Primarie per l’elezione del Csm
Categoria magistrati di Merito

Roberto Arata

Tribunale di Torino

Alcune assemblee, che ringrazio, hanno proposto o appoggiato la mia candidatura.

Presentarla mi crea qualche imbarazzo perché ho sempre guardato con diffidenza alle campagne elettorali: periodi brevi, in cui tutte le parole si assomigliano. Mentre solo i tempi lunghi dimostrano la coerenza delle idee e, soprattutto, dei comportamenti di ciascuno di noi.

Inizio, allora, raccontando brevemente il mio percorso.

Ho fatto il tirocinio a Genova, poi ho lavorato in Procura a Patti e, dopo all’incirca quattro anni, mi sono spostato a Torino, dove svolgo ormai da venti anni la funzione di giudice. Ho fatto parte per due volte del Consiglio Giudiziario, mi sono occupato di formazione, ho l’incarico di presidente di sezione.

Arrivando in Sicilia, in un ufficio con tre sostituti e all’epoca appesantito da una situazione ambientale difficile, ho toccato con mano quanto la latitudine e le dimensioni dell’ufficio rendano diverso il nostro lavoro. Diverso per risorse, problemi, esigenze, criminalità, realtà socio-economica sottostante, materie trattate, rapporti col foro ecc.  E, dunque, so, per esperienza, quanto sia ingenuo pensare che siano immediatamente esportabili ovunque modelli organizzativi che funzionano in determinate realtà territoriali. Ma sono egualmente sicuro che “ovunque” sia indispensabile che ogni magistrato, fin dal primo giorno, contribuisca e partecipi alle scelte organizzative e strategiche dell’ufficio. 

Ho sempre creduto nell’autogoverno dal basso.

Credo nei modelli organizzativi non verticistici, fondati sulla partecipazione e sulla condivisione degli obiettivi.

Credo che, qualunque sia la nostra funzione, dobbiamo coniugare l’impegno quotidiano nell’attività giurisdizionale con lo sforzo di trovare soluzioni organizzative, interne all’ufficio e ragionate con gli altri uffici requirenti e giudicanti, di primo e di secondo grado, che ci consentano di non disperdere le nostre energie tra fatti irrilevanti e processi destinati a prescriversi e garantiscano effettività alla giurisdizione che esercitiamo

Credo che la tutela dei diritti affidata alla buona volontà e allo scrupolo del singolo magistrato anziché ad un sistema giudiziario organizzato ed efficiente rischi di essere  casuale e  parziale, e dunque alla fine “ingiusta”, e credo che l’attenzione verso i profili organizzativi e ordinamentali non significhi trascurare il contenuto della giurisdizione ma, al contrario, aumentando l’efficienza, l’autonomia e la trasparenza della magistratura, consenta di realizzare in concreto, nella realtà quotidiana delle nostre aule, quei principi di uguaglianza e di giustizia sociale in cui crediamo.

Credo che la formazione debba organizzare incontri di studio che coniughino l’approfondimento scientifico con l’elaborazione di risposte concrete alle questioni che quotidianamente ci troviamo ad affrontare nel nostro lavoro.

Credo che dai consigli giudiziari si debba pretendere la conoscenza reale del territorio, dei problemi degli uffici e del lavoro dei magistrati e, soprattutto, la capacità e il coraggio di tradurre quella conoscenza in pareri e valutazioni coerenti.

Queste convinzioni ho sempre cercato di praticare nella mia attività

 

Per quanto concerne più specificamente il prossimo CSM, anzitutto sono convinto che un programma per il governo della magistratura non nasca dalle illuminazioni di un singolo ma dalla progressiva elaborazione collettiva di un gruppo.

E, in fondo, noi gruppo di AreaDG, anche per queste elezioni, abbiamo già iniziato a farlo: penso alle proposte dell’assemblea veneta o al documento dell’assemblea ligure, che condivido e che dimostrano in concreto cosa significhi e a cosa serva essere parte di un gruppo. Penso alla riflessione sui problemi incontrati dai magistrati di prima nomina effettuata a Catanzaro e a tutte le altre proposte e/o segnalazioni di criticità che emergeranno magari proprio durante i giri per gli uffici che faremo in questo periodo; si tratta di occasioni in cui, a mio parere, per noi candidati, sarà utile ascoltare, più che parlare.

