L’informatica e la Giustizia

Organizzazione, formazione, informatizzazione e sicurezza della rete

Alla prova dell’emergenza sanitaria quasi tutti i modelli in atto hanno fallito. Ne è derivata una stasi del lavoro che il sistema giustizia non poteva permettersi e, nel futuro, andrà evitata

Poche settimane di lockdown sono bastate a mettere in chiaro che il settore giustizia era ed è impreparato per il lavoro agile indicato dal DL n. 18/2020 come modalità ordinaria di svolgimento del servizio da parte del personale giudiziario nel periodo dell’emergenza sanitaria. Altrettanto evidenti sono stati i limiti degli attuali modelli di organizzazione del lavoro, della formazione del personale giudiziario e dei processi di informatizzazione, specialmente nel settore penale.

Al di là di alcuni settori nei quali l’attività giudiziaria è sia pur parzialmente proseguita, occorre riconoscere che questo periodo ha segnato una sostanziale stasi del lavoro giudiziario, non solo delle udienze, ma anche degli adempimenti legati ai depositi e alle comunicazioni e notificazioni dei rinvii d’ufficio. Si è formata così una gran mole di arretrato che rischia di iscrivere una pesante ipoteca sulla ormai prossima “fase 2” e sul futuro del nostro lavoro.

I processi di informatizzazione avviati finora, fatta eccezione per una parte del lavoro nel settore civile, presuppongono l’accesso dal computer dell’ufficio e consentono di fare poco da remoto. Nella legge di conversione del DL n. 18/2020 è stata prevista l’udienza “in remoto”, ossia la possibilità di svolgere, nella “fase 2”, tutta o parte di alcune udienze mediante l’utilizzo dell’applicativo teams. Qualcosa, certo, ma troppo poco.

Di fatto, i magistrati hanno potuto svolgere in forma agile solo ciò che già prima dell’emergenza potevano fare da casa, ossia smaltire l’arretrato. Per accedere ai registri informatici e per la stessa riorganizzazione del lavoro per la “fase 2” e per la successiva fase della ripartenza, invece, hanno dovuto operare dall’interno degli uffici giudiziari.

L’abbattimento dell’arretrato costituisce in sé un fatto positivo, perché nel prossimo futuro dovrebbe consentire di lavorare più rapidamente; ma, nella situazione data, la mole dei depositi rischia di complicare la non facile ripresa. Se nel tempo ordinario la capacità di lavoro del magistrato deve fare i conti con l’insufficienza delle risorse, delle aule e del personale (che deve fare l’assistenza e sbrigare gli adempimenti di cancelleria); nella ripartenza si dovranno fronteggiare, oltre ai consueti problemi, anche quelli legati allo smaltimento dei moltissimi adempimenti (dai depositi, agli avvisi, alle notifiche dei rinvii etc.) che nel periodo dell’emergenza il personale non ha potuto svolgere.

Lo smart working ha funzionato poco per i magistrati, ma ha funzionato ancor meno per il personale amministrativo, che non ha potuto accedere ai registri informatici connessi alla rete giustizia, non ha potuto accedere all’SNT e, in larga parte, non dispone della PEC perché mancano le credenziali digitali.

Le cause di questa insufficienza sono certo ascrivibili allo scarso sviluppo dei processi informatici, ma, ancor prima, sono da ricercare nell’inadeguata formazione del personale, oltre che nella sua scarsa flessibilità e mobilità.

In occasione del tavolo tecnico Ministero-CSM, che si è svolto il 7 aprile 2020, il Capo DOG ha illustrato gli sforzi che sono stati messi in campo nell’emergenza per l’utilizzo da casa di tutti gli applicativi per il protocollo e le spese di giustizia (Scripta, Calliope, Sicoge e Siamm); ha spiegato, inoltre, che sono state attivate numerose piattaforme e-learning al fine di favorire l’apprendimento sui registri e l’utilizzo dell’applicativo Teams per smart working e udienze.

Pur nella consapevolezza della situazione straordinaria nella quale il Ministero si è trovato ad operare, va detto però che l’impegno profuso non ha inciso significativamente sulla capacità del personale di svolgere il lavoro agile anche laddove sarebbe stato possibile. Da un lato, perché l’apprendimento di un servizio giudiziario richiede una formazione anche pratica e un tutoraggio che in questo periodo non erano disponibili; dall’altro, perché il lavoro agile avrebbe richiesto una capacità di rotazione del personale sui servizi che, invece, i modelli di organizzazione del lavoro finora praticati non hanno favorito. Si tratta, infatti, di modelli di organizzazione piuttosto rigidi e poco flessibili, che tendenzialmente impongono al personale di svolgere per lunghi periodi e in modo standardizzato esclusivamente un certo tipo di servizio, senza alcuna rotazione.

