Prima sessione
Il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie

Francesco MICELA
Presidente sezione famiglia Tribunale di Palermo

Ringrazio per questa opportunità, che mi sembra molto importante.

Cercherò di essere rapido, perché sono molte le cose che sento di dover dire.

Dal punto di vista di presidente della sezione famiglia, a Palermo, il bilancio dell'esperienza di quest'anno è estremamente positivo: sotto moltissimi profili, la riforma si è rivelata adeguata e opportuna.

Sono molti gli aspetti  sui quali si è intervenuti in modo appropriato.
Ne menziono soltanto alcuni, i più importanti.

Il superamento della pluralità dei riti, che non aveva davvero alcuna giustificazione.
L'abolizione dei tempi morti nei procedimenti di separazione e divorzio (se all'udienza presidenziale non si raggiungeva un accordo, per questo stesso fatto il processo durava almeno due anni).

L'estensione e la specificazione del dovere di leale collaborazione, attraverso la  "disclosure", con l'obbligo di produrre in giudizio i documenti che attestano le proprie condizioni economiche (persino gli estratti conto degli ultimi tre anni, il che significa l'obbligo di "denudarsi" in giudizio).

Le norme sulla violenza, che indicano la traccia da seguire nei casi in cui una delle parti si configura come vittima dell'altra.

Potremmo continuare con altri aspetti.

D'altra parte, la riforma è stata ideata e costruita da persone estremamente competenti.

La Commissione che ha scritto la legge delega era composta da professori, avvocati e magistrati che avevano dedicato a questa materia anni, se non decenni della loro vita professionale.
In un tempo molto contenuto, con un lavoro di squadra ben riuscito, hanno quindi integrato in modo efficace le loro vaste e approfondite competenze.
Si è giunti così a livelli di elaborazione molto raffinati.

Penso, ad esempio, al cosiddetto "separorzio", termine che ormai è divenuto di uso comune (non è escluso che a breve lo troveremo nella Treccani):  non essendoci le condizioni politiche per abolire la separazione, si è introdotto l'escamotage di poter trattare in uno stesso processo entrambi gli istituti, per impulso di una qualsiasi delle parti.

Dal punto di vista del diritto di famiglia, la valutazione é dunque senz'altro molto positiva, secondo un'opinione che, al netto di alcune inevitabili resistenze, mi sembra molto diffusa.
Questo non vuol dire che non vi siano aspetti sui quali porre attenzione.

Bisognerà ad esempio verificare nei prossimi anni se gli accordi - eventualmente raggiunti nel corso del procedimento - riusciranno a raggiungere i livelli del sistema passato, in cui l'udienza presidenziale costituiva un fattore fondamentale, che contribuiva a consensualizzare molti giudizi e ad abbattere di conseguenza le pendenze.

Segnalo ancora due criticità.

Una è quella che riguarda i processi pendenti.

Per come è congegnata la riforma, il processo porta alla decisione molto prima che in passato.

Questo comporta un notevole appesantimento per il carico dei giudici, chiamati a fronteggiare due flussi di lavoro, uno dei vecchi procedimenti e l'altro dei nuovi, i cui tempi di decisione si vengono a sovrapporre, non potendo in nuovi essere messi 'in coda' senza compromettere le finalità della riforma.
Vi è dunque un' esigenza organizzativa nella gestione dei due 'flussi', soprattutto per gli uffici che hanno problemi di arretrato, tanto più che con il Pnrr ci siamo impegnati a smaltire entro il 2026 i procedimenti iscritti fino all'anno 2022.
Si tratta quindi di contemperare in modo equilibrato due diverse esigenze.

Altro aspetto delicato riguarda le preclusioni.
È stato detto da più parti che la riforma pone il convenuto in difficoltà per i tempi stretti previsti per la sua costituzione e per il conseguente maturare delle preclusioni.
E in effetti è capitato che alcune parti convenute  siano incorse in preclusioni.
E nei fatti, sono state colpite in prevalenza le donne, che più frequentemente degli uomini fanno valere in giudizio diritti disponibili (quali l'assegno divorzile, l'assegno di mantenimento per sé o per i figli maggiorenni conviventi).

