Il ruolo del Comitato di Presidenza nel CSM
Oggi il Plenum ha discusso la pratica relativa alla nomina del direttore dell’Ufficio Studi del Consiglio Superiore della Magistratura.
Ne riferiamo in quanto il tema trattato attiene ad un aspetto delicato ed importante della vita del Consiglio, ossia quello della centralità dell’organo collegiale e del rapporto tra Assemblea Plenaria e Comitato di presidenza.
Il Comitato di presidenza – organo non previsto dalla Costituzione, ma introdotto con la legge istitutiva del CSM – è composto dal Vice Presidente (che è eletto dal Plenum all’inizio della consiliatura tra i membri laici indicati dal Parlamento) e dai due Capi di Corte, e, secondo l’art. 2 l. n. 195 del 1958, ha compiti circoscritti al funzionamento dell’organo (“Il Comitato promuove l’attività e l’attuazione delle deliberazioni del Consiglio e provvede alla gestione dei fondi stanziati in bilancio ai sensi dell’art. 9”), non essendo, del resto, connaturato dalla rappresentatività che caratterizza l’Assemblea Plenaria.
Tuttavia, per il modo in cui concretamente esercita i compiti funzionali, può imprimere una direzione gerarchica al funzionamento interno del Consiglio, che finisce per tradursi anche all’esterno in termini di sottrazione di quel ruolo di rappresentanza che è proprio solo della assemblea plenaria.
Nella prassi il Comitato è divenuto sempre più organo di “governo” del Consiglio, poiché gestisce composizione e presidenza delle Commissioni, autorizza la apertura delle pratiche presso le Commissioni, assegna alle Commissioni competenti gli atti che pervengono al Consiglio ed esprime di fatto una capacità di indirizzo attraverso la “gestione” della struttura amministrativa e della Segreteria [1].
Come spesso abbiamo sottolineato nel corso della campagna elettorale, quello del “potere” del Comitato di Presidenza costituisce uno dei nodi fondamentali del funzionamento del Consiglio, atteso che l’assenza di rappresentatività lo svincola dal dovere di rendere conto, e rischia di favorire un esercizio autoreferenziale e verticistico del “potere” che i compiti funzionali gli attribuiscono.
Venendo alla vicenda contingente, va premesso che secondo il regolamento interno, l’Ufficio Studi e Documentazione del CSM è diretto da un componente del Consiglio, nominato con delibera di Plenum su proposta del Comitato di Presidenza, sentita la Sesta Commissione. L’incarico ha durata annuale.
In questo caso, sulla proposta formulata dal Comitato di Presidenza nei confronti di un consigliere, la Sesta commissione si era espressa con 1 voto a favore e 4 astensioni (un assente).
In esito al dibattito di Plenum, incentrato esclusivamente sul tema del metodo utilizzato per addivenire alla proposta (e non certo sul profilo del consigliere proposto), la proposta del Comitato è stata respinta con 12 voti contrari (Balduini, Benedetti, Cascini, Cerabona, Chinaglia, Dal Moro, Di Matteo, Donati, Gigliotti, Pepe, Suriano, Zaccaro), 5 favorevoli (Celentano, Ciambellini, Curzio, Ermini, Salvi), 4 astenuti (Braggion, Cavanna, Lanzi, Miccichè), 5 assenti o non partecipanti al voto (Ardita, Basile, D’Amato, D’Amato, Marra).
Riportiamo di seguito l’intervento di Giuseppe Cascini, che spiega le ragioni del nostro voto contrario.
Alessandra Dal Moro,
Elisabetta Chinaglia,
Giuseppe Cascini,
Mario Suriano,
Ciccio Zaccaro
[1] Per una approfondita riflessione sul ruolo del Comitato di Presidenza v. M. Patarnello, “60 anni di vita: la struttura e le nostre rughe”, in QG n. 4/2017.
12 gennaio 2022
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Intervento di Giuseppe Cascini
“Non posso esprimere un voto a favore di questa proposta, in quanto, a differenza di quanto avvenuto in occasione delle precedenti nomine, non sono stati in nessun modo esplicitati, né formalmente né mediante comunicazioni informali, i criteri attraverso i quali si è pervenuti a questa scelta. Né è possibile, almeno per me, desumerli implicitamente.
Una cosa analoga è avvenuta, come ho già avuto modo di rappresentare in una comunicazione al VP, per la composizione delle Commissioni e la nomina dei Presidenti, scelte che però, per disposizione regolamentare, non sono sottoposte alla approvazione del Plenum.
Nelle moderne democrazie costituzionali è considerato imprescindibile che qualunque potere, anche quello organizzativo di strutture complesse e tanto più se di rilevanza costituzionale, sia sempre esercitato secondo criteri di trasparenza e di responsabilità, che consentono di verificare la rispondenza dell’esercizio del potere alle sue finalità.
Credo che si tratti di un’acquisizione che costituisce patrimonio culturale comune al nostro interno. Ed, anzi, sono certo lo sia per persone per le quali l’aggettivo “democratico” è stato segno identitario di una storia politica o associativa.
Il tema è quello del ruolo del Comitato di Presidenza all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura. Un tema molto serio, perché, come tutti sanno, il Comitato di Presidenza è un organismo non previsto dalla Costituzione e introdotto dalla legge istitutiva del Consiglio del 1958. Sin da allora gli studiosi si sono interrogati sulla compatibilità con la Costituzione di tale organismo, la cui creazione era sembrata a molti un tentativo del legislatore di ridurre la portata innovativa della scelta del Costituente.
Io che non sono un teorico, ho sempre pensato che la compatibilità con la Costituzione si dovesse misurare con la capacità in concreto del Comitato di garantire il metodo democratico – secondo i criteri di trasparenza e responsabilità detti – e la centralità del confronto collegiale nel funzionamento del Consiglio.
A me pare che nel tempo, insieme alla consapevolezza della serietà del tema del rapporto Comitato di Presidenza e Consiglio nella sua collegialità, sia sfumata anche quella dell’importanza dell’esercizio sorvegliato dei poteri che spettano al Comitato per legge e regolamento, con ricadute sulla centralità del momento collegiale e sulla coesione interna dell’Organo.
Nelle scelte da ultimo adottate sulla composizione delle commissioni e sulle presidenze, e anche in quella di cui oggi discutiamo, è mancata quella fase di confronto, anche informale, che, nella storia della istituzione, ha sempre garantito la individuazione di soluzione condivise.
Un metodo che favorisce la comune assunzione di responsabilità delle scelte nell’interesse al buon funzionamento della istituzione e che riduce la conflittualità interna, elementi questi essenziali nella vita di un organo collegiale, che, anche nei suoi momenti più ruvidi, si nutre de confronto e del dialogo, che lungi dall’essere percepiti con fastidio, dovrebbero invece sempre essere valorizzati.
Per queste ragioni voterò in maniera contraria alla proposta”.