Probabilmente “in medio stat virtus”. Innanzitutto dal punto di vista temporale.
Riprendere dall’11 maggio le udienze come prima è pura follia. Rinunciare alle udienze da remoto nei prossimi mesi, almeno fino alla pausa feriale (se mai dovesse esserci) a me pare proprio fuori luogo. Magari salvo alcuni processi e salve alcune situazioni in cui la sicurezza può essere garantita con effettivi dispositivi di protezione ed effettivo distanziamento.
Insomma, la “fase 2” non significa fine dell’emergenza, e finché si è in emergenza ci sono superiori principi da tutelare. Non è questione di duri, puri o sacri, ma di effettività e bilanciamento di valori: ben venga e grazie alla tecnologia; piuttosto chiediamo il massimo sforzo perché funzioni.
Poi, finita l’emergenza, “in medio stat virtus” anche quanto al contenuto.
Credo che davvero nessuno può pensare che in fase di normalità le udienze non debbano essere svolte “in presenza” e non a distanza. Il processo penale – come mi piace dire – è carne e sangue. L’odore dell’aula, gli occhi dei testimoni, le smorfie dell’imputato, il pubblico che rumoreggia, e le “gabbie” a pochi metri. E “il teatro” della discussione; il tono, le mosse e gli ammiccamenti suggestivi della requisitoria, vieppiù con la giuria popolare. Non scherziamo.
Ma ....
Si può conferire a distanza un incarico ad un perito che deve venire da 500 Km?
Si possono aumentare le ipotesi di video collegamento dal carcere dei detenuti?
Si può sentire un teste privato o di PG che deve venire da lontano ove le parti consentano? O un teste in condizioni di salute precarie, evitando di rinviare l’udienza?
Si può chiedere all’avvocatura di essere disponibile ad un ragionamento per l’efficienza del processo anche attraverso le tecnologie, e per l’utilizzo del “remoto” anche solo per segmenti di udienza o per udienze dedicate, magari appunto col consenso o per categorie predeterminate?
Io penso di sì, sinceramente.
Posso evitare di partire da Napoli per Santa Maria Capua Vetere per prendere un rinvio e costituirmi dall’ufficio?
Quanto si risparmia, in termini di risorse umane e materiali? E cosa si sacrifica dei principi?
Infine, non perdiamo di vista l’obiettivo. Abbiamo spostato il discorso tutto sulle udienze. Ma il vero obiettivo è il processo penale telematico, quello che parte e arriva in digitale, non solo quello che deve “dematerializzare” gli atti come oggi con TIAP.
Dobbiamo abolire (o fortemente ridurre) la carta e i tempi di transizione degli atti, non abolire le persone e la presenza fisica.
Non facciamo diventare questo dibattito una guerra di religione, non è più tempo. Il virus ha fatto comprendere ai magistrati italiani l’importanza delle tecnologie in 10 giorni, più di quanto non si sia riusciti in 10 anni.
Approfittiamone e pensiamo a come cambiare tutti i processi di lavoro (turnazioni, smart-working, video lavoro).
Inoltre, sempre per la “fase 2”, occorre riflettere sul fatto che durerà (forse con una “fase 3”, con periodo in cui si torna alla “fase 1”) un annetto ancora.
Il vero problema sono i carichi di lavoro. L’arretrato accumulato in due mesi, presso il PM e presso i giudici.
Non si riuscirà a fare tutto, a recuperare tutto, non ci riuscivamo prima, come faremo oggi?
Occorrono scelte coraggiose, di noi tutti, dei dirigenti, del CSM soprattutto, verso la qualità e le priorità.
La quantità? Non so, una amnistia ragionata bene?
Cosa chiediamo in questa fase al legislatore? O attendiamo che decidano davvero in altre sedi?
Credo che nel dibattito pubblico e politico sulla ripartenza si parli di tutte le attività economiche e sociali, ma pochissimo delle sorti della giustizia. Che vanno poste al centro della discussione evitando di monopolizzare tutto su udienze da remoto sì o udienze da remoto no, e pure su scarcerazione sì scarcerazione no, perché così diamo l’impressione che non ci sia nessun altro problema per la fase due, rispetto a industrie, imprese, commercio, sanità, scuola.… e la Giustizia?