È una situazione che merita una riflessione, tanto più che con il decreto correttivo è stata introdotta una norma che consente al giudice, sulla base di una valutazione ampiamente discrezionale (la sussistenza di ragioni di urgenza), la possibilità di ridurre ulteriormente, fino alla metà, i termini processuali.

Si tratta di una norma che è stata pensata soprattutto per gli uffici minorili (messi in grande difficoltà, come vedremo, dalla riforma processuale ) che potrà provocare indirettamente dei problemi per la posizione delle parti convenute nei processi di famiglia.

Detto questo per i processi di famiglia, è evidente però che non si può più pensare in modo settoriale e occorre vedere in parallelo cosa è successo nei due uffici, nei tribunali ordinari e nei tribunali per i minorenni.

Sia perché il rito è unico e quindi, come si è visto, le modifiche introdotte tengono conto e riguardano entrambi gli uffici.

Sia perché, con la riforma ordinamentale, gran parte del flusso di lavoro dei tribunali minorili andrà a confluire nelle sezioni circondariali.

Non si può dunque prescindere dalla constatazione che la riforma ha "funzionato" nei tribunali ordinari, ma ha messo in crisi i Tribunali per i minorenni, per varie ragioni che adesso accennerò ma che poi Ilaria Mazzei illustrerà meglio.

Occorre premettere che la storia della riforma vede in gioco due governi: un governo che l'ha varata e l'altro che dovrà attuarne la parte più ambiziosa, quella ordinamentale.

Questa condizione, che in astratto potrebbe facilitare il miglioramento di alcuni aspetti della riforma, corre invece il rischio di costituire un fattore problematico, attivando delle dinamiche in cui ciascuno – a fronte delle enormi responsabilità che comporta il varo di una riforma così impegnativa – attribuirà  all'altro la colpa di quanto non si riuscirà a fare, se non addirittura del fallimento della riforma (esito che purtroppo allo stato non può escludersi).

In generale, io penso che la riforma abbia due macigni, due zavorre, due "peccati" che si porta dietro e che occorre affrontare prima della sua entrata in vigore.

Rinviare l'entrata in vigore può dunque essere utile, ma un rinvio fine a se stesso non serve.

Occorre risolvere alcuni punti critici.

Il primo è quello delle risorse, il fatto cioè che la riforma risulta fatta "senza oneri a carico dello Stato".

In generale, quando si ristruttura una casa, si fa un progetto, un preventivo, e si decide sulla base del budget che si ha a disposizione: la disponibilità economica condiziona sempre la scelta del tipo di ristrutturazione.

Nel nostro caso, invece, è come se si desse per scontato che il costo sia zero, dopodiché si immagina la migliore riforma possibile.

Ma questa riforma è molto dispendiosa.

In primo luogo, dal punto di vista processuale, perché inserisce delle forme di garanzie molto strette al Tribunale per i minorenni (e quindi un numero maggiore di udienze).

La riforma limita inoltre l'attività istruttoria dei giudici onorari minorili, ponendo di conseguenza l'ovvia esigenza di reperire risorse alternative: qualcun altro dovrà tenere le moltissime udienze che i giudici onorari non potranno più fare.

Ma al di là degli aspetti processuali, la riforma è molto dispendiosa anche e soprattutto sotto il profilo ordinamentale, perché si propone di coniugare specializzazione e prossimità.

La specializzazione, di regola, si realizza infatti  accorpando gli uffici. Se ad esempio nella sanità si intendono realizzare strutture specializzate, gli ospedali non vengono moltiplicati nel territorio, ma al contrario si accorpano.

E questo vale anche nel mondo della giustizia, com'è accaduto ad esempio con il  tribunale delle imprese o con la protezione internazionale.

Intendiamoci, è giusto cercare di coniugare specializzazione e prossimità, secondo un modello che anche l'associazione dei magistrati aveva proposto.
Del resto, non c'è alternativa, non si può certo pensare di portare le separazioni nelle sedi distrettuali. Ma questo ha inevitabilmente dei costi.

