Corte di cassazione penale

Le udienze da remoto: un rimedio eccezionale ma necessario

L’emergenza sanitaria ha reso tangibile l'insufficiente innovazione telematica del giudizio di legittimità. Ad essa è necessario porre presto rimedio. Altra cosa è la dislocazione dell’udienza al di fuori dell’ordinario spazio fisico: essa è la doverosa risposta a situazioni eccezionali, al di fuori delle quali fatica a trovare valide ragioni

Per il giudizio penale di legittimità l’emergenza sanitaria ha fatto emergere difetti di innovazione telematica noti da tempo, e che non sono stati risolti nel tempo per il semplice fatto che i modelli organizzativi tradizionali non creavano disservizi e nulla imponeva l’aggiornamento tecnologico, la cui mancanza ora ha colto la Corte di cassazione impreparata.

Il riferimento è alla mancata implementazione del processo penale telematico; i giudizi penali di cassazione sono ancora gestiti con materiale cartaceo, con depositi cartacei degli atti e sono quindi segnati da una totale assenza di fascicoli telematici.

Ciò rende molto disagevole l’avvio della nuova esperienza dell’udienza da remoto anche in quegli ambiti in cui, secondo l’ordinaria disciplina, i processi sono trattati senza la partecipazione in udienza del procuratore generale e dei difensori delle parti.

Si tratta della categoria di processi che più delle altre si prestano ad una trattazione remotizzata, appunto perché la procedura non prevede l’intervento di soggetti diversi dai componenti del collegio e, ovviamente, dal cancelliere, preposto alla redazione del verbale – in cui si dà atto dell’ora di inizio e di conclusione dell’udienza e dei procedimenti ivi trattati e decisi –.

In assenza di fascicolo telematico – è ovvio – ci si deve affidare all’invio per posta dei cd. fascicoletti ai consiglieri e al presidente, ove questi siano impediti dal raggiungere fisicamente l’ufficio, oppure, ma è questa soluzione forse più onerosa per le poche risorse umane di cui per ora si dispone, impiegare personale alla scannerizzazione dei “fascicoletti” per il loro successivo invio telematico.

L’invio per posta, è appena il caso di osservare, espone al rischio che il materiale cartaceo non arrivi per tempo e che l’udienza non possa essere tenuta.

Resta in ogni caso ferma e non adeguatamente fronteggiabile l’eventualità che il collegio, riunito telematicamente, abbia necessità di consultazione dell’intero fascicolo processuale: i “fascicoletti”, che sono posti nella disponibilità del consigliere relatore e del presidente, si compongono delle copie di pochi atti del fascicolo: dell’atto di ricorso, degli eventuali motivi aggiunti e memorie, del provvedimento impugnato, della requisitoria scritta del procuratore generale.

Non sempre però la decisione può essere adottata senza consultare altro, contenuto ovviamente nel fascicolo presente in cancelleria.

Occorrerebbe, allora, per evitare che i ricorsi non siano decidibili in remoto, informatizzare l’intero fascicolo, in modo che il collegio lo possa compulsare ove necessario; non può essere sufficiente limitarsi a che la consultazione sia fatta dal solo componente relatore e/o dal solo presidente, sempre che costoro siano nelle condizioni di essere presenti fisicamente in ufficio nel giorno dell’udienza o nei giorni precedenti.

Quel che, pertanto, l’emergenza di questi giorni ci consegna in eredità è un forte impulso all’estensione del processo telematico al giudizio penale di cassazione, in modo che si possa disporre sempre e pienamente dell’intero fascicolo processuale anche da remoto, anche solo per la preparazione dell’udienza o per la redazione della motivazione della sentenza, senza necessità di trasportare nelle residenze private dei magistrati plichi più o meno corposi di carte e senza dover impegnare il personale di cancelleria, quando non i singoli magistrati, all’estrazione di copie cartacee.

Altro capitolo che l’emergenza sanitaria ha dischiuso anche per la Corte di cassazione è lo svolgimento da remoto dei processi.

Nulla di espresso ha sul punto ancora detto il legislatore dell’emergenza.

Il decreto legge n. 18 del 2020 ha regolato il giudizio civile da remoto, e quindi anche quello di cassazione, rimettendo al provvedimento organizzativo del dirigente dell’ufficio giudiziario l’adozione di misure tali che consentano lo svolgimento delle udienze civili con questa innovativa modalità.