Dobbiamo essere consapevoli che la posta in palio, in queste elezioni, é più alta rispetto al passato perché la prossima consiliatura sarà decisiva per la sopravvivenza della nostra idea di autogoverno e, a monte, del nostro modello di magistrato.

Lo abbiamo detto tante volte ormai: è in atto, da molti anni, una profonda trasformazione del corpo della magistratura.

Un po' perché è cambiato il contesto normativo, sociale e ambientale. Anche a causa delle contromisure adottate da un sistema che non ha mai accettato una magistratura autonoma: basti pensare agli effetti profondi, nel corpo della magistratura, delle nuove modalità di accesso che impongono un percorso lungo e costoso che rischia di selezionare di nuovo, come negli anni 50/60, i magistrati per censo, della gerarchizzazione delle procure, dell’aumento dei carichi, dell’ossessione dell’efficienza numerica, dell’introduzione strisciante di un’idea di “carriera” che tradisce la Costituzione e il suo distinguere noi magistrati solo per la diversità di funzioni

Un po' per colpe nostre. I meno giovani tra noi lo sanno: il sistema tabellare, la democratizzazione delle procure, la trasparenza delle assegnazioni, l'introduzione di un sistema di valutazioni approfondito e non più dipendente dagli umori del “capo” erano stati, in passato, gli strumenti per attuare il modello di magistratura disegnato nella Costituzione. Negli anni il significato di quelle battaglie si è sbiadito. Abbiamo trasformato le tabelle da strumento di trasparenza e democrazia, capace di superare le opacità nelle assegnazioni e l’arbitrio dei dirigenti, in un rito stanco e lontano dalla realtà quotidiana del lavoro. Non siamo riusciti a trovare gli strumenti adeguati a rendere aderenti alla realtà le valutazioni di professionalità. Abbiamo confuso l’esigenza di un pluralismo ideale e culturale con spartizioni al ribasso di posti tra correnti e potentati. Siamo caduti nell’equivoco di confondere l’autogoverno con la scelta dei “capi”. Abbiamo finito per interessarci alle decisioni del CSM solo se riguardano la “carriera”. Soprattutto se è la nostra. Abbiamo finito per appassionarci più alla nomina del semidirettivo di un ufficio sperduto che all’assetto tabellare degli uffici in cui lavoriamo, anche se da quell’assetto dipende l’organizzazione del nostro lavoro quotidiano e, dunque, del tipo di risposta che riusciamo a dare alla domanda di giustizia.

 

Questa trasformazione ci impone un impegno nuovo: ci attende una battaglia culturale, lunga e difficile, da cui dipende il futuro, non di AreaDG, ma della magistratura.

E in questa battaglia un ruolo fondamentale lo giocheranno i nostri rappresentanti al CSM, perché l’azione degli organi di autogoverno è ciò cui i magistrati, soprattutto i più giovani, guardano e su cui misurano, giustamente, coerenza e idee.

Cosa dovranno fare, dunque, i nostri rappresentanti?

 

Dovranno essere coesi. Ovviamente dovranno ragionare e discutere al proprio interno, ma non dovranno mai dare all’esterno l’idea di un insieme di singoli che giocano ciascuno una propria partita personale.

Dovranno tenere sempre aperto un dialogo costruttivo con il gruppo e il coordinamento nazionale di AreaDG. Non certo per concordare nomine o spartire posti, ma per realizzare, ciascuno nel proprio ambito, lo scopo ultimo sia dell’associazionismo che dell’autogoverno, cioè creare in ogni tribunale le condizioni per esercitare la giurisdizione in modo da rendere effettivi i diritti, soprattutto quelli incerti e negletti dei più deboli. Il coordinamento e il gruppo devono elaborare, il CSM tradurre quelle elaborazioni in regole e comportamenti concreti e il coordinamento deve dare risalto alle scelte coerenti dei nostri rappresentanti al CSM o nei consigli giudiziari.  Pensate alle circolari sui criteri di priorità o sulle procure: esempi virtuosi in cui i nostri attuali rappresentanti sono stati capaci di valorizzare e rendere patrimonio comune gli approdi dell’elaborazione fatta all’interno del gruppo

Dovranno avere un rapporto costante con l’autogoverno locale e le realtà territoriali.