Perché con il tribunale unico si creeranno 140 nuove sezioni circondariali.

Si può mai pensare che una struttura così articolata e complessa possa farsi a costo zero, limitandosi a reperire le risorse tra quelle già disponibili per gli altri uffici giudiziari?

Qualcuno mi ha detto che ormai in Italia le riforme si fanno così, e mi ha citato la riforma del giudice unico, quando è stata abolita la pretura.
Come per quella riforma "ci sarà un periodo di sette, otto anni di confusione, di disagio, ma poi tutto si aggiusterà e si troverà un nuovo equilibrio...".

Ora, a parte i sette-otto anni di caos,  che trattandosi di diritti fondamentali non sarebbe male risparmiarci, con quella riforma si trattava di abolire le preture, qua si tratta di costituire una serie numerosissima di nuove sezioni sparse nel territorio, con tutte le conseguenze in termini di personale di magistratura, di cancelleria, edilizia giudiziaria, strutturazione informatica.

Nel documento abbiamo scritto che fare a costo zero una riforma di questa portata è inconcepibile.
Abbiamo scelto questo aggettivo, che nel vocabolario trova come sinonimi assurdo, incredibile, inammissibile. Ma come si è potuto pensare una cosa del genere?

E in realtà non era così e questo va detto.

In occasione di un incontro con i presidenti dei tribunali per i minorenni, il 10 ottobre 2021, la ministra Cartabia, alla quale avevamo chiesto come si potesse pensare di fare la riforma a costo zero, rispose che la riforma non si sarebbe in alcun modo fatta a costo zero.

Disse che l'affermazione "senza oneri a carico dello stato" era stata solo un'esigenza tecnica, per ricevere la bollinatura da parte della Ragioneria, in assenza della quale la riforma non poteva essere approvata. Ma assicurò che al momento della finanziaria si sarebbe provveduto a erogare le risorse necessarie e ad aumentare gli organici.
Aggiunse che considerarla una riforma a costo zero – ovvero senza risorse – era una "lettura scorretta", queste furono le sue parole.

E infatti nel 2022 il capo del DOG ha valutato gli stanziamenti necessari per l'aumento del personale della magistratura  e della cancelleria.

Facendo una previsione del costo della riforma per i prossimi dieci anni concludeva, nell'agosto del 2022, che era assolutamente necessario rinviare l'entrata in vigore della riforma e rivedere la previsione di assenza di copertura finanziaria.

Questo è un aspetto dirimente: se non ci sono risorse è chiaro che non si va da nessuna parte.

Quando si fa una casa, certamente bisogna disegnarla, occorre l'architetto. E l'architettura del nuovo ufficio è stata disegnata. Ma adesso ci vuole l'ingegnere.
Se l'idea è di andarci ad abitare, la casa non soltanto dev'essere disegnata, ma deve "reggere", perché se la pioggia entra dentro, se le mura crollano, la vita diventerà impossibile.

Questo è il primo macigno. Adesso l'altro problema

La riforma mette insieme due mondi diversi, da una parte la conflittualità familiare, dall'altro l'intervento dello Stato a tutela dei minori.

Mi sono occupato di famiglia negli uffici ordinari per più di un decennio (fra primo grado e appello) e per oltre un decennio ho lavorato in un Tribunale per i Minorenni quale giudice prima e poi quale presidente.

Conosco bene, quindi, questi due mondi, il meno conosciuto dei quali è certamente quello della giustizia minorile.

Chi non ha mai esercitato le funzioni minorili deve aver presente che, rispetto ai processi di famiglia, siamo in un contesto profondamente diverso, che ha il fondamento nei principi della Costituzione secondo cui la Repubblica protegge l'infanzia e la gioventù (e lì dove i genitori non svolgano le loro funzioni in modo appropriato, provvede a che queste funzioni siano esercitate).