Il primo presidente ha però previsto anche per le udienze penali cd. non partecipate, quelle che si avvalgono soltanto di un previo contraddittorio cartolare, la possibilità, nel secondo periodo dell’emergenza, che ora va dall’11 maggio al 30 giugno 2020, di trattazione da remoto, facendo leva sull’ampia previsione del decreto legge che attribuisce ai dirigenti degli uffici giudiziari “l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze” – art. 83, comma 7, lett. d) –.

Nel corso dei lavori di conversione del menzionato decreto legge, emendamenti governativi e parlamentari hanno esteso la possibilità di svolgimento da remoto anche per le udienze pubbliche – dibattimenti di cassazione – e per le udienze camerali cd. partecipate di cassazione, che sono regolate dalla disposizione generale sul procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 127 cpp

Si tratta, come detto, di una mera possibilità, perché quel che il disegno di legge di conversione allo stato prevede è soltanto la trasformazione del rito, seppur condizionata all’assenza di una espressa richiesta della parte ricorrente di trattazione secondo le ordinarie regole che prevedono una discussione orale del ricorso; non anche che, trasformato il rito nelle forme del cd. rito non partecipato, e quindi con contraddittorio soltanto cartolare, la Corte di cassazione proceda poi alla decisione con camera da consiglio da remoto.

Siamo di fronte a misure eccezionali, che già il legislatore mostra di voler utilizzare con particolare cautela, come dimostra la scelta, fatta con l’appena di poco successivo decreto legge n. 23, di contrarre lo spazio del secondo periodo dell’emergenza, quello in cui possono valere le linee guida vincolanti dei dirigenti degli uffici giudiziari, facendolo iniziare non più il 16 aprile ma il 12 maggio, invariato il termine finale, come originariamente fissato al 30 giugno.

All’interrogativo se e cosa di questo pacchetto normativo di emergenza dovrà sopravvivere e collocarsi stabilmente nell’ordinamento processuale, una volta che si sarà tornati alla tanto auspicata normalità, la risposta deve essere meditata con quella stessa cautela che sembra orientare l’impegno legislativo.

Ferma l’esigenza, già prima segnalata, di una piena estensione del processo telematico al giudizio penale di cassazione, sul lavoro da remoto della Corte occorre riflettere, e non soltanto perché sono ancora presenti difficoltà d’ordine tecnico – che spetta alle strutture informatiche dell’amministrazione risolvere, in modo da assicurare sempre efficacia dei collegamenti e soprattutto segretezza dell’ambiente virtuale identificato normativamente come camera di consiglio –.

La tentazione che potrebbe farsi strada è di stabilizzare, almeno per alcuni settori del lavoro della Corte di cassazione, lo svolgimento da remoto, anche in considerazione del fatto che molti consiglieri provengono dalle più svariate parti d’Italia e che sarebbe pertanto un risparmio di energie e di tempo se alcune udienze potessero tenersi senza la traduzione fisica presso i locali della Corte; e ciò proprio esaltando una peculiarità di un settore quantitativamente consistente dei processi di cassazione, dell’essere a contraddittorio meramente cartolare e senza udienze con partecipazione delle parti.

Del resto, potrebbe aggiungersi, anche quando l’udienza è pubblica, quando cioè si procede al dibattimento di cassazione, le parti non hanno mai diritto di partecipazione, comparendo sempre e soltanto per mezzo dei loro difensori.

E allora, se al giudizio di cassazione, pur quando partecipato, prendono parte soltanto i componenti della Corte e i difensori, oltre che il personale di cancelleria, potrebbe prevalere l’idea che dell’udienza tradizionale si possa fare a meno, almeno in certa misura, aprendo le porte del Palazzaccio alla modernità e agli strumenti della tecnica, finora troppo e troppo a lungo marginalizzati.

Le ragioni della necessità di un’attenta riflessione, cauta e ponderata, si rinvengono nel senso dell’udienza, anche e in specie di quella dinnanzi alla Corte suprema.

