Diario dal Consiglio del 13 gennaio 2023
Quel che è emerso, nel corso di un’inchiesta giudiziaria, ha disvelato un quadro sconcertante e inaccettabile.
Quanto avvenuto ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e per l’autorevolezza non soltanto di questo Consiglio ma anche per il prestigio e l’autorevolezza dell’intero Ordine Giudiziario; la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica.
Il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il CSM, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato, si manifesta in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’Ordine Giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla Magistratura.
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La reazione del Consiglio ha rappresentato il primo passo per il recupero della autorevolezza e della credibilità cui ho fatto cenno e che occorre sapere restituire alla Magistratura italiana.
Di essa i cittadini ricordano i grandi meriti e i pesanti sacrifici anche attraverso l’esempio di tanti suoi appartenenti e hanno il diritto di pretendere che quei meriti e quei sacrifici non vengano offuscati.
A questo riguardo non va dimenticato che è stata un’azione della Magistratura a portare allo scoperto le vicende che hanno così pesantemente e gravemente sconcertato la pubblica opinione e scosso l’Ordine Giudiziario
Oggi si volta pagina nella vita del CSM. La prima di un percorso di cui non ci si può nascondere difficoltà e fatica di impegno. Dimostrando la capacità di reagire con fermezza contro ogni forma di degenerazione.
Tutta l’attività del Consiglio, ogni sua decisione sarà guardata con grande attenzione critica e forse con qualche pregiudiziale diffidenza. Non può sorprendere che sia così e occorre essere ancor più consapevoli, quindi, dell’esigenza di assoluta trasparenza, e di rispetto rigoroso delle regole stabilite, nelle procedure e nelle deliberazioni.
Occorre far comprendere che la Magistratura italiana – e il suo organo di governo autonomo, previsto dalla Costituzione – hanno al proprio interno gli anticorpi necessari e sono in grado di assicurare, nelle proprie scelte, rigore e piena linearità.
La Costituzione prevede che l’assunzione di qualunque carica pubblica – ivi comprese, ovviamente, quelle elettive – sia esercitata con disciplina e onore, con autentico disinteresse personale o di gruppo; e nel rispetto della deontologia professionale.
Indipendenza e totale autonomia dell’Ordine Giudiziario sono principi basilari della nostra Costituzione e rappresentano elementi irrinunziabili per la Repubblica. La loro affermazione è contenuta nelle norme della Costituzione ma il suo presidio risiede nella coscienza dei nostri concittadini e questo va riconquistato.
Potrà avvenire – e confido che avverrà - anzitutto sul piano, basilare e decisivo, dei comportamenti.
Stralci dell’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
all’Assemblea plenaria straordinaria del Consiglio Superiore della Magistratura
del 21 giugno 2019
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Plenum
1. Terza e Sesta Commissione: tirocinio MOT; graduatoria e suo regolamento
Il Plenum di questa settimana ha assunto due delibere riguardanti i magistrati ordinari in tirocinio.
Come è ormai noto il tirocinio dei magistrati ordinari nominati con D.M. 23.11.22 è stato ridotto a un anno per consentire una più rapida copertura delle vacanze nell’organico degli uffici giudiziari di primo grado (legge 29 dicembre 2022, n. 197). Su proposta della Sesta Commissione, il CSM ha adottato le nuove direttive relative al tirocinio stabilendone il calendario tenuto conto della riduzione.
Su proposta della Terza Commissione, il Plenum ha poi approvato una risoluzione che, impostata in origine per adeguare alla nuova disciplina dei trasferimenti extra ordinem le ipotesi di precedenza assoluta nella scelta delle sedi, assicurata ai magistrati in tirocinio nel caso di condizioni di salute rilevanti ai sensi della legge n. 104/1992 e nel caso di coniuge convivente appartenente al personale delle forze armate e di polizia, ha dettato poi in via generale le procedure e i criteri che saranno adottati con specifica delibera per la formazione della graduatoria utile ai fini della scelta delle sedi per i colleghi che andranno ad assumere le funzioni.