La Costituzione afferma in sostanza che i minorenni non sono proprietà dei genitori e quindi interviene in loro tutela, se i compiti dei genitori non sono assolti, attraverso i servizi sociosanitari e la giurisdizione minorile, quelle che il presidente Fadiga definiva come le due ruote di una stessa bicicletta.

La giurisdizione di famiglia e quella minorile sono due mondi differenti.
Sono due giurisdizioni che sono molto motivanti per il giudice, perchè entrambe danno la percezione dell'utilità concreta del lavoro che svolgi (sensazione che a un giudice civile talvolta manca).
Ma sono due funzioni molto diverse.

A volte il giudice della famiglia, per il fatto che da alcuni anni si occupa del pregiudizio che si verifica nell'ambito della conflittualità, tende a sottovalutare la distanza che c'è fra queste due giurisdizioni.

D'altronde, quasi tutte le associazioni di magistrati o di avvocati che si occupano di questa materia nascono come associazioni familiariste, e poi hanno aggiunto nella denominazione "e dei minori", o viceversa nascono come associazioni per i minori e poi hanno aggiunto "e della famiglia".
È un ulteriore segnale della differenza fra i due ambiti.

Occuparsi del pregiudizio dei minori nell'ambito della conflittualità fra i genitori è completamente diverso rispetto a quando è lo Stato a intervenire.
Una cosa è il contenzioso fra genitori che pressano il Tribunale, che pretendono la decisione.

Altra cosa è se ti trovi una richiesta del pubblico ministero, che non viene e non verrà in udienza, e a dover gestire un processo rivolto a delle persone che tutto vogliono tranne che avere a che fare con il Tribunale.
Mentre le persone inseguono e pressano il tribunale ordinario, scappano invece dai tribunali per i minorenni. È una dinamica completamente diversa.

Ed è molto diverso anche il tipo di decisione.

Una cosa è decidere nei confronti di persone che confliggono, la cui responsabilità genitoriale occorre regolare.

Altra cosa è trovarsi davanti a una "semplice" segnalazione del pregiudizio di un minore, dove la questione che aleggia sempre – in modo espresso o non espresso – è se occorre allontanare quel bambino da entrambi i genitori, oppure se c'è il modo di salvare la situazione.

È un livello di responsabilità di proporzioni enormi, che nell'esperienza del giudice della famiglia non c'è quasi mai.

Se chiedete a un giudice della famiglia, anche con molta esperienza, se gli è accaduto di allontanare un minore da entrambi i genitori, pochissimi giudici risponderanno di sì, e in ogni caso sarà capitato loro uno o due volte in decenni di attività giudiziaria.

I giudici minorili si trovano invece quotidianamente a confrontarsi con questa possibilità, perché si confrontano con situazioni terribili, difficilmente immaginabili.

C'è un mondo vasto e variegato, quello della malattia mentale, della criminalità, della povertà culturale, del degrado sociale, che ha una drammatica concretezza e che nel nostro paese è sostanzialmente ignorato. La riservatezza dei casi singoli è protetta dalla carta di Treviso.

Ma più in generale, in Italia il giornalismo è quello che è, e in fondo queste tematiche non interessano a nessuno.

Nel nostro paese c'è un problema di tutela dell'infanzia enorme e misconosciuto.

È vero che il Parlamento si occupa spesso dell'infanzia, ma sempre e soltanto se accanto c'è anche un interesse degli adulti.

E così abbiamo avuto la legge sull'affidamento condiviso nel 2006, la legge sui rapporti con gli ascendenti nel 2013.

Abbiamo avuto la legge sulla continuità degli affetti, i rapporti con gli affidatari nel 2015 e continueremo così con le coppie omogenitoriali e la maternità surrogata.

Non manca occasione, se c'è un interesse degli adulti, di invocare l'interesse dei minori.

Ma la controprova se il paese si occupa davvero di tutelare i minori è se lo fa anche in assenza di un interesse degli adulti.
Nella realtà, tutelare l'infanzia è un compito che lo Stato si rifiuta di adempiere fino in fondo.
E per la  riforma sembra quasi che il problema sia stato tutelare i minori da un intervento eccessivo dei servizi e dei tribunali.

