Le indagini preliminari

Atti dematerializzati e interrogatori a distanza: solo nell’emergenza?

La tecnologia può snellire l’interlocuzione tra uffici requirenti e giudicanti. Consentire alcuni adempimenti da remoto potrebbe agevolarne lo svolgimento senza ledere diritti e garanze

Nessuna delle misure originariamente messe in campo per fronteggiare l’emergenza sanitaria ha riguardato le indagini preliminari e le Procure. Solo gli emendamenti ancora in discussione in sede di conversione del DL n.18/2020 (art. 83 comma 12 quater) prevedono la possibilità che nel corso delle indagini preliminari, dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020, il Pubblico Ministero e il Giudice si avvalgano di collegamenti da remoto per compiere atti che richiedono la partecipazione della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa, del difensore, di consulenti, di esperti o di altre persone, nei casi in cui la presenza fisica di costoro non può essere assicurata senza mettere a rischio le esigenze di contenimento della diffusione del virus Covid-19.

Quello delle indagini preliminari è un ambito che negli anni recenti ha visto implementare fortemente la telematizzazione, la digitalizzazione e la dematerializzazione. Ciò nonostante, misure ulteriori sarebbero assai utili nella fase della crisi sanitaria e lo sarebbero anche dopo la fine dell’emergenza.

Quella delle indagini preliminari rappresenta, infatti, la fase in cui i processi di innovazione tecnologica potrebbero essere più largamente applicati, perché la segretezza che la caratterizza, la relazione interna tra Pubblico Ministero e Gip e – per larga parte di questa fase – l’assenza di contraddittorio o un contraddittorio limitato a singoli atti fino alla discovery integrale, consentirebbero di sviluppare al massimo livello i processi di innovazione senza in alcun modo incidere sui diritti della difesa. E tuttavia questo processo è ancora lontano dall’essere attuato.

Anzitutto, l’utilizzo dei registri non può farsi da remoto, ma richiede un accesso dalla postazione dell’ufficio, e sicuramente, in questa fase, ciò ha costituito un serio problema per i magistrati del pubblico ministero come per i Gip e per il rispettivo personale, perché ha limitato severamente la possibilità di svolgere il lavoro a distanza.

La ragione sta nella mancanza di procedure atte a garantire la sicurezza della rete negli accessi da remoto. Procedure tecnicamente realizzabili che sarebbe auspicabile approntare nei prossimi mesi.

Si è poi reso ancor più evidente in questa fase lo scarso dialogo telematico tra Procura e Gip. Ed invero, molto del lavoro che transita in cartaceo tra questi due uffici potrebbe essere gestito in digitale e per via telematica: dai decreti penali, alle archiviazioni nei procedimenti a carico di ignoti, alle proroghe.

Ma, ancor più a monte, la possibilità di lavorare su un fascicolo digitale presuppone la dematerializzazione, oggi affidata a un progetto, quale è il TIAP, che ha uno sviluppo disomogeneo sul territorio nazionale, vive di finanziamenti a singhiozzo, non riguarda tutti i fascicoli e tutte le fasi del fascicolo.

Se in questo tempo i PM, i Gip e il personale amministrativo dei rispettivi uffici avessero potuto accedere da remoto ai registri informatici, l’incidenza della crisi sulla produttività e sull’efficienza sarebbe stata, almeno qui, assai modesta. L’emergenza sanitaria, anche in questo caso, ha reso evidente il ruolo strategico che l’innovazione tecnologica e la modernizzazione del sistema possono assolvere, non solo nella crisi, ma anche nel tempo ordinario, indicandoci un valore da sostenere, sviluppare e promuovere.

Anche sul concreto svolgimento delle indagini un approccio più attento alle possibilità messe a disposizione dalla tecnologia avrebbe potuto nel corso dell’emergenza, e potrebbe anche in futuro, arrecare un incremento di funzionalità ed efficacia senza scadimento delle garanzie.

Ad esempio, proprio come ora gli emendamenti prevedono – ma solo per il periodo dell’emergenza – tutta la gestione del rapporto tra il PM e i suoi consulenti e ausiliari potrebbe, se opportuno, avvenire a distanza, a partire dal momento del conferimento dell’incarico ai sensi dell’art. 359 c.p.p., che non richiede la presenza in contraddittorio delle parti e pone limitatissimi problemi relativi alla sola identificazione formale del consulente. L’introduzione di tale possibilità eviterebbe alcuni spostamenti anche di grande importanza sul territorio nazionale compiuti da CT ed ausiliari solo per presenziare fisicamente al conferimento dell’incarico.

Anche l’assunzione di sommarie informazioni testimoniali può essere agevolata dagli strumenti di video conferenza. Tale opzione consentirebbe al PM di svolgere personalmente un maggior numero di atti di indagine e, ad esempio, di partecipare a distanza al compimento di atti effettuati in presenza dalla PG. Anche in questo caso, la tecnologia può evitare gli spostamenti dei magistrati o delle persone informate dei fatti, se essi risultano eccessivamente onerosi, dispendiosi o causa di ritardi nel compimento di un atto urgente. Il problema della compiuta identificazione della persona verbalizzata può essere risolto attraverso l'identificazione fisica, nel luogo in cui la persona si connette, da parte di personale di PG o, se cittadino italiano all’estero, da parte del personale del Consolato o dell’Ambasciata.

In tutti questi casi, la scelta del remoto non varrebbe a sostituire le procedure ordinarie, ma aggiungerebbe nuove possibilità che, senza incidere sulle garanzie, potrebbero migliorare la qualità del lavoro e l’efficienza, eliminando costi inutili.

Opportunità, dunque, che dovrebbero essere colte anche dopo l’emergenza.