSM del 2018 hanno individuato una metodologia di lavoro tra uffici ispirata all’esigenza di specializzazione, di coordinamento tra magistratura civile, penale e requirente, di maggiore conoscenza dei procedimenti spesso paralleli relativi ad una stessa situazione di fatto, di coordinamento istruttorio anche per evitare “vittimizzazione processuale” secondaria, di maggiore coerenza nell’esito dei procedimenti penali e di quelli relativi all’affido dei figli minori, ancorché, alla luce degli esiti della Commissione di inchiesta e della nuova Risoluzione del Parlamento Europeo si imporrebbe un aggiornamento delle Linee Guida, per molti versi generiche, non sempre efficaci e in molti uffici rimaste inattuate.

 

La Scuola Superiore della Magistratura ha avviato da anni, una formazione specializzata dei magistrati chiamati ad occuparsi, in tempi e con strumenti diversi, dei fenomeni di violenza domestica e di genere ed ha coinvolto magistrati operanti su fronti diversi, in particolare la magistratura requirente e quella giudicante penale e civile del settore famiglia, persone e minori.

 

Pertanto, è certamente realizzabile una sinergia tra la Consiglio Superiore della Magistratura e la Scuola Superiore della Magistratura:

 

Si, chiede, dunque:

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