Ora, è vero che occorreva intervenire e regolamentare forme di garanzia processuali nella giustizia minorile, che erano molto carenti, è una necessità che si avvertiva da moltissimo tempo. Ma per intervenire in modo adeguato, occorre avere consapevolezza del contesto in cui l'intervento giudiziario si colloca.
L'attività istruttoria degli onorari in grandissima parte è andata ad esempio a supplire una carenza dei servizi che ha ormai dimensioni drammatiche.

Nel documento abbiamo cercato di illustrare la gravità  della condizione dell'infanzia e dell'adolescenza oggi in Italia.

Abbiamo una percentuale di inosservanza di obbligo scolastico che è tra le più alte d'Europa.

Lo dico per dare un'idea a chi non ha mai lavorato in un Tribunale minorile, e non si è occupato, ad esempio, della criminalità minorile, strettamente connessa al fenomeno della dispersione scolastica.

Dopo il Covid, il disagio è aumentato ancor di più, sono aumentati i reati commessi dai minorenni, i tentativi di suicidio, i disturbi alimentari.
A causa della scelta di chiudere le scuole e mantenere forme di didattica a distanza per un tempo lunghissimo, sono stati soprattutto i bambini e gli adolescenti a soffrire durante il lock down, che li ha colpiti in periodi fondamentali per la formazione della loro personalità.

E tutto questo con i servizi sociali e sanitari che, negli ultimi vent'anni, sono sempre più allo stremo.

Il Comitato Onu sui diritti dell'infanzia ci rimprovera periodicamente di aver fatto pagare la crisi economica soprattutto ai minorenni, perché le famiglie con più minori sono quelle che più hanno sofferto la crisi e perché lo Stato ha sottratto risorse agli enti locali, ai quali ha delegato ogni attività di protezione dell'infanzia, senza che un'autorità centrale coordini gli interventi a tutela dei bambini e degli adolescenti.

Se si fa un confronto con la con Germania, con l'Inghilterra, con la Francia, ci accorgiamo che gli altri paesi europei hanno un'organizzazione dei servizi di gran lunga superiore alla nostra, con una quantità di risorse molto maggiore. Sono paesi nei quali i servizi hanno la rappresentanza processuale, cioè portano direttamente le situazioni di pregiudizio davanti al giudice.
Da noi non c'è nulla di tutto questo, noi non abbiamo neanche un servizio unico nel territorio nazionale.

Soltanto per il penale è stato istituito un servizio sociale ministeriale. Se un adolescente commette un reato a Bolzano o a Caltanissetta, c'è un unico servizio ad occuparsene, perché evidentemente  la tutela della collettività richiede che vi sia una uniformità nel territorio nazionale.

Se invece si tratta di proteggere un bambino che vive una situazione di pregiudizio, lo Stato delega ogni intervento agli enti locali, rinunziando a qualsiasi forma di indirizzo o di coordinamento. Dipende tutto dalla zona in cui il bambino vive, dal comune e dall'azienda sanitaria locale, che hanno sempre meno risorse. È questa la condizione nella quale ci troviamo.

L'attività istruttoria dei giudici onorari in gran parte risponde all'esigenza di sollecitare i servizi a svolgere il loro ruolo, per fare in modo che gli interventi siano tempestivi e coordinati.

In questo contesto così carente e difficile, è evidente che il secondo limite della riforma è che sia stata fatta senza i giudici minorili, cioè senza coloro che avevano un'esperienza diretta di questa tipologia di attività giudiziaria. Per cui tutta quella competenza alla quale prima accennavo, che nel campo del diritto di famiglia è stata preziosa, in campo minorile è mancata.

 

Tanto che la soluzione è stata così sbrigativa da limitarsi a prevedere per il processo minorile l'identico processo ideato per la conflittualità familiare, senza un minimo di adattamento.

Tutta quella elaborazione così raffinata che abbiamo visto per il processo di famiglia, si è tradotta, per il processo minorile, in un semplicistico "applichiamo lo stesso processo", punto.

