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Per la temporaneità degli incarichi direttivi

Su proposta del gruppo di AreaDG, il CSM vota un parere favorevole a un emendamento che, rimettendo al centro l’attività nella giurisdizione, colmerebbe la separazione in corso, di fatto, tra chi ha imboccato un percorso dirigenziale e chi lavora negli uffici fino a disinteressarsi quasi delle questioni organizzative

Nel corso del dibattito in Plenum sul parere consiliare relativo alla riforma Cartabia la maggioranza ha accolto un nostro emendamento, con il quale abbiamo proposto:

  1. di rendere effettiva la temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi prevedendo una parentesi – fra un incarico e l’altro – di svolgimento di funzioni giurisdizionali;
  2. di elevare ad otto anni il termine di legittimazione per i successivi tramutamenti di chi ricopre incarichi direttivi e semidirettivi.

Siamo convinti che, soprattutto in questa fase storica, vi siano molte buone ragioni a favore di questa scelta, sia di ordine funzionale che di ordine culturale.

La riforma del 2006 ha modificato il rapporto dei magistrati con la “carriera”, esasperando in molti l’ansia di conseguire incarichi direttivi o semidirettivi. E certamente la “pressione” delle aspettative di tanti sull’organo di governo autonomo ha favorito il crearsi delle prassi distorte che recenti indagini hanno compiutamente disvelato, anche nella loro dimensione.

In questo contesto, da più parti si è sovente richiamata l’esigenza di avviare un percorso di “rigenerazione etica” della magistratura e dell’organo di governo autonomo.

Un percorso, che, a nostro avviso, implica l’attuazione del principio costituzionale che i magistrati si distinguono solo per funzioni, restituendo effettività alla temporaneità delle funzioni direttive già prevista dal legislatore, e, così, ribadendo che l’esperienza direttiva è solo una parentesi nella vita professionale di un magistrato, il cui compito primario è l’esercizio della giurisdizione e che tutti i magistrati devono partecipare e contribuire alla organizzazione degli uffici.

Nel disegno di riforma del 2006 c’era certamente l’obiettivo di valorizzare le attitudini direttive, ma anche quella di evitare la figura del dirigente “a vita”.

Invece, anche per effetto della giurisprudenza amministrativa che attribuisce rilievo preminente alle precedenti funzioni direttive e semidirettive, si è creata di fatto una sorta di “separazione delle carriere” tra i dirigenti e gli altri magistrati.

Chi entra nel “circuito della dirigenza” difficilmente ne esce più, con il risultato che la direzione degli uffici maggiori è di regola attribuita a magistrati che senza dubbio hanno maturato una grandissima esperienza organizzativa, ma che per un lungo periodo, hanno svolto solo marginalmente funzioni giudiziarie.

A noi sembra che questa divisione fra chi si occupa di amministrazione degli uffici e chi si occupa di giurisdizione non sia positiva per la magistratura.

Noi preferiremmo, invece, un assetto in cui chi ha responsabilità direttive non abbia dimenticato cosa sia la giurisdizione (alla quale la amministrazione dovrebbe essere funzionale) e soprattutto chi decide di continuare a fare il giudice od il pubblico ministero non consideri le questioni organizzative come responsabilità esclusiva del dirigente, perché ciò contraddirebbe il nostro modello di gestione orizzontale e partecipata degli uffici.

Non c’è, dunque, in questa proposta, alcun effetto “punitivo” verso chi, per competenze e attitudini, ha assunto funzioni dirigenziali, né scoraggiante verso chi volesse assumerle, dal momento che non può considerarsi una “punizione” il ritorno all’esercizio della giurisdizione.

C’è piuttosto una scelta di privilegiare l’interesse generale al migliore funzionamento degli uffici, la cui efficace organizzazione è meglio assicurata dalla stabilità della dirigenza, rispetto alle pur legittime aspirazioni dei singoli; infatti oggi avviene quasi di regola (soprattutto per gli incarichi direttivi) che, trascorso il primo quadriennio, i dirigenti si avvalgano della maturata legittimazione al trasferimento per puntare ad un ufficio più grande o di maggiore responsabilità e “prestigio”.

Siamo consapevoli che con questa proposta si corre il rischio di disperdere le positive esperienze maturate da chi ha per anni svolto funzioni direttive, ma siamo anche convinti che il dirigente che torni per qualche anno a svolgere funzioni ordinarie potrà mettere, comunque, i suoi talenti e la sua esperienza a disposizione dell’ufficio, contribuendo dal basso alla sua organizzazione; così come siamo certi che in tal modo ci sarebbe un maggiore ricambio alla guida degli uffici, una maggiore diffusione della cultura organizzativa ed una maggiore vicinanza dei dirigenti, di volta in volta investititi di tali compiti, alla giurisdizione.

Del resto, il perpetuarsi dell’assetto odierno fondato verso la spinta specializzazione delle funzioni direttive, ben potrebbe legittimare il legislatore a ritenere che il dirigente di un ufficio è soprattutto un organizzatore dei servizi e a giungere alla malaugurata conclusione che se ne debba occupare chi, per formazione e pregresse esperienze, si occupa professionalmente di organizzazione, sottraendo i compiti direttivi ai magistrati per devolverli a manager esterni.

Alessandra Dal Moro
Elisabetta Chinaglia
Giuseppe Cascini
Mario Suriano
Ciccio Zaccaro

23 marzo 2022