AreaDG denuncia da tempo gli effetti della crescente precarietà nel mondo del lavoro. Per almeno vent’anni l’idea della flessibilità ha accompagnato riforme che hanno favorito l’adozione di forme contrattuali meno garantite per i lavoratori, al fine di adeguarle alle pretese esigenze di una pronta risposta delle imprese agli interessi del mercato. La mobilità e la precarietà sono diventate così la parola d’ordine dietro cui si celano l’instabilità e l’impossibilità di pensare un futuro, una casa, un ruolo sociale, in una curva decrescente della tutela dei diritti fondamentali. L’insicurezza economica, l’impossibilità di programmare una vita, l’assenza di serie prospettive pensionistiche ne sono state l’inevitabile, amara conseguenza.
Oggi i dati statistici misurano una faticosa ripresa dell’occupazione evidenziando però la percentuale impressionante di lavoratori assunti a tempo determinato, in appalti d’incerta durata, in somministrazione, in cooperative senza finalità mutualistica, in stage, apprendistati o collaborazioni che persino nella pubblica amministrazione dissimulano sovente prestazioni di fatto subordinate e illegittime.
È evidente la consapevolezza che la legalità del lavoro si è rivelata arrendevole rispetto alla logica del profitto, a scapito dei diritti e delle libertà su cui si fonda la Costituzione.
L’assenza di sbocchi occupazionali ha finito per ampliare due categorie sociali e rianimarne una terza: i cittadini scoraggiati che, soprattutto tra i giovani, diventano inoccupati che rinunciano a cercare un’attività e quindi al proprio ruolo di cittadini attivi ovvero abbandonano il nostro Paese; i lavoratori autonomi per necessità, i quali, in assenza di capitale e vocazione, svolgono attività poco remunerate e prive di adeguate tutele assistenziali; le vittime dell’interposizione illecita nella manodopera, sfruttate da un caporalato che, anche quando sostituisce la sopraffazione violenta con l’algoritmo, offende comunque la dignità della persona e viola ogni principio dello Stato sociale.
Il risultato di una tale deriva giuridico-sociale è da tempo evidente: il lavoro è stato svuotato di molti dei diritti che la Costituzione riconosce. E, anche quando c’è, il lavoro non dà più sicurezza. Il numero dei lavoratori poveri supera ormai il milione e mezzo. La cifra si riferisce ai soli lavoratori regolarizzati, ovviamente. L’UE stimava che già alla fine dello scorso decennio in Italia gli working poor fossero il 12% degli occupati, contro una media europea del 9%.
L’effetto ulteriore, ancora più tragico, riguarda la rinuncia alla tutela della propria salute. La fame di lavoro, l’urgenza della retribuzione anche provvisoria inducono inevitabilmente ad accettare condizioni insicure, per qualsiasi classe di lavoratori. La temporaneità dell’impiego, la scissione tra fornitore e utilizzatore della manodopera, l’assegnazione promiscua a servizi differenti, inoltre, precludono la possibilità di una effettiva formazione preventiva e specifica per la lavorazione assegnata.
L’impennata degli infortuni sul lavoro, gravi o mortali, la pericolosità e la varietà delle malattie professionali non sono dunque frutto del caso. Nei primi otto mesi del 2021 le morti sul lavoro sfiorano quota 700, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2020 e del 2019. Una drammatica statistica che fa emergere quanto precarietà, flessibilità, frammentarietà diffuse finiscano per coincidere con la negazione delle tutele nel lavoro. Si aggiunga che la risposta dello Stato, soprattutto laddove articolata nelle competenze delle Regioni e di troppi organi di vigilanza, risulta frammentata da autonome politiche regionali, risorse pubbliche carenti, eterogeneità dei fini.
Diventa pertanto nodale l’esigenza che la magistratura, almeno quella progressista, solleciti l’attenzione delle istituzioni centrali e locali nella direzione di tutele effettive nonché di controlli amministrativi che siano coordinati, strutturati, finanziati e inseriti in una vera politica della prevenzione, senza la quale la repressione sanzionatoria non potrà essere risolutiva.
La giurisdizione rappresenta per lo più il momento della ricognizione a posteriori di questi eventi. Ma una giurisdizione volta ad una tutela effettiva ed efficace non è soltanto il luogo di affermazione delle regole e dei diritti, troppo spesso ignorati in un mondo che sembra perciò regredito alla condizione d’insensibilità dell’ultimo dopoguerra, ma è anche scelta di itinerari per l’affermazione dei valori costituzionali fondamentali che rimangano il migliore strumento di riscatto dal bisogno, di contrasto alle diseguaglianze.
I magistrati di AreaDG ritengono pertanto necessario e doveroso rinnovare l’impegno per un percorso culturale di analisi delle attuali condizioni occupazionali, nel quale – grazie a un confronto costante con le istituzioni, con le organizzazioni sindacali e con gli operatori del settore – si monitori lo stato della salvaguardia del valore della dignità e si denuncino scelte economiche e soluzioni giuridiche contrastanti con la tutela piena ed effettiva dei diritti nel mondo del lavoro.