Tale situazione trova la sua causa in scelte passate, che hanno visto il Ministero della Giustizia subire per vent’anni tagli lineari di risorse e di personale, con una inversione di tendenza che si è registrata solo in tempi recenti grazie all’impegno straordinario del DOG e della sua attuale dirigenza.

La prolungata penuria di personale ha indotto la dirigenza a irrigidire i modelli di organizzazione nel tentativo di un recupero di produttività. Una scelta le cui ragioni sono dunque complesse, ma che nei fatti ha anche prodotto poca formazione sul campo, scarsa flessibilità e poca rotazione nei servizi, ha impoverito la formazione e la motivazione del nostro personale, costituendo perciò un fattore disfunzionale che è tale nella crisi, e continuerà ad esserlo nella “fase 2” quando il personale sarà gradualmente richiamato al lavoro in ufficio e non si troverà a ruotare nei servizi, ma a fare per alcuni giorni della settimana ciò che prima faceva per l’intera settimana lavorativa.

Si tratta di un fattore disfunzionale che la crisi sanitaria ha messo in evidenza e che, se non emendato, rischia di continuare ad essere un elemento di crisi del sistema anche per il futuro.

L’altro fattore che non ha favorito l’accesso al lavoro agile è quello della carenza di informatizzazione. La crisi ha evidenziato ancor più come questo processo sia incompiuto. Abbiamo affrontato questo tema in relazione ai vari settori esaminati, e, in particolare, con i documenti relativi al processo civile e processo penale telematico. Nel richiamare, quindi, tutti gli interventi sul punto, ci limitiamo qui ad affrontare alcune questioni di carattere generale.

Un tema di carattere generale è certamente quello della dematerializzazione, perché riguarda tutti i settori e perché nessun ragionamento sull'informatizzazione, specie in ambito giudiziario, può seriamente essere fatto se ad esso non si accompagna un vasto programma di dematerializzazione degli atti. Eppure, questo processo è in tutti i settori ancora ben lontano dall’essere sviluppato ed è affidato a progetti estemporanei, come quello del TIAP, che funzionano su finanziamenti a singhiozzo e con una diffusione disomogenea sul territorio nazionale.

Nel periodo dell’emergenza, per consentire al personale amministrativo di svolgere il lavoro agile sarebbe stato necessario:

  • nel civile, consentire l’accesso da remoto a tutti i registri SICID e SIECIC;
  • nel penale, consentire al personale amministrativo l’acceso da remoto alla PEC dell’ufficio e/o a SNT (per effettuare per via telematica le notifiche) e ai magistrati del GIP e della Procura l’accesso da remoto al TIAP (per consentire il lavoro da casa ed evitare inutili accessi in ufficio).

In occasione del tavolo tecnico più sopra richiamato, il Capo DOG ha spiegato che la scelta di non consentire la lavorazione da remoto sui registri di cancelleria in rete è stata una scelta necessitata dalle politiche della sicurezza del Governo che prevedono in questo periodo un rafforzamento delle reti di protezione. Nel caso che ci interessa, consentire “l’uscita” dalla RUG, avrebbe comportato una esposizione a rischio. Il problema, quindi, non è di carattere tecnico, in quanto è possibile garantire l’accesso ai registri in sicurezza approntando adeguate misure, ma dipende dalle difficoltà anche operative che l’emergenza sanitaria ha determinato, ed è risolvibile attraverso l’organizzazione e l’ investimento di risorse.

La crisi sanitaria ha messo in luce problemi, ritardi e carenze, molti dei quali potrebbero essere superati con provvedimenti organizzativi e con atti normativi di razionalizzazione e messa a sistema che non richiederebbero particolare impegno di risorse o consentirebbero l’utile impiego di fondi europei già disponibili; risorse, queste ultime, che rischiano di andare perdute se non tempestivamente utilizzate.

Sin da subito il Ministero della Giustizia deve mettere in campo e sviluppare almeno cinque azioni:

  1. mettere a sistema un programma di dematerializzazione degli atti con carattere di comprensività, coerenza e continuità;
  2. approntare misure che garantiscano la messa in sicurezza della rete in modo da consentire l’accesso ai registri da remoto;
  3. avviare un processo di revisione dei modelli di organizzazione e della formazione del personale giudiziario;
  4. completare la “filiera” del PCT;
  5. progettare e realizzare il processo penale telematico.

La mancanza di un vero processo penale telematico, infatti, è un terzo fattore che, nella crisi sanitaria, ha sfavorito il lavoro agile e, nel tempo ordinario, costituisce fonte di disfunzionalità.