Non è peregrino o eccentrico chiedersi, con rinnovato interesse, perché storicamente i luoghi di udienza siano stati pensati con importante ricorso alle strutture simboliche, dalle toghe, agli ampi spazi, alle geometrie nella collocazione fisica del collegio, del procuratore generale e dei difensori, alla generale solennità degli ambienti.

Dalle regole di architettura giudiziaria a quelle che presiedono allo svolgimento dell’udienza si trae la costante accentuazione delle forme e del rito, nella prospettiva di un largo e sapiente uso dei simboli, in un evidente sforzo di evitare cadute di tensione drammatica.

Vi è poi il diritto delle parti di comparire innanzi alla Corte suprema, alla Corte che decide in ultima istanza e il cui giudizio è garanzia costituzionale di esame della legittimità di tutte le sentenze e di tutti i provvedimenti che incidono sulla libertà personale. Per quanto mediato dal difensore, il diritto di comparire fisicamente dinnanzi alla Corte suprema è sì comprimibile in situazioni eccezionali ma non eliminabile come la stessa legislazione dell’emergenza mostra di ritenere collocando la discussione del ricorso dinnanzi alla Corte tra i diritti potestativi della parte ricorrente.

Resta infine da considerare il carattere della pubblicità delle udienze, che un uso generalizzato della modalità di svolgimento da remoto potrebbe comprimere oltre misura e in termini non compatibili né con la Costituzione né con le previsioni convenzionali sulla pubblicità dei processi.

Il complesso dei caratteri e delle esigenze che l’udienza esprime e tutela nelle forme e nei modi in cui essa è stata tradizionalmente costruita, almeno nella giustizia penale, sembrano legare l’esperienza informatica a eventi di eccezionale necessità, perché l’ambiente virtuale, per quanto tecnicamente affinato ed affidabile, non sembra in grado di riprodurli e soddisfarle con la stessa intensità.

L’innovazione tecnologica deve interessare il processo di legittimità per rendere meno faticosa e disagevole l’attività di preparazione e per eliminare adempimenti materiali più o meno gravosi, senza alcuna distinzione tra tempi dell’emergenza e tempo della normalità.

Altro discorso va invece impostato per la dislocazione dell’udienza al di fuori dell’ordinario spazio fisico: essa è la doverosa risposta a situazioni eccezionali, perché l’amministrazione della giustizia non debba patire stasi ancor più pericolose degli inconvenienti che molti intravedono nel ricorso allo strumento informatico.

Fuori dell’eccezionalità del momento, fatica a trovare valide ragioni che la possano inserire tra gli ordinari moduli di amministrazione della giustizia, senza che ciò possa e debba apparire un inutile tributo a desuete logiche di organizzazione del lavoro giudiziario.

Infine, un pensiero va dedicato al lavoro del magistrato di cassazione. Si sa, ed è uno degli aspetti meno apprezzabili, che il consigliere di cassazione non dispone di un ufficio, non può usare dei locali di ufficio per preparare gli impegni di udienza o per redigere le sentenze, ancora meno per svolgere ricerche o per impegni di studio. Dispone di scomodi e insufficienti locali comuni, i cd. cameroni, con poche postazioni informatiche, con poche scrivanie e con ancora minori dotazioni di materiale di cancelleria. Il suo ufficio sta nella sua abitazione, i locali della Corte di cassazione è costretto a frequentarli poco e per poco tempo.

Il sistema si è assestato così: i consiglieri non hanno ufficio ma lavorano a casa, assicurano la loro presenza in ufficio per il tempo strettamente necessario, sfruttano molto di già lo strumento informatico anche per discutere questioni interpretative di interesse; in compenso, godono di una grande libertà di autoorganizzazione e possono conservare la loro residenza, quale che sia la lontananza da Roma, perché l’impegno di presenza fisica è giocoforza ridotto.

Non è un fuor d’opera ipotizzare allora che l’esperienza delle udienze da remoto, ove mai fosse consolidata, renderebbe ancor di più la Corte di cassazione un ufficio giudiziario anomalo, non vivificato, se non in misura ridottissima, della normale vita di ufficio, fatta di incontri tra i magistrati e tra costoro e il personale di cancelleria, che servono a cementare il senso dell’appartenenza ad una istituzione, e che quindi non sono aspetti di poco conto, tasselli di un vissuto che possa essere facilmente e a cuor leggero abbandonato.