Forse l'unica specificità è stata quello di autorizzare il pubblico ministero che abbia attivato il processo a non comparire in udienza, escludendo che da tale assenza derivino conseguenze processuali. Figuriamoci se con questa carenza di risorse potevamo permetterci di chiedere la presenza dei pubblici ministeri in udienza... Certo, l'idea che il giudice gestisca da solo il processo è un vulnus alle idee cardini di un processo "fra parti", ma pazienza...

Il fatto che ai giudizi minorili si sia applicato il medesimo schema processuale pensato per la conflittualità familiare, senza alcun adattamento, ha contribuito a determinare le enormi difficoltà che si sono registrate in quest'ultimo anno nei Tribunali minorili.

Che senso ha prevedere per i giudizi minorili un rito nel quale i tempi di fissazione della prima udienza sono calibrati in modo da consentire alle parti di proporre domande ed eccezioni e articolare mezzi istruttori sotto pena di decadenza (e una prima udienza nella quale sia previsto il tentativo di "conciliazione") quando i processi minorili hanno sempre ad oggetto diritti indisponibili?

È priva di qualsiasi ragionevolezza la previsione, per i giudizi minorili, di una prima udienza dopo almeno 70-90 giorni, con l'assegnazione dei cinque termini all'attore e al convenuto per articolare le rispettive difese, sotto pena di decadenza.
Tanto più che lo Stato si muove a tutela di un bambino o di un adolescente quando è segnalato un pregiudizio attuale, che non tollera ritardi.
Di conseguenza, quello che è successo è che i provvedimenti indifferibili ex art. 473 bis.15, che nel processo di famiglia costituiscono l'eccezione, nei procedimenti minorili sono diventati la regola.

Anche nel caso di inosservanza di obbligo scolastico (una delle situazioni meno gravi rispetto ad altre tipologie di pregiudizio che si presentano nei tribunali minorili) non ci si può limitare a fissare la prima udienza dopo 70/90 giorni.
Sarà necessario invece adottare provvedimenti urgenti, con relativa udienza entro quindici giorni, per poi fissare una nuova "prima" udienza di comparizione delle parti, del tutto inutile, con fissazione dei termini previsti per le preclusioni, anche questi del tutto inutili.

La logica minorile è invece necessariamente, dopo il primo intervento, quella di verificare, a seconda della tipologia del pregiudizio e dei provvedimenti adottati, l'evoluzione della situazione di quel minore, accertare se i provvedimenti "indifferibili e urgenti" hanno funzionato oppure no, se sono necessarie modifiche o ulteriori interventi, secondo uno schema di giurisdizione "con oggetto in movimento", che è tipica di questo processo.

La situazione di grandissima difficoltà, per usare un eufemismo, che hanno vissuto i Tribunali per minorenni deriva in gran parte dal fatto che, per il processo minorile, è mancato un pensiero, è mancata un'elaborazione che tenesse conto della materia che si intendeva regolare, e ci si è limitati ad applicare, senza alcun adattamento, un processo calibrato sulla conflittualità familiare.

Il decreto correttivo, per porre rimedio alle conseguenze negative che la riforma ha provocato per i processi minorili, ha introdotto il principio generale in base al quale il giudice, se ravvisa ragioni di urgenza, può ridurre fino alla metà i termini processuali.
Ma questo principio, secondo il paradigma del processo unico, si applicherà anche ai processi di famiglia, introducendo un elemento di flessibilità che per questi processi non solo non era necessario ma è potenzialmente dannoso, perché consentirà al giudice di contrarre i termini processuali entro cui maturano le preclusioni (in alternativa all'adozione dei provvedimenti indifferibili), con un sacrificio ulteriore per il convenuto, che a questo punto avrà davvero tempi strettissimi per far valere i propri diritti (disponibili).

Un'ultima osservazione riguarda la collegialità.

Si tratta forse della questione più importante, perché i danni cagionati da un sistema processuale inadeguato sono talmente evidenti che nei prossimi anni sarà indispensabile porvi rimedio, mentre il danno che la perdita della collegialità apporterà alla qualità delle decisioni, altrettanto grave, sarà molto meno visibile.