Nessuna scelta giusta possono fare i consiglieri superiori se non ricevono dai Consigli Giudiziari informazioni corrette e aderenti alla realtà; nessun credito possono avere tra i magistrati del distretto gli organi di autogoverno locale se le loro battaglie non sono riprese e coltivate dai consiglieri superiori.

Dovranno promuovere l’autogoverno dal basso: far capire ad ogni magistrato che l’autogoverno parte da ciascuno di noi e funziona solo se ciascunocollabora all’organizzazione del proprio ufficio.

Dovranno darsi e applicare criteri di scelta e regole di giudizio trasparenti ed uniformi.

Dovranno essere sempre disponibili a discutere e ragionare con tutti all’interno del CSM, perché questa è la fisiologia di ogni organo collegiale, ma, poi, al momento di scegliere e prendere posizione dovranno attenersi al più elementare dei comportamenti per un giudice: fare solo ciò che possono motivare e spiegare all’esterno. I consiglieri del CSM eletti da AREA DG dovranno rendere le loro decisioni prevedibili e trasparenti. Alcuni attribuiscono valore salvifico al ritorno all’anzianità, altri vagheggiano l’adozione di criteri oggettivi e automatici che escludano ogni discrezionalità. In realtà non esiste un criterio in assoluto “giusto” o "sbagliato” ed ogni criterio presenta vantaggi e svantaggi: e, allora, decisioni prevedibili e trasparenti si avranno se i consiglieri superiori indicheranno in generale le regole di giudizio che intendono seguire prima di decidere i singoli casi concreti (ovviamente sempre che la regola non risulti già fissata da una circolare) e, poi, le applicheranno coerentemente, rendendo evidente sempre che tra queste “regole” non c’è l’appartenenza correntizia.

Dovranno ricordarsi e ricordarci che la dirigenza di un ufficio non è una medaglia al valore trascorso né una casa di riposo per anziani né un attestato di appartenenza correntizia; è semplicemente un servizio, non meno faticoso e non necessariamente alternativo a quello fatto di udienze e sentenze, diverso a seconda della latitudine e delle dimensioni dell’ufficio ma comunque delicato e difficile, da affidare a chi per passione, doti personali e competenze via via acquisite appare  capace di organizzare, oltre al proprio, anche il lavoro degli altri in modo da fornire la miglior risposta possibile alla domanda di giustizia in quel territorio

Dovranno tenere il PM saldamente ancorato alla cultura della giurisdizione, rifiutando con nettezza e vigore il mai abbandonato progetto politico di separazione delle carriere e, al contrario, promuovendo nuovi meccanismi di tramutamento che consentono un maggiore interscambio tra l’una e l’altra funzione.

Dovranno difendere l’indipendenza interna dei PM, monitorando l’esercizio dei poteri gerarchici da parte dei “capi” e riportando nell’ambito del sistema tabellare i meccanismi di distribuzione dell’organico e di assegnazione dei fascicoli all’interno delle Procure, per l’ovvia ragione che non esiste indipendenza del giudice senza indipendenza del PM, né, alla lunga, esiste l’indipendenza “esterna” del PM dal potere politico ed economico, se manca quella interna.

Ma dovranno anche individuare e far rispettare il confine che separa l’indipendenza dall’irresponsabilità, in modo da evitare che dietro ai nobili principi di autonomia ed indipendenza si mascherino pretese di onnipotenza, insofferenze a regole deontologiche e stravaganze comportamentali

Ma, soprattutto, dovranno aiutare, con la coerenza delle proprie scelte e dei propri comportamenti, il nostro gruppo a combattere la battaglia più importante, quella nella testa e nel cuore dei magistrati, specie i più giovani, per sconfiggere alla radice il carrierismo e l’approccio burocratico e ossequioso verso i superiori o i potenti e per rilanciare il modello costituzionale di magistratura orizzontale, paritaria e non gerarchica in cui crediamo.