2. Quinta Commissione: Plenum dell’11 gennaio
a) ancora una conferma problematica che divide il Consiglio
Nel corso del Plenum è stata discussa una pratica di conferma che riguardava l’Ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica
La quinta Commissione all’esito dell’istruttoria e dell’audizione del magistrato interessato aveva licenziato due proposte:
la proposta A) favorevole alla conferma (rel. cons. Ciambellini, votata anche dai cons. Lanzi e D’Amato);
la proposta B) favorevole alla non conferma (rel. cons. Dal Moro).
Astenuto il consigliere Ardita. Non aveva partecipato al voto il cons. Gigliotti.
Il punto controverso riguardava l’incidenza delle condotte tenute nel primo quadriennio di funzioni direttive di Procuratore della Repubblica quali emergevano dalle conversazioni tramite la messaggistica whatsapp con Luca Palamara (trasmesse notoriamente al Consiglio da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia) sui prerequisiti funzionali; e, in particolare, sul parametro della “indipendenza da impropri condizionamenti” – espressamente richiamato dall’art. 72 comma 2 del T.U. sulla Dirigenza Giudiziaria – ma anche, indirettamente, sull’indicatore della “capacità di valorizzare le attitudini dei magistrati”, di cui al combinato disposto degli artt. 80, 18 e 7 del medesimo T.U. .
In altre parole si trattava di stabilire se tali condotte per il loro obiettivo disvalore, avessero minato il prestigio del magistrato, la sua autorevolezza e credibilità in modo incompatibile con il rinnovo per un ulteriore quadriennio di un positivo giudizio di merito ed attitudinale, funzionale a proseguire l’incarico direttivo nel corso del quale quelle condotte sono state tenute.
Nella delibera, poi approvata a maggioranza dal Plenum, si elencano precisamente le conversazioni ritenute rilevanti a questi effetti e si dà ampio riscontro della normativa di riferimento.
Qui riteniamo interessante riportare quelli che sono stati i temi dell’ampio e, a tratti, acceso dibattito plenario – durato 4 ore – e quali siano state le ragioni di contrapposizione, rimandando, per chi vi avesse interesse, al testo della delibera e alla registrazione del dibattito, che può essere ascoltata, come sempre, su radio radicale.
Dalle conversazioni acquisite agli atti emergeva una attività di energica, reiterata e insistita segnalazione di aspiranti a incarichi direttivi e semidirettivi per ragioni squisitamente di interesse personale oppure per ragioni di successo elettorale del gruppo associativo di appartenenza.
Emergevano anche indicazioni esplicite e dirette sulla gestione strategica delle dinamiche di voto in quinta Commissione e persino in Plenum: interventi con i quali il magistrato in questione incalzava il suo interlocutore nella tessitura di accordi con altri gruppi funzionali ai suoi desiderata o perché si assicurasse il voto dei componenti laici. Tutto ciò nell’ambito di uno “schema” condiviso che riguardava interi territori (e non singoli uffici), secondo un costume che, dalle conversazioni stesse, appare radicato e rodato, tanto da proseguire anche dopo che il Consigliere in questione aveva dismesso le funzioni istituzionali (si vedano le conversazioni relative alla pratica per la nomina del Procuratore della Repubblica di Roma all’attenzione del Consiglio nel maggio 2019).
Tali condotte, a nostro avviso, incidevano negativamente sul pre-requisito della “indipendenza da impropri condizionamenti”, essendo evidente che il dirigente in questione attribuiva un peso rilevante, se non decisivo, alle relazioni personali e alle logiche di appartenenza correntizia. Il che può avere una diretta ricaduta sulla imparzialità nell’esercizio dei compiti propri del dirigente di vigilanza e di valutazione sui magistrati dell’ufficio (si pensi solo alla redazione dei rapporti informativi).
Secondo una parte del Consiglio, invece, tali condotte, pur certamente censurabili, non potevano essere “sanzionate” con un giudizio di non conferma, in quanto erano già state valutate come irrilevanti in una procedura della Prima Commissione conclusa con delibera di archiviazione della pratica di trasferimento ex art. 2 l.g., (votata il 13 gennaio 2021 con 21 voti favorevoli e 2 astensioni).
Al riguardo si è invocato da alcuni il principio del ne bis idem, che sarebbe stato violato da una nuova valutazione sugli stessi fatti.
Si è criticata la eccessiva dilatazione del giudizio sulla indipendenza, che rischia di imporre una “etica di maggioranza” nelle procedure di valutazione amministrativa.
Sono stati invocati i principi fondamentali dello Stato di Diritto, la rule of law, come presidio della indipendenza dei magistrati, che può essere messa a rischio anche da una eccessiva “invadenza” degli organi di governo autonomo.
E si è arrivati, addirittura, a fare un parallelo con la situazione di altri Stati europei, come la Polonia o la Turchia, nei quali i magistrati “temono” gli organi di governo autonomo.
Infine, altro punto importante della discussione, si è contestato il richiamo, fatto da alcuni consiglieri, alla chiara rilevanza disciplinare di tali condotte, sostenendosi che i componenti del Consiglio, in particolare se componenti della Sezione disciplinare, non debbano esprimere giudizi sulla eventuale rilevanza disciplinare di una condotta e sulle scelte dei titolari dell’azione disciplinare.
Invero, alcuni Consiglieri, nel corso del dibattito, avevano sostenuto che le condotte emerse in questo caso dovevano qualificarsi come “grave scorrettezza” disciplinarmente rilevante, secondo un orientamento, che ormai si va consolidando, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
E ciò non poteva non avere incidenza sul giudizio di conferma, indipendentemente dalle scelte operate dai titolari dell’azione disciplinare, che in questo caso non avevano avviato l’azione, né il Procuratore Generale, né il Ministro della Giustizia (il quale, peraltro, in persona del nuovo incaricato, ricevute le due proposte, ha espresso il suo “concerto” per la conferma del direttivo in discorso).
Queste obiezioni non ci sono parse convincenti.
I presupposti e le finalità che riguardano il potere di trasferimento d’ufficio ex art. 2 L.G. sono diversi da quelli che attengono ad una pratica di conferma in ruoli direttivi e semidirettivi: se in un caso si tratta di valutare, in funzione della tutela del bene della imparzialità ed indipendenza della funzione giurisdizionale, condotte pure incolpevoli che la pregiudicano anche in termini di apparenza in un determinato contesto territoriale/ambientale, nelle pratiche di conferma si tratta invece di (ri)conferire le funzioni direttive o semidirettive per un ulteriore quadriennio. E dunque la non conferma non può essere in nessun modo considerata come una “sanzione”, che sarebbe vietato applicare una volta esclusa la rilevanza dei fatti ai fini della diversa procedura di trasferimento di ufficio.
In ogni caso, la delibera di archiviazione della pratica di art. 2 l.g. era motivata sulla considerazione per cui le condotte in esame, ritenute censurabili, attenevano però ad interventi di interferenza nelle nomine di un distretto completamente diverso da quello in cui il magistrato esercitava le funzioni direttive; infatti vi si affermava espressamente che restavano ferme la “rilevanza deontologica delle condotte” e “impregiudicata ogni valutazione nelle altre sedi consiliari”.
E dunque riesce davvero difficile comprendere come si possa attribuire valore “pregiudicante” di una successiva valutazione in altro ambito a una delibera che espressamente affermi di non volere pregiudicare le successive altre valutazioni.
Ci è sembrato pertanto inconferente il richiamo ai principi dello Stato di diritto e decisamente sproporzionato l’accostamento tra la modestia etica di una pratica per la non conferma di un dirigente che raccomandava colleghi e situazioni drammatiche per la libertà e la democrazia.
La funzione del governo autonomo della magistratura è in via primaria quella di difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dalle ricorrenti tentazioni di controllo del potere politico. Ma dobbiamo essere sempre consapevoli che la tutela dell’indipendenza da ogni altro potere può fondarsi esclusivamente su una forte etica della responsabilità.
Quanto, infine, al dibattito sulla mancata iniziativa disciplinare, noi riteniamo che tutti i magistrati, e quindi anche i componenti del Consiglio, abbiano il diritto (e anche il dovere) di esprimere le loro valutazioni sulle scelte dei titolari dell’azione disciplinare, in quanto nei sistemi democratici non esistono (e non possono esistere) poteri pubblici sottratti al diritto di critica.
All’esito della discussione è prevalsa la proposta A) di non conferma con 11 voti (cons. Benedetti, Cascini, Cavanna, Chinaglia, Curzio, Dal Moro, Di Matteo, Gigliotti, Pepe, Suriano, Zaccaro); la proposta B) ha riportato 9 voti (cons. Balduini, Braggion, Celentano, Cerabona, Ciambellini, D’Amato, Grillo, Lanzi, Micciché).
Astenuti: cons. Ardita, Marra
Non hanno partecipato al voto i cons. Basile, Donati, e il PG Salvato.
b) La nomina del Presidente della sezione lavoro del Tribunale di Perugia
La V Commissione aveva espresso due proposte:
Proposta A – in favore del dott. Vincenzo Pio Baldi (votanti i consiglieri D'Amato, Ardita, Gigliotti); relatore cons. Dal Moro;
Proposta B – in favore del dott. Pierluigi Panariello (votante e relatore cons. Dal Moro).
Astenuti cons. Ciambellini, Lanzi.
Il concorso era limitato a due magistrati – dello stesso DM di nomina – entrambi di grande professionalità, esperienza e capacità, come risulta dalle proposte.
Si trattava, dunque, di individuare quale dei due, nell’interesse dell’ufficio, fosse il più idoneo, per merito ed attitudini, a ricoprire l’incarico di dirigere e coordinare la sezione lavoro della Corte d’appello di Perugia, dove il dott. Panariello lavorava da oltre sette anni, proficuamente, con ottimi risultati e con la stima motivata su professionalità e serietà, di colleghi, foro e dirigenti del distretto (dove aveva lavorato anche nel settore penale e acquisito anche esperienze ordinamentali quale componente del locale CG).
A fronte di questi elementi a noi è parso che l’esercizio della discrezionalità amministrativa che il T.U. governa, ma presuppone, dovesse condurre a valorizzare un profilo professionale e attitudinale di grande pregevolezza, senza che il maggior numero di anni di svolgimento delle funzioni lavoristiche del dott. Baldi né la sua risalente esperienza di coordinamento della sezione lavoro di Foggia (in primo grado, quindi diversa da quello oggetto della pratica), pur costituendo indicatori specifici pertinenti, dovesse essere decisiva (come non necessariamente è, atteso che per pacifica giurisprudenza amministrativa ben possono essere nominati anche aspiranti che non ne sono in possesso o ne sono in possesso in misura meno prolungata, salvo l’onere di una motivazione rafforzata sulle ragioni della scelta comparativa); e ciò perché la funzionalità del sistema e l’interesse degli uffici stridono obiettivamente con una decisione assai formale che produce l’effetto di trasferire un consigliere di Corte d’appello sez. lavoro da Ancona (dove si trova il dott. Baldi) a Perugia per presiedere la sezione lavoro della Corte dove un aspirante già lavora bene e con la stima di tutti da sette anni. Tant’è che in quinta commissione v’erano state due astensioni sulla decisione.
Abbiamo sostenuto la proposta anche in Plenum per le ragioni predette e anche per perché la vicenda è paradigmatica del problema che più volte vi abbiamo sottoposto (e che abbiamo anche fatto oggetto di un parere sulla riforma ordinamentale che è stato raccolto dalla Ministra nei principi di delega) della necessità di rivedere la funzione semidirettiva: riducendo il numero dei semidirettivi di nomina consiliare che – stante le funzioni che essi sono chiamati ad esercitare nei grandi e medi tribunali – ben potrebbero essere individuati all’interno dell’ufficio di appartenenza, sollevando così il Consiglio dall’onere di partiche numerosissime che sottraggono tempo ed energie (anche agli organi di governo autonomo locale) che ben potrebbero essere meglio impiegati per scelte ben più delicate da assumere in tempi congrui.
La Proposta A) è prevalsa con 17 voti (cons. Ardita, Balduini, Basile, Benedetti, Braggion Cavanna, Celentano, Ciambellini, D’Amato, Di Matteo, Donati, Gigliotti, Grillo, Lanzi, Miccichè, Marra, Pepe); la proposta B) ha riportato 6 voti (Cascini, Cerabona, Chinaglia, Dal Moro, Suriano, Zaccaro).
Astenuto nessuno; non hanno partecipato al voto il PP Curzio e il PG Salvato.
Vi racconteremo …
Alessandra, Ciccio, Elisabetta, Giuseppe, Mario