La giurisdizione familiare ha sempre conosciuto uno spazio monocratico nei procedimenti di separazione e di divorzio, che sono da sempre gestiti, quanto ai provvedimenti provvisori e alle decisioni istruttorie, da un giudice monocratico.
E tuttavia, anche per questi tipi di processo perdere la collegialità in sede di decisione sarebbe molto negativo, sotto il profilo dell'uniformità delle decisioni dell'ufficio e sotto il profilo della specializzazione dei giudici più giovani, aspetti per i quali il confronto nelle camere di consiglio è fondamentale.

La collegialità fa percepire al giudice la opinabilità delle decisioni. Perdere la collegialità è una perdita enorme.

Per i giudizi minorili è una perdita assolutamente inaccettabile.
L'idea di lasciare ad un singolo magistrato la decisione se allontanare un bambino dai propri genitori è impensabile, per l'enorme discrezionalità e delicatezza della decisione (non c'è forse decisione più gravida di conseguenze).
Per l'esperienza concreta ormai di decenni, so quante volte lo sguardo esterno del collegio corregge, arricchisce e orienta la proposta del giudice relatore, i cui vissuti inevitabilmente interferiscono in una materia ad alto tasso di coinvolgimento, tanto più per il giudice che ha gestito l'attività istruttoria.
Lo dico in particolare agli avvocati, che vivono come un incubo la presenza dei giudici onorari in collegio, e che corrono il rischio di trovarsi in una situazione di gran lunga meno garantista nel lasciare a un singolo giudice l'esercizio di una discrezionalità così ampia e incisiva.

In questa materia, in cui gran parte della decisione dipende dalla lettura delle situazioni concrete e in cui le componenti soggettive sono enormi, non si può lasciare la decisione alla testa, al cuore e alla pancia di una sola persona.
Ognuno di noi ha strutture caratteriali diverse, ha convinzioni ideologiche differenti, e il collegio costituisce uno strumento fondamentale per evitare decisioni troppo unilaterali e sbilanciate, in definitiva non appropriate alla complessità delle singole situazioni.

Togliere la collegialità comporta nei fatti introdurre un  elemento di casualità nella decisione che in questa materia è intollerabile.
La stessa ministra Cartabia lo aveva perfettamente compreso e si era impegnata, nell'incontro del 2021 con i presidenti dei tribunali, a introdurla prima dell'entrata in vigore della riforma.
Il Parlamento ha formalmente impegnato il Governo a introdurla.
Nella stessa relazione al decreto legislativo n.149 del 2022 è detto che "si confida" in un intervento normativo che introduca la collegialità.

Non si tratta qui di difendere a spada tratta la collegialità con gli onorari (anche se a me questa sembrerebbe la cosa più logica di questo mondo).
Se proprio non si accetta che un giudice onorario partecipi al collegio, si ripristini quanto meno una collegialità interamente 'togata' che, grazie anche alla possibilità di svolgere le camere di consiglio on line, non determinerebbe l'esigenza di reperire nuovi giudici.

Il ruolo che la riforma riconosce agli onorari è del resto comunque molto significativo: una volta che vengono riconosciuti come addetti all'ufficio del processo potranno comunque partecipare alle udienze ed essere presenti nelle camere di consiglio, interloquire con i servizi e con le parti.
Questa soluzione normativa permetterà fra l'altro di utilizzarli anche per i processi di famiglia che lo richiedano.

In conclusione dire che ci aspettano tempi difficili é forse un eufemismo.
D'altro canto, è anche vero che fare previsioni su tempi medio lunghi è impossibile. Uno degli effetti positivi sarà in ogni caso che il mondo del pregiudizio minorile non rimarrà più confinato all'interno del Tribunale per i minorenni.

Mi auguro allora che la riforma, nel reintegrare la giurisdizione minorile  nel circuito giudiziario "ordinario", porrà sempre di più la necessità di affrontare con serietà la questione della tutela minorile, che nel nostro paese è ormai da molti anni gravemente